XXI secolo. 2
Musei e decolonizzazione

ALLA RICERCA
DI UN EQUILIBRIO

L’inaugurazione nel 2000 del Pavillon des Sessions del Louvre rappresenta il momento più saliente della “decolonizzazione” dei grandi musei e l’inizio del processo che in tutto il mondo ha portato ad apprezzare l’arte “altra” come arte e non come etnografia.

Antonio Aimi

Le proteste che si sono levate a seguito della morte di George Floyd, oltre alla questione specifica della violenza della polizia degli Stati Uniti hanno posto problemi più generali che vanno dalla legittimità dei monumenti dedicati a veri o presunti schiavisti alla “repatriation” dei reperti dell’Africa subsahariana e alla “decolonizzazione” dei musei di antropologia o dei musei generalisti con importanti collezioni d’arte africana.

In Europa, e soprattutto in Gran Bretagna, alcune associazioni sono entrate nel merito della “decolonizzazione” chiedendo, tra l’altro, che i musei diano una «chiara ed esplicita informazione sulla storia e l’acquisizione degli oggetti» più legati al colonialismo e che si impegnino a «riscrivere» le didascalie delle opere d’arte che hanno «parole sensibili sul piano razziale» o che presentano descrizioni superate delle «popolazioni nere».

Queste richieste, tuttavia, sembrano ignorare un fatto eclatante: in Europa e nelle Americhe, in generale, la “decolonizzazione” dei grandi musei è spesso già stata fatta. E con eccellenti risultati. È stata realizzata non parlando tanto di “decolonizzazione”, ma semplicemente aggiornando i musei a partire da quanto le ricerche antropologiche e della storia dell’arte extraeuropea hanno sedimentato negli ultimi decenni.

Naturalmente, ci sono anche i casi di musei meno importanti, come il Pitt Rivers di Oxford, dove la “decolonizzazione” inizia adesso. Ma questo è un dato che non cambia il quadro generale.

L’antropologia e l’arte sono stati i terreni nei quali sono nati percorsi museografici decolonizzati e non etnocentrici. A livello antropologico la scelta è stata relativamente semplice, perché si è trattato di applicare ai reperti dei musei le categorie che da qualche decennio questa disciplina usava nell’affrontare le diverse culture del mondo. A livello artistico, però, è stato più complesso, nonostante Picasso e le avanguardie del Novecento avessero già indicato la strada. Infatti, non è stato facile far sì che “specialisti” e non addetti ai lavori riuscissero a vedere in opere “strane” e “diverse” gli equilibri di forme e di volumi che caratterizzano i capolavori di tutte le culture del mondo.

L’antropologia e l’arte sono stati i terreni nei quali sono nati percorsi museografici decolonizzati e non etnocentrici


Il momento più importante sul piano reale e su quello simbolico di questo aggiornamento si è verificato il 13 aprile 2000 quando è stato inaugurato il Pavillon des Sessions del Louvre, che presenta ai visitatori centododici opere d’arte di tutti i continenti a poche decine di metri dalla Gioconda.

Pertanto, da allora, nonostante alcune resistenze di retroguardia, il peso del Louvre a livello globale ha fatto cambiare lo sguardo di tutti verso l’arte “altra”. Inutile dire, poi, che questa scelta, ha condizionato, in un modo o nell’altro, anche quei musei europei che non condividevano e non condividono il taglio estetizzante del Pavillon des Sessions.


Reliquiari Kota (XIX - inizio XX secolo), Parigi, Musée du Quai Branly Jacques Chirac.

Il regista di quell’operazione col quale, proprio in quella occasione, parlai a lungo (ingenuamente non pensai di proporgli di trasformare la nostra conversazione in una intervista) era Jacques Kerchache, una complessa e discussa figura di collezionista e mercante, soprattutto di arte africana, che nel 1990 aveva fatto pubblicare su “Libération” un manifesto, firmato da trecento artisti e intellettuali, che significativamente era titolato: I capolavori del mondo intero nascono liberi ed eguali. Nel manifesto, in particolare, si auspicava che il progetto del Grand Louvre fosse aperto alle opere d’arte di tutto il mondo, avvisando che l’esclusione dal museo «delle opere più importanti dei tre-quarti dell’umanità» avrebbe riproposto la cecità della “notte coloniale”.

Il progetto di Kerchache, che non si fermava al Louvre e prevedeva una radicale ristrutturazione delle raccolte antropologiche della Francia, è culminato il 23 giugno 2006 con l’inaugurazione del Musée du Quai Branly Jacques Chirac(*) di cui il Pavillon des Sessions è “l’antenna”.

Significativamente, il Musée du Quai Branly Jacques Chirac, che è stato pensato e realizzato per essere uno dei musei di antropologia più importanti del mondo (l’obiettivo è stato immediatamente raggiunto) per la quantità e la qualità delle opere esposte e per il numero dei visitatori, si autopresenta come il luogo dove “dialogano le culture”.

Per quanto il Pavillon des Sessions e il Musée du Quai Branly Jacques Chirac siano espressione di uno stesso progetto, hanno museografie diverse, alle quali non sono estranee sia la morte di Kerchache (2001), sia le critiche che, sorprendentemente, si sono levate contro il progetto da parte di diversi antropologi del vecchio Musée de l’Homme.

Coerentemente con la visione di Kerchache, la museografia del Pavillon des Sessions tende a presentare i reperti in modo tale che si possano contemplarne le forme senza interferenze.

Non a caso, dunque, le didascalie sono ridotte al minimo e sono collocate lontano dai pezzi per evitare l’affollamento di visitatori in cerca di chiarimenti, che, al contrario di quanto avviene di solito nei musei, sono disponibili in una sala apposita, dove alcuni computer e uno splendido software danno a chi lo desidera la possibilità di avere un commento estetico, tipologico e antropologico sulle opere esposte.

La museografia del Musée du Quai Branly Jacques Chirac, invece, si differenzia nettamente dai tagli estetizzanti del Pavillon des Sessions e, senza negare la qualità estetica delle opere esposte, ripropone i percorsi geografici, cronologici, tematici e materici dei tradizionali musei di antropologia.


Scultura azteca raffigurante Quetzalcoatl (1428-1521), Parigi, Musée du Louvre, Pavillon des Sessions.

Il Pavillon des Sessions tende a presentare i reperti in modo tale che si possano contemplarne le forme senza interferenze


In ogni caso è evidente che, dal punto di vista che qui si sta prendendo in esame, i due musei non hanno nulla da “decolonizzare”, ma sono espressione di una visione che chiaramente rifiuta le vecchie impostazioni coloniali o postcoloniali. Il primo lo fa attraverso l’arte, il secondo attraverso l’antropologia. Naturalmente, ciò non significa che i loro percorsi espositivi siano perfetti, come hanno dimostrato i successivi, numerosi ritocchi nelle sale del Musée du Quai Branly Jacques Chirac e come io stesso, che in Italia sono stato uno dei pochi a difendere la scelta del Pavillon des Sessions, ho messo in evidenza, osservando che nella selezione delle opere Kerchache aveva ignorato capolavori straordinari, pur presenti nei musei francesi, di diverse culture dell’antica America.

Sulla museografia del Musée du Quai Branly Jacques Chirac, inoltre, è importante osservare che i responsabili del percorso espositivo hanno potuto contare sulle esperienze di decine di musei che ripropongono le categorie scientifiche dell’antropologia che si sono affermate negli Stati Uniti nella prima metà del Novecento a partire dal relativismo culturale e, quindi, dal rifiuto dell’etnocentrismo di Franz Boas e dei suoi allievi.


Da destra verso sinistra: una scultura-maschera reale del regno di Bamendu; una maternità Bangua; una scultura-tamburo Yangéré; una maternità Urhobo; un appoggia-testa Luba.

In Europa (come è noto il British Museum è un caso molto particolare, che per ragioni di spazio qui non è possibile prendere in esame) queste esperienze museografiche sono state portate avanti soprattutto nel secondo dopoguerra, perché il contesto ideologico e sociopolitico dei decenni precedenti operava sui musei un forte condizionamento dovuto non solo al colonialismo, ma anche alla presenza di ideologie razziste prive di ogni fondamento scientifico.

Ovviamente, in Europa e nelle Americhe i percorsi espositivi dei musei che propongono modelli antropologici e che, quindi, non devono essere “decolonizzati” sono piuttosto diversi, anche se condividono la stessa impostazione di fondo. Tra di loro, in particolare, è doveroso segnalare il Museo Nacional de Antropología di Città del Messico, che riesce a coniugare mirabilmente e con efficacia straordinaria l’antropologia con la “decolonizzazione”, celebrando, appunto, le culture preispaniche cancellate dai “conquistadores”.

Jacques Chirac all’inagurazione del Pavillon des Session del Louvre il 13 aprile 2000. Il presidente sta guardando la figurina Chupícuaro, che è simbolo del Pavillon des Session del Louvre e del Musée du Quai Branly Jacques Chirac.


La sala centrale della sezione azteca del Museo Nacional de Antropología di Città del Messico. In primio piano la Pietra di Montezuma Ilhuicamina, che regnò dal 1441 al 1469. In fondo, leggermente sulla sinistra, la Pietra del Sole.

(*) Il nome del presidente della Repubblica francese che ha promosso tutto l’ambizioso progetto è stato aggiunto nel 2016.

ART E DOSSIER N. 383
ART E DOSSIER N. 383
GENNAIO 2021
In questi numero: SAVE ITALY - Attacco al cuore mitteleuropeo; CAMERA CON VISTA - Venezia e dopo; ARTE CONTEMPORANEA - Il plinto sulla High Line; STORIE A STRISCE - Contrabbandieri di storie; ARCHITETTURA PER L'ARTE - In città tra fiumi, laghi, templi e giardini; GRANDI MOSTRE. 1 Chen Zhen a Milano - Esplosivo, definitivo; XXI SECOLO. 1 Restituzioni - Patrimonio di chi?; XXI SECOLO. 2 Musei e decolonizzazione - Alla ricerca di un equilibrio; INTERVISTA- Christian Boltanski - La memoria, il caso; XX SECOLO- Eugenio Garin e Maurizio Calvesi - Il filosofo e il suo “allievo”; LUOGHI DA CONOSCERE - Collezione Marzadori a Bologna - Nel deposito dove regna l’autarchia; PAGINA NERA - Non è degno di un encomio quel dismesso manicomio; LETTURE ICONOLOGICHE. 1 Angelo Caroselli, caravaggista eccentrico - Maghe, madonne e prostitute; LETTURE ICONOLOGICHE. 2 Bruegel e gli zingari - Il profeta e il chiromante; STUDI E RISCOPERTE. 1 L’“infrasottile” di Duchamp: analogie e anacronismi - Al limite della percezione;STUDI E RISCOPERTE. 2 I draghi tra mito e tassidermia - Creatori di basilischi;OGGETTO MISTERIOSO - Quando un’eclissi può far perdere la vista; GRANDI MOSTRE. 2 Antelami a Parma - Un calendario medievale; IN TENDENZA - Un rivoluzionario al ribasso.