La mostra riprende la selezione delle immagini realizzata da Richard Whelan (il maggiore biografo di Capa) nel 2012 in quanto costituisce un corpus ben delineato ed emblematico di tutta la produzione di Capa. Oltre ai reportage di guerra, un’intera sezione in mostra è composta da ritratti di amici e artisti tra cui Picasso, Ingrid Bergman, Hemingway, Faulkner, Matisse.
La fotografia, soprattutto quella di reportage, è un documento che può anche svolgere la funzione di monumento. Può. Lungi dal voler essere solo fedeli rappresentazioni del reale che accompagnano i servizi giornalistici, le immagini fotografiche sono percezioni soggettive, il modo in cui i loro autori hanno guardato il mondo e, con uno scatto, ce l’hanno restituito. È il punto di vista che crea l’oggetto. Le immagini che immortalano un evento saliente della storia dell’umanità, come lo sono tutte le guerre, oltre a fornire informazioni che ci consentono di ricostruirlo, non sono “rappresentazioni di eventi” ma sono “evento” esse stesse: possono diventare emblema di un’epoca e della sua cultura se sono in grado di testimoniare quanto vi è oltre al momento e al luogo in cui sono state realizzate. Funzionando anche sul piano simbolico e non solo descrittivo, tutte le immagini possono acquisire una nuova valenza. Monumenti, dunque, di efficacia universale che hanno un effetto di realtà ma che possono altresì alludere, invitare a riflettere, sensibilizzare, educare, significare altro. Nell’era, la nostra, in cui la comunicazione per immagini impera incontrastata, è improrogabile la riflessione sulla potenza e sull’onestà della fotografia ed è per questa ragione che, tra i grandi fotografi fondatori della Magnum, per questa mostra si è scelto Capa.
Flussi ininterrotti di notizie visive modificano la nostra percezione e ci rendono vittime, talvolta consapevoli altre meno, di una costruzione artefatta e deviante dell’informazione. Se non può in alcun modo sussistere la pretesa di imparzialità, di obiettività delle immagini, dovrebbe invece imporsi la necessità di un’etica fotografica.
Documentando le maggiori guerre del secolo scorso Robert Capa ha lasciato chiare istruzioni su come i conflitti dovrebbero essere riferiti, mediante la fotografia, da chi è presente nel campo di battaglia al resto del mondo.
È stato spesso sottolineato come la fotografia di Capa sia stata rispettosa per l’umanità ritratta la quale si ostinava a condurre una vita “normale” pur in condizioni estreme. Uno sguardo fotografico attento alla quotidianità anche laddove le condizioni parevano disumane. Capa con i suoi celeberrimi scatti può, nel delicato momento storico che stiamo vivendo, raggiungere le più diverse coscienze e rappresentare per immagini i timori di ciascuno di noi. Un occhio sensibile attraverso l’obiettivo e sfrontato sul campo che può insegnare a guardare il mondo in modo diverso, più orientato alla delicatezza e ai momenti di serenità che in tanta violenza possono emergere. Gli estremi coincidono: è difficile fotografare gli orrori dei conflitti tanto quanto è difficile fotografare le più grandi bellezze e di questo Capa era consapevole. La sua vita ha ruotato intorno a questo assunto anche perché «Capa non può essere relegato semplicemente alla categoria dei fotografi di guerra, dal momento che molte delle sue immagini ritraggono anche calorose e vivaci scene di pace.[…]. Con la sua complessa documentazione fotogiornalistica, Capa è riuscito a rivaleggiare in misura sempre maggiore con l’operato dei fotografi artisticamente più consapevoli per quel che riguarda sensibilità, potenza emotiva e impatto visivo», disse di lui Whelan. Ciononostante le fotografie di guerra rimangono al centro del suo lavoro, un lavoro che oggi conosciamo nella sua interezza in quanto corpus chiuso, interrotto da una morte troppo precoce e che ci restituisce dell’autore un profilo inconfondibile e nitido.
Un occhio sensibile attraverso l’obiettivo e sfrontato sul campo che può insegnare
a guardare il mondo in modo diverso
Oggi è per noi possibile conoscere Capa attraverso le fotografie, che diventano pagine di un diario, di un comportamento, un carattere di un uomo che ha “firmato” le sue opere con il tremolìo della concitazione nelle acque dello sbarco in Normandia, con la sua altezza come punto di vista, con la sua prontezza a cogliere l’attimo in cui il miliziano spagnolo viene colpito a morte e la sua sensibilità di fronte a donne e bambini, con i suoi temi e i suoi soggetti prediletti.
«Io sono qui», dice Robert Capa in ciascuno scatto, e noi lo riconosciamo in tutti i suoi bianchi e neri.