il critico d’arte Tériade, in “L’Intransigeant” del 10 giugno 1929, recensendo la personale di Campigli alla Galerie Jeanne Bucher di Parigi, rilevava il carattere autenticamente italiano delle opere in mostra e che tale pittura si era potuta sviluppare solo nell’ambiente parigino: «Campigli est certainement un des meilleurs représentants de la jeune peinture italienne d’aujourd’hui. On ne peut pas dire de cette dernière qu’elle est réfugiée à Paris; M. Mussolini, paraît-il, encourage beaucoup le jeune mouvement en Italie. Convenons seulement que le milieu parisien favorise son éclosion. L’art de Campigli est authentiquement italien». Gli zingari, probabilmente esposto in quell’occasione con il titolo Les Tziganes, appartiene a tale ciclo di opere caratterizzato dalle suggestioni della visita alle collezioni etrusche del Museo di Villa Giulia a Roma e della vacanza in Romania nell’estate del 1928 con la compagna Magdalena Radulescu, detta Dutza. Queste esperienze furono una sorta di catalizzatore per la nuova produzione dell’artista, contraddistinta, da un lato, da un progetto di rivisitazione archeologica e antropologica della realtà; dall’altro, da una definizione più precisa della superficie pittorica in un senso materico e ruvido, tendente a una coloritura chiara e vibrata simile ai toni dell’affresco. Il titolo del quadro, elusivamente scelto a rappresentare l’antico popolo dalle mitiche genealogie, è anche un esplicito omaggio alla compagna Dutza, romena e di schiatta tzigana, a parere di Campigli. Il soggetto, aderente a questa lettura favolosa della stirpe gitana, richiama le attività arcaiche degli zingari: l’allevamento dei cavalli, la chiromanzia e la ceramica. Tuttavia l’elemento qualificante del quadro appare il ritmico disporsi delle figure nel vuoto, in un gioco di simmetrie di orizzontali e verticali, entro una profondità gessosa. Lo schema compositivo dell’opera, infatti, vede due figure femminili in primo piano, di cui una in piedi e l’altra distesa; una figura maschile eretta sul cavallo sullo sfondo, a destra, mentre a chiudere il registro sinistro c’è un acquedotto. Espliciti risultano i riferimenti alla tradizione moderna della pittura europea, dalle Arianne dormienti sulle piazze dechirichiane al tema picassiano del ragazzo nudo a cavallo, laddove gli innesti di soluzioni primiti viste si riallacciano a certe formule che disciplinano «l’arte dei monelli in Toscana» e le «opere delle grandi epoche d’arte anonima» (Campigli 1931, p. 1).
Paolo Ruscon
Bibliografia
Campigli 1931, tav. 3; Costantini 1934, p. 165; Capolavori dell’arte contemporanea 1954, p.13, n. 2; Arte moderna in Italia 1967, p. XXI, n. 814; Rusconi 1998, p. 158-159, n. 51; Campigli 2001, pp. 19, 23, 24, 213, n. 6.