Grandi mostre. 5
GLI OLMECHI A PARIGI

TRA NATURALISMO
IDEALIZZATO

ED ESPRESSIONISMO
ASTRATTO

LA PRIMA ESPOSIZIONE EUROPEA DEDICATA ALLA CULTURA OLMECA: UNA DELLE CIVILTÀ MESOAMERICANE PIÙ IMPORTANTI E POCO CONOSCIUTE, DEFINITA IN MODO PUNTUALE SOLO A PARTIRE DAGLI ANNI QUARANTA DEL SECOLO SCORSO.

Antonio Aimi

Finalmente gli olmechi sbarcano in Europa. Il merito del loro arrivo è del Musée du Quai Branly - Jacques Chirac di Parigi, che fino al 25 luglio ospita una mostra su una delle culture più importanti e sconosciute della Mesoamerica: quella, appunto, degli olmechi. E a rimarcare l’importanza dell’evento si può ricordare che finora nel mondo sono state fatte solo tre grandi mostre sulla cultura olmeca. 

Non a caso tutte si sono tenute negli Stati Uniti, le prime due risalgono al 1995-1996 e l’ultima al 2010-2011. Le ragioni della scarsa presenza degli olmechi nell’immaginario occidentale e, quindi, nelle iniziative espositive sulle culture extraeuropee, sono dovute soprattutto a due motivi. 

In primo luogo si deve ricordare che essi non entrarono in contatto coi “conquistadores”, dato che la loro cultura era scomparsa oltre mille anni prima dell’arrivo degli spagnoli e per questa ragione rimasero estranei all’epica della Conquista. 

In secondo luogo pesa il fatto che sul piano archeologico la cultura olmeca è stata definita con precisione solo nella Segunda Reunión de Mesa Redonda sobre problemas antropológicos de México y Centro América di Tuxtla Gutiérrez (Chiapas, Messico, 1942). 

Ovviamente, anche prima di allora diversi reperti olmechi erano presenti nei musei ed erano stati individuati i tratti stilistici che li univano. Inoltre, le prime ricerche archeologiche nei siti olmechi più importanti erano cominciate negli anni Venti del Novecento. 

Nonostante tutto questo, però, il ruolo della cultura olmeca non era ancora chiaro.


Uno dei tratti distintivi della cultura olmeca si caratterizza per la tipologia dei baby-faces


Lottatore di Uxpanapa (1500 - 400 a.C.), Città del Messico, Museo Nacional de Antropología.

Signore di Las Limas (900 - 400 a.C.), Xalapa, Veracruz (Messico), Museo de Antropología de Xalapa.


Bambino paffuto (1200 - 800 a.C.), Città del Messico, Museo Nacional de Antropología.

Ciò che, invece, è diventato sempre più chiaro è che la cultura olmeca sviluppò per prima e portò a piena maturità quei tratti culturali che caratterizzarono tutte le successive culture della Mesoamerica. 

Essa fu il risultato del processo che a partire dal 2000 a.C. portò a una certa stratificazione sociale e alla nascita di città e di un potere (è difficile capire se si trattò di “chiefdoms” o di Stati) che aveva l’autorità e il prestigio per organizzare la costruzione di centri cerimoniali, che richiedevano il lavoro coordinato di migliaia di persone. L’area nucleare di questo processo fu una regione abbastanza ristretta (circa ventimila chilometri quadrati) situata lungo la Costa del Golfo. Tre città, in particolare, ebbero una posizione di assoluto rilievo: prima San Lorenzo (il momento dell’apogeo si può collocare tra 1200- 900 a.C.), poi La Venta (600-400 a.C.) e infine Tres Zapotes (600 a.C. - 100 d.C.). 

Tuttavia, come queste città esercitassero la loro egemonia non è chiaro. È certo, però, che la loro influenza andò ben oltre la Costa del Golfo e, in particolare, arrivò a caratterizzare fortemente alcuni centri molto lontani senza mostrare un gradiente centro-periferia, ma, anzi, “saltando” intere regioni che nei monumenti e nell’arte non rivelano evidenti ed esplicite influenze olmeche. Inevitabilmente sorge l’ipotesi che l’egemonia delle capitali della Costa del Golfo, un po’ come successivamente fece Teotihuacan, non passasse attraverso una continuità territoriale, ma si limitasse a “controllare” alcuni avamposti in un oceano di tradizioni locali.


Una veduta della mostra. In primo piano una scultura del gruppo degli Azuzules (1200 - 900 a.C.), Xalapa, Veracruz (Messico), Museo de Antropología de Xalapa.


Donna scarificata (200 d.C. circa), Ciudad Valles, San Luis Potosí (Messico), Zona Arqueológica de Tamtoc.

Opere che spiccano anche per il loro valore archeologico-antropologico


Dato che alcuni tratti della cultura olmeca (i calendari, i sistemi di scrittura ideografico-fonetici, certi stilemi artistico- architettonici, alcune divinità e il gioco della palla che, ovviamente, aveva connotazioni religiose più che sportive) finirono per imporsi al resto della Mesoamerica, la cultura olmeca è un po’ considerata la “madre delle culture mesoamericane”. Verso il 300 a.C., per quanto Tres Zapotes fosse ancora nel pieno del suo splendore, i tratti distintivi di questa cultura cominciarono a sfumare, per poi scomparire del tutto. Più che ad avvenimenti traumatici (guerre ecc.), che, peraltro, non si possono escludere, è probabile che quella che a noi sembra un’inspiegabile scomparsa non sia altro che una semplice e lunga trasformazione. 

Lungo la Costa del Golfo si svilupparono le culture epiolmeche, a cui si devono due invenzioni destinate ad avere molto peso soprattutto tra i maya del periodo classico: il Conto lungo (un calendario che nella sua versione più comune presentava un ciclo di 5125,3661 anni) e le stele che raccontavano le “res gestae” e le genealogie dei sovrani. 

Nella mostra, curata da Cora Falero Ruiz del Museo Nacional de Antropología di Città del Messico e da Steve Bourget del Musée du Quai Branly - Jacques Chirac, sono esposte circa trecento opere, che non documentano solo la cultura degli olmechi, ma anche quella delle altre popolazioni della Costa del Golfo che vennero dopo di loro. 

Da questo punto di vista, però, è doveroso osservare che le scelte dei curatori sono alquanto discutibili, sia perché la scansione cronologica non è presentata in modo chiaro, sia, soprattutto, perché alcune di queste culture sono rappresentate in modo assolutamente insoddisfacente. Uno dei casi più clamorosi è quello della cultura Veracruz del periodo classico (300-900), che, pur avendo prodotto migliaia di opere di straordinario livello, è decisamente sottorappresentata. 

Il percorso espositivo si sviluppa in cinque aree tematiche: “Gli olmechi”, “Lingue e scritture”, “Donne e uomini del Golfo”, “Offerte”, “Scambi”. 

Tra le opere più significative dell’arte olmeca, un posto di primo piano sicuramente spetta alla Testa colossale 4 di San Lorenzo, una delle diciassette sculture analoghe (arrivano a quasi due metri), che sono una tipologia tipica ed esclusiva degli olmechi. Esse rappresentavano, probabilmente, teste di re raffigurati col naso camuso e le labbra carnose con le commessure tirate verso il basso, un elemento, quest’ultimo, tipico dell’arte olmeca. 

Accanto alla Testa colossale 4 è doveroso segnalare che la mostra del Musée du Quai Branly - Jacques Chirac presenta altre opere che da sole meriterebbero il viaggio per le loro qualità artistiche o per la loro importanza archeologico-antropologica. Tra queste si deve segnalare il Signore di Las Limas, una scultura, scoperta solo nel 1965, che fu dapprima usata come utensile e poi come “matrona” in una chiesa. Raffigura un personaggio che tiene in braccio un bambino pardiantropo inanimato ed è la più bella rappresentazione del tema dell’offerta del bambino (come è noto, in alcune culture della Mesoamerica i bambini venivano sacrificati agli dei della pioggia). 

Accanto a questa opera si possono collocare gli Azuzules, gruppo di quattro sculture che in origine, probabilmente, rappresentavano i protagonisti di un mito cosmogonico: due felini in parte antropomorfizzati e due personaggi che stanno per sollevare il bastone che consente di separare il cielo dalla terra. 

Un altro gruppo di reperti unico al mondo è costituito dall’Offerta 4 di La Venta: una scena con sedici figurine e sei stele in miniatura, il cui posizionamento, cosa straordinaria nell’ambito delle mostre sulle culture preispaniche, non è dovuto all’immaginazione di qualche esperto di allestimenti museali, ma agli stessi sacerdoti di La Venta. 

Tra i pezzi che eccellono per via delle loro qualità artistiche emergono in particolare due dei capolavori dell’arte olmeca: il bambino paffuto scoperto a Tlapacoya e il cosiddetto Lottatore di Uxpanapa, che, nonostante il nome, potrebbe rappresentare uno sciamano in una postura che evoca i movimenti atti a portare alla trance. Purtroppo, però, queste opere non sono valorizzate in modo adeguato, perché la mostra ignora rigorosamente la tematica delle attribuzioni. 

Da questo punto di vista, prendendo in esame i reperti in mostra a Parigi con le categorie interpretative della storia dell’arte, si può concludere che nell’arte olmeca coesistono, tra le altre, due macrocorrenti artistiche molto diverse: quella del naturalismo idealizzato e quella dell’espressionismo astratto. 

E dato che recentemente il famoso archeologo nippo-statunitense Takeshi Inomata, commentando le scoperte fatte ad Aguada Fénix, un sito collocato tra l’area olmeca e quella maya, ha scritto sulla prestigiosa rivista “Nature” che «l’immagine naturalistica di un animale contrasta con l’arte olmeca» non rimane che ribadire che la conoscenza degli strumenti analitici della storia dell’arte è indispensabile anche per gli archeologi.


Offerta 4 di La Venta, scena con sedici figurine e sei stele in miniatura (900 a.C. - 400 a.C.), Città del Messico, Museo Nacional de Antropología.


Monumento 1 di Tuxpan raffigurante una donna seduta sui talloni (1200-1521), Città del Messico, Museo Nacional de Antropología.


Monumento 52 di San Lorenzo, raffigurante un uomo seduto (1200-1521), Città del Messico, Museo Nacional de Antropología.

Les Olmèques et les cultures du golfe du Mexique

a cura di Cora Falero Ruiz e Steve Bourget
Parigi, Musée du Quai Branly - Jacques Chirac
fino al 25 luglio
orario 10.30-19, giovedì 10.30-22, chiuso lunedì
catalogo Musée du Quai Branly - Jacques Chirac / Skira
www.quaibranly.fr

ART E DOSSIER N. 385
ART E DOSSIER N. 385
MARZO 2021
In questo numero: IN MOSTRA: Signac a Parigi; La collezione Ramo a Houston; Olmechi a Parigi. MARMI DI TORLONIA: Vita complicata di una grande collezione. COSA CI DICE IL VOLTO: Della Porta e la fisiognomica; il filosofo di Porticello; gli autoritratti di Francesca Woodman. CONTEMPORANEI TRANSNAZIONALI: Le non-sculture di Lee Seung-Taek, Alighiero Boetti e Salman Ali. Direttore: Claudio Pescio