4. Il carteggio con Clara inizia già da giugno. Rilke è a Parigi. Deve completare il suo lavoro su Rodin e il romanzo di Malte.7 Scrivere il Malte significa assumersi quel compito che Rilke ha assegnato a lui, a Malte: imparare a vedere. Imparare a vedere significa imparare una propria interiorità sconosciuta che ci affaccia in modo nuovo al mondo, che ci affaccia a un nuovo mondo. Imparare a vedere significa non trasfondere immediatamente le cose in poesia, come ha fatto Rilke nelle poesie giovanili, ma cogliere in esse “una sfumatura di lontananza”, che ci fa capire quanto, finora, le cose siano state soltanto mostrate, e non capite o offerte (Malte, p. 47). Imparare a vedere significa scoprire anche l’ostilità delle cose, la paura, per esempio, che “un sottile filo di lana sporgente dalla coperta sia duro, duro e acuminato come una punta di acciaio” (Malte, p. 77).
Rilke non ha ancora imparato a vedere. Aspira all’arte, ma l’opera d’arte è, come aveva detto anche Genet, esposizione al pericolo. Prendere questa strada significa “misurarsi con l’estremo”. Il suo rapporto con “i modelli” è falso, perché egli ancora non possiede “modelli umani”. Finora si è occupato, scrive, con “fiori, animali, paesaggi” (a Clara, 24 giugno 1907, p . 38). Il libro su Rodin si è arenato, perché lui, come Rodin, si è mosso soltanto “all’interno di ciò che è raggiungibile”, mentre è necessario giungere all’estremo, muoversi per l’oltre, verso l’impossibile (28 giugno 1907, p. 39). Questo è per lui Cézanne. Questo comincia a percepire il 7 ottobre, quando, di nuovo al Salon d’Automne, è davanti alla sala Cézanne “che subito ti chiama a sé, con la forza dei suoi quadri”. Perché “tutta la realtà è lì dalla sua parte: in questo denso blu ovattato che gli è proprio, nel suo rosso e nel suo verde senza ombra e nel nero rossastro delle sue bottiglie di vino” (pp. 48-49).
Rilke dovrà mettersi faccia a faccia con Cézanne. Imparare dalla sua “dottrina”. Dovrà fare però ancora un lungo apprendistato. Il Malte sarà concluso solo nel 1910. Poi Rilke, viaggia. Ha sempre viaggiato. A Duino, ospite di Marie Thurm von Taxis sente di aver conquistato il diritto a cose che sembravano fino ad allora sfuggirgli, quelle cose che eccedevano ciò che è immediatamente raggiungibile. Scrive così il 2 gennaio 1912 la prima delle Elegie di Duino, a cui fa seguito, il mese dopo, la seconda Elegia. Poi frammenti, schegge, la grande crisi, fino all’immenso impeto creativo dei primi mesi del 1922 in cui, di getto, si completano le Elegie e i Sonetti a Orfeo. È significativo che poco più di un mese prima del compiersi della sua più grande opera poetica, in Rilke si riaffacci Cézanne. “È infinitamente grandioso e sconvolgente nel fenomeno-Cézanne (....) che egli sia per quasi quarant’anni rimasto ininterrottamente nell’intimo, nel centro più interiore della sua opera - e io spero un giorno di mostrare quanto della inaudita freschezza e integrità dei suoi quadri sia da attribuirsi a questa ostinazione.”8 Chissà se il testo in cui Rilke voleva mostrare la grandezza di Cézanne non sia proprio la poesia delle Elegie, in cui tanto di quanto egli aveva imparato si è depositato e si è espresso.