Intervista
Christian Boltanski

LA MEMORIA,
IL CASO

La narrazione e la biografia occupano un posto essenziale nell’opera di Christian Boltanski, uno dei più importanti artisti contemporanei francesi. Durante la nostra intervista abbiamo cercato di portare alla luce i molteplici aspetti del suo percorso culturale e professionale.

Sarah Palermo

cominciamo parlando delle sue radici. Il suo cognome evidenzia origini ucraine, ma lei ha anche sangue corso e un forte legame con la cultura ebraica, nonostante sia noto nel mondo come il più importante artista contemporaneo francese. In questo intreccio culturale, dove si riconosce maggiormente?

Sono per metà corso-cristiano e per metà ucrainoebraico di Odessa, vengo da un “mélange” un po’ speciale. Oggi non sono credente, sebbene mi interessi sempre moltissimo alla religione in maniera generale, al culto buddista e in particolare a quello ebraico per cui ho un grande riguardo. Da quando frequento il Giappone mi sono avvicinato inoltre allo scintoismo, ma ci tengo ad affermare che non sono religioso.


Dalla sua arte trapela un forte legame con l’area tedesca-mitteleuropea. Che rapporto ha con questa cultura?

Sì, io sono molto legato alla cultura dell’Europa centrale, e la Germania per me è un fulcro mitteleuropeo. Ho sempre avuto interesse per tutte le culture di quest’area, ed effettivamente mi sono dedicato ed ero molto vicino a Tadeusz Kantor del teatro polacco e alla ballerina tedesca Pina Bausch, dunque è più lo spirito espressionista che mi ha influenzato rispetto alla cultura francese. Sono nato a Parigi, ma la cultura tedesca è quella che mi rappresenta maggiormente.

Ama sollevare interrogativi esistenziali e porre domande in maniera visiva, per esempio con i Monuments, opere ironicamente composte di materiali fragili (scatole di latta, scatole di biscotti). Che cos’è l’ironia nell’arte per Boltanski?

Per me l’ironia è porre delle domande e non dare mai risposte, non mi piace mai conoscere la risposta. Ed è inoltre la capacità di dare delle emozioni. Fare domande e dare emozioni: ognuna delle mie opere è fatta dunque di una piccola storia, un diverso modo di porsi domande.

Penso sempre che se non fossi stato un parigino del XX secolo, se fossi stato per esempio uno sciamano in Amazzonia avrei avuto una diversa analisi di ricerca, un metodo per farsi delle domande, esistenziali - studiando l’immagine, il suono, l’odore, criteri ora per me assolutamente importanti.


Personnes, installazione realizzata nel 2010 in occasione della terza edizione di Monumenta al Grand Palais di Parigi.

«Fare domande e dare emozioni»
(Boltanski)


Andando oltre l’ironia, nella sua arte c’è un ruolo molto importante che è quello della memoria con cui lei racconta i momenti più intensi della sua vita e analizza la storia collettiva e la relazione individuale sulle quali lavora attraverso immagini fotografiche, oggetti di uso comune come vestiti, archivi metallici oppure oggetti da collezionare. Ma qual è l’importanza della memoria per l’artista?
Ci sono riflessioni davanti a cui mi pongo che io ritengo fortemente importanti, per esempio vi potreste ricordare di vostra nonna, ma non di vostro nonno, dunque per ogni persona ce ne sono altrettante che sono talmente rilevanti da non volerle mai perdere. Io lavoro cercando di evitare la scomparsa di tutte queste persone che mi hanno circondato e che circondano tutti gli altri, mi riferisco alla figura del nonno, ma potrebbe essere una qualsiasi altra persona che non tutti oggi possono ricordare. Ci sono delle ricerche che io faccio al principio dei miei lavori: analizzo quella che è chiamata “la piccola memoria”, ossia la fragile singolarità di ognuno, perché la “grande memoria” è quella che è costituita dalle guerre o le grandi tragedie. È una memoria collettiva di queste tragedie che passa in modo fin troppo veloce. C’è dunque una sorta di lotta che interviene tra l’oblio e la salvaguardia totale della memoria, ma allo stesso tempo io sono fermamente convinto che se si aspetta non si può salvare niente. A ogni modo, una grande cosa dell’arte è che si può parlare di sé diventando noi stessi gli altri. Dunque io penso che l’artista parla di ciò che conosce e chiunque guardi le sue opere ha la possibilità di identificare in esse se stesso. Ossia, se io vedo un viso di cui ho memoria, in quei ricordi riesco a riconoscere me stesso. Sono realtà molto personali ma le cose personali diventano collettive, riguardano tutti.

Il suo rapporto con la morte, tema che affronta anche in maniera ironica, ricorre spesso come una componente fondamentale della sua ricerca artistica che lei divide in tre momenti.

Penso sia un tema importante su cui porsi domande e ogni momento della vita cambia le risposte che possiamo darci, risposte che mutano anche a seconda di chi se le pone. Ogni persona ha un’opinione diversa su questo tema, nel mio caso per esempio era più la morte degli altri che mi interessava mentre oggi è piuttosto la mia. Ci sono stati tre importanti momenti di creazione nella mia vita. Il primo quando sono diventato un artista adulto, il secondo quando sono morti i miei genitori, il terzo ora che sono più maturo.


«La vita è fatta di casualità, base importante nella mia evoluzione artistica»
(Boltanski)


Dedichiamo l’ultima domanda al suo rapporto con l’Italia a cui lei è molto legato, un pensiero particolare per i quarant’anni dalle stragi di Ustica e di Bologna.

Sì, in particolare parlando di memoria, sono stato molto colpito dalla tragedia di Ustica, che mi ha condotto all’installazione presso il Museo per la memoria di Ustica di un’opera che mi ha legato molto alla città di Bologna. In Italia posso dire di aver lavorato in diversi luoghi. Ho partecipato a diverse Biennali di Venezia e proprio in uno dei progetti per il Padiglione francese nel 2011 ho presentato Chance, che espone un tema che ritengo essere da sempre basilare del mio lavoro. Non tratto solo la memoria, ma soprattutto l’“hasard” [il caso] che si differenzia moltissimo dal destino. Da sempre le due realtà si pongono delle domande che determinano una sorta di spiegazione del mondo a sfondo religioso, io non credo questo, sostengo piuttosto che la vita sia fatta di casualità, base importante nella mia evoluzione artistica.


Réserve des Suisses morts (1991), installazione presentata alla Galerie Ghislaine Hussenot di Parigi.

The Storehouse (1988), New York, MoMA - Museum of Modern Art.


Chance, installazione realizzata nel 2011 per il Padiglione francese in occasione della 54. Biennale di Venezia

ART E DOSSIER N. 383
ART E DOSSIER N. 383
GENNAIO 2021
In questi numero: SAVE ITALY - Attacco al cuore mitteleuropeo; CAMERA CON VISTA - Venezia e dopo; ARTE CONTEMPORANEA - Il plinto sulla High Line; STORIE A STRISCE - Contrabbandieri di storie; ARCHITETTURA PER L'ARTE - In città tra fiumi, laghi, templi e giardini; GRANDI MOSTRE. 1 Chen Zhen a Milano - Esplosivo, definitivo; XXI SECOLO. 1 Restituzioni - Patrimonio di chi?; XXI SECOLO. 2 Musei e decolonizzazione - Alla ricerca di un equilibrio; INTERVISTA- Christian Boltanski - La memoria, il caso; XX SECOLO- Eugenio Garin e Maurizio Calvesi - Il filosofo e il suo “allievo”; LUOGHI DA CONOSCERE - Collezione Marzadori a Bologna - Nel deposito dove regna l’autarchia; PAGINA NERA - Non è degno di un encomio quel dismesso manicomio; LETTURE ICONOLOGICHE. 1 Angelo Caroselli, caravaggista eccentrico - Maghe, madonne e prostitute; LETTURE ICONOLOGICHE. 2 Bruegel e gli zingari - Il profeta e il chiromante; STUDI E RISCOPERTE. 1 L’“infrasottile” di Duchamp: analogie e anacronismi - Al limite della percezione;STUDI E RISCOPERTE. 2 I draghi tra mito e tassidermia - Creatori di basilischi;OGGETTO MISTERIOSO - Quando un’eclissi può far perdere la vista; GRANDI MOSTRE. 2 Antelami a Parma - Un calendario medievale; IN TENDENZA - Un rivoluzionario al ribasso.