6.05 TULLIO MAZZOTTI
(ALBISOLA 1899-1971) Vaso Amori-Fiori1929 terracotta invetriata; h cm 21,8, ø cm 21,8, ø cm 14,5 piede Milano, Castello Sforzesco, Civiche Raccolte d’Arte Applicata, inv. Maioliche n. 1779
Bibliografia La Metafisica 1980, p. 175, n. 73; Chilosi-Ughetto 1995,
p. 110; Chilosi 2002a, p. 129, n. 187; Terraroli 2007, p. 181; Futurismo 1909-2009 2009, p. 428, n. 416.
6.06 TULLIO MAZZOTTI
(ALBISOLA 1899-1971) Vaso Streghe1929 terracotta invetriata; h cm 19 h, ø cm 18, ø cm 13 piede Milano, Castello Sforzesco, Civiche Raccolte d’Arte Applicata, inv. Maioliche n. 3294
Bibliografia La Metafisica 1980, p. 175, n. 74; Chilosi 2002b, p. 130,
n. 188; Terraroli 2007, p. 181; Futurismo 1909-2009 2009, p. 428, n. 417.
6.07 GUIDO ANDLOVITZ
(TRIESTE 1900-MONFALCONE 1971) Vaso con decori marini1930 terraglia; h cm 37, ø cm 32,5, ø cm 21 piede Milano, Castello Sforzesco, Civiche Raccolte d’Arte Applicata, inv. Mobili n. 1543
Bibliografia La Metafisica 1980, p. 150, n. 3; Ausenda 2002a, p. 158, n. 215; Terraroli 2007, p. 164.
6.08 RICHARD-GINORI SU DISEGNO DI GIO PONTI
(MILANO 1891-1979) Vaso con decoro “La sirena prolifica”1929-1930 maiolica dipinta a mano; cm 26,2, ø 71,5 cm Sesto Fiorentino, Museo Richard-Ginori della Manifattura di Doccia, inv. 7032
Bibliografia Gio Ponti 1923-1930 1983, p. 114; Pansera-Portoghesi 1982, p. 112; Manna 2000, p. 216.
6.09 LUCIO FONTANA
(ROSARIO DE SANTA FÉ 1899-VARESE 1968) Granchio 1936-1937 grès; cm 23 x 40 x 37 Collezione privata Bibliografia Objects of Desire. The modern Still Life 1997, p. 158, n. 89; Crispolti 2006, p. 166; Fontana: luce e colore 2008, p. 57.
6.10 SALVATORE FANCELLO
(DORGALI 1916-BREGU RAPIT 1941) Polpo 1938-1939 ceramica smaltata e riflessata; cm 18,5 x 38 x 19 Collezione privata Bibliografia Chilosi-Ughetto 1995, p. 187; Fratelli 2001, p. 21; Crespi 2005, p. 100; Terraroli 2007, p. 212, n. 458.Gli artisti degli anni Trenta guardano al mezzo ceramico con vitalità sempre nuova e non rinunciano a voler imprimere ai propri pezzi, anche quando vengono riprodotti in serie, quel carattere di unicità che distingue l’opera d’arte. Nascono da queste premesse le ricerche di Gio Ponti alla Richard-Ginori e di Guido Andlovitz alla Società Ceramica Italiana di Laveno. Viene realizzato nella manifattura di Doccia, seguendo le direttive del direttore artistico, il vaso in maiolica di forma globulare sulla cui superficie, rivestita da uno smalto color prugna, spicca una sirena alata con un filo di perle al collo, contornata dalla sua prole: è una variante della fortunata serie della Migrazione delle Sirene, presentata all’Esposizione di Monza del 1930.È in terraglia - materiale meno raffinato della porcellana, ma più economico e competitivo - il vaso di Andlovitz. Uno smalto opaco nero metallizzato riveste la superficie sferica del pezzo, su cui risalta la decorazione in oro: pesci, meduse e fantastici animali degli abissi si ripetono per tre volte sul corpo del vaso. I disegni sono calligrafici e stilizzati; i contorni sottili e ben delineati, di chiara ispirazione orientale, denotano la libertà creativa dell’autore. Il pezzo, esposto a Monza nel 1930, viene acquistato dalla Fondazione Augusto Richard, costituita in ricordo del direttore morto proprio quell’anno, e donato, insieme a un corpo ricco e variegato di ceramiche italiane, alle collezioni civiche milanesi. S’inseriscono nel programma di ricostruzione futurista dell’universo le ceramiche che Tullio d’Albisola realizza nella fabbrica paterna, la Giuseppe Mazzotti, attiva dal 1903 ad Albisola. Il percorso di Tullio inizia all’Esposizione di Parigi del 1925, dove collabora all’organizzazione del padiglione ligure e si confronta con le provocazioni futuriste e le affascinanti suggestioni dèco. Inserendosi nel dibattito tra arte e industria, fa propria la volontà di riscatto delle arti applicate e dà nuovo impulso all’artigianalità. Da tali esperienze nascono le sue Fobie anti-imitative, una serie di ceramiche provocatorie e dal cromatismo acceso: le forme sono originali, le tinte contrastanti, i decori e le parole si fondono in un linguaggio inedito. Il vaso Amori-Fiori, in terracotta invetriata, ha forma irregolare e leggermente asimmetrica. Il corpo panciuto poggia su un piede circolare su cui si legge la scritta in stampatello che dà il titolo al pezzo. La decorazione ricopre sia l’interno, in monocromia gialla, sia l’esterno, dove colori violenti e smalti lucidi sono di grande impatto visivo. Da una parte, su uno sfondo a righe grigie e bianche, una donna seminuda languidamente distesa fuma con un lungo bocchino; dall’altra parte, un vaso con due rose fiorite spicca su uno sfondo scuro di foglie stilizzate. Le figure sono disegnate con pennellate rapide e sottolineate da spessi contorni neri. Il vaso Streghe, in terracotta invetriata, ha una forma semplice ma volutamente asimmetrica (una spalla del vaso è infatti leggermente più pronunciata dell’altra). I caratteri cubitali bianchi della scritta «Streghe» spiccano sul fondo nero mosso da cerchi blu con contorni gialli e da una spessa serpentina verde acido. Sulla parte opposta si staglia stilizzato il volto della protagonista, di cui si riconoscono i connotati tradizionali: il mento pronunciato, il sorriso sdentato, l’occhio guercio e la chioma canuta.
Entrambi i vasi, presentati alla mostra dei Trentatré futuristi alla Galleria Pesaro di Milano nel 1929 (Trentatré futuristi 1929), vengono acquistati da Giorgio Nicodemi, Sovrintendente del Castello Sforzesco, per le collezioni civiche. Anche Lucio Fontana e Salvatore Fancello, nella seconda metà degli anni Trenta, cuociono i loro pezzi nei forni di Giuseppe Mazzotti ad Albisola e modellano l’argilla con grande libertà espressiva. Fontana, che si è formato alla scuola di Wildt e ha imparato a scolpire il marmo, scopre nella terracotta un nuovo campo di sperimentazione. Dopo le prime prove, l’attività s’intensifica dal 1935. Le sue mani si muovono veloci e sicure sulla materia, giocando con gli smalti e con la luce. Nasce un universo di forme d’intenso respiro plastico, tra cui il Granchio, in grès, realizzato tra il 1936 e il 1937, che sembra muoversi su uno scoglio: l’arancione delle chele e del corpo e il nero della roccia amplificano la forza del pezzo. Fancello giunge ad Albisola nel 1937, dopo aver frequentato il corso di studi per ceramisti all’ISIA di Monza: il giovane artista sardo conosce Fontana e condivide la stessa passione per la sperimentazione. Il Polpo, in ceramica riflessata, risale al 1938-1939: nel suo corpo, disteso come abbandonato sulla riva, materia e colore si fondono e gli inquieti riflessi metallici danno alla sua forma una drammatica configurazione umana.
Giacinta Cavagna di Gualdana