Grandi mostre. 1 
Robert Capa a Bassano del Grappa (Vicenza)

IO SONO
QUI

Robert Capa è stato fotoreporter dei più cruenti conflitti del secolo scorso, ma anche testimone della quotidianità e della bellezza. In questi giorni è protagonista al Museo civico di un progetto espositivo qui presentato dalla cocuratrice. A settant’anni dalla nascita dell’agenzia Magnum.

Chiara Casarin

dal 16 settembre 2017 al 22 gennaio 2018 il Museo civico di Bassano del Grappa (Vicenza) ospita la mostra Robert Capa. Retrospective in occasione delle celebrazioni dei settant’anni dalla fondazione dell’agenzia fotografica Magnum e realizzata in collaborazione con la Casa dei Tre Oci di Venezia e Manfrotto Imagine More. Novantasette immagini in bianco e nero restituiscono la visione con cui Capa visse i maggiori conflitti del XX secolo e testimoniano la sua necessità imprescindibile di prendere coscienza delle guerre riportandone dei frammenti sensibili ed eloquenti.
Robert Capa (pseudonimo di Endre Erno˝ Friedmann, Budapest 1913 - Thai Binh, Vietnam, 1954) è considerato il padre del fotogiornalismo, il miglior fotoreporter di guerra del mondo. In oltre vent’anni di attività segue i cinque maggiori conflitti del suo tempo, vi entra da spettatore e attore insieme, quasi con lo spirito di chi dovesse arruolarsi, con il desiderio di essere sempre al fronte e con l’unico scopo di portare le sue visioni oltre il campo di battaglia.

«Se le tue fotografie non sono all’altezza, non eri abbastanza vicino»
(Robert Capa)


Esiliato dall’Ungheria nel 1931 per aver partecipato ad attività studentesche di sinistra, Robert Capa inizia la sua attività di fotoreporter a Berlino per poi trasferirsi a Parigi nel 1934 diventando poco dopo famoso per le fotografie scattate durante la guerra civile spagnola tra il 1936 il 1939. Le dense immagini di Capa ripercorrono gli anni del Fronte Popolare a Parigi, la guerra di Spagna, l’invasione giapponese della Cina del 1938, per arrivare alla seconda guerra mondiale tra il 1939 e il 1945, che il fotografo segue sulle diverse zone di battaglia fino allo sbarco in Normandia. Seguono i suoi reportage in Unione Sovietica nel 1947, in Israele nel 1948, dove documenta la nascita dello Stato ebraico, fino a quello in Indocina nel 1954, dove perde la vita anticipando sul campo gli sminatori che voleva ritrarre di fronte. Pur non essendo un soldato, vive la maggior parte della sua vita sui campi di battaglia, dentro la scena, il dolore, a documentare i fatti: «Se le tue fotografie non sono all’altezza, non eri abbastanza vicino», è una sua celebre affermazione.



Miliziano colpito a morte, fronte di Cordoba, inizio settembre 1936.

D-Day: la prima ondata di truppe americane sbarca in Normandia sulla spiaggia chiamata in codice Omaha Beach (6 giugno 1944).

La mostra riprende la selezione delle immagini realizzata da Richard Whelan (il maggiore biografo di Capa) nel 2012 in quanto costituisce un corpus ben delineato ed emblematico di tutta la produzione di Capa. Oltre ai reportage di guerra, un’intera sezione in mostra è composta da ritratti di amici e artisti tra cui Picasso, Ingrid Bergman, Hemingway, Faulkner, Matisse.
La fotografia, soprattutto quella di reportage, è un documento che può anche svolgere la funzione di monumento. Può. Lungi dal voler essere solo fedeli rappresentazioni del reale che accompagnano i servizi giornalistici, le immagini fotografiche sono percezioni soggettive, il modo in cui i loro autori hanno guardato il mondo e, con uno scatto, ce l’hanno restituito. È il punto di vista che crea l’oggetto. Le immagini che immortalano un evento saliente della storia dell’umanità, come lo sono tutte le guerre, oltre a fornire informazioni che ci consentono di ricostruirlo, non sono “rappresentazioni di eventi” ma sono “evento” esse stesse: possono diventare emblema di un’epoca e della sua cultura se sono in grado di testimoniare quanto vi è oltre al momento e al luogo in cui sono state realizzate. Funzionando anche sul piano simbolico e non solo descrittivo, tutte le immagini possono acquisire una nuova valenza. Monumenti, dunque, di efficacia universale che hanno un effetto di realtà ma che possono altresì alludere, invitare a riflettere, sensibilizzare, educare, significare altro. Nell’era, la nostra, in cui la comunicazione per immagini impera incontrastata, è improrogabile la riflessione sulla potenza e sull’onestà della fotografia ed è per questa ragione che, tra i grandi fotografi fondatori della Magnum, per questa mostra si è scelto Capa.
Flussi ininterrotti di notizie visive modificano la nostra percezione e ci rendono vittime, talvolta consapevoli altre meno, di una costruzione artefatta e deviante dell’informazione. Se non può in alcun modo sussistere la pretesa di imparzialità, di obiettività delle immagini, dovrebbe invece imporsi la necessità di un’etica fotografica.
Documentando le maggiori guerre del secolo scorso Robert Capa ha lasciato chiare istruzioni su come i conflitti dovrebbero essere riferiti, mediante la fotografia, da chi è presente nel campo di battaglia al resto del mondo.
È stato spesso sottolineato come la fotografia di Capa sia stata rispettosa per l’umanità ritratta la quale si ostinava a condurre una vita “normale” pur in condizioni estreme. Uno sguardo fotografico attento alla quotidianità anche laddove le condizioni parevano disumane. Capa con i suoi celeberrimi scatti può, nel delicato momento storico che stiamo vivendo, raggiungere le più diverse coscienze e rappresentare per immagini i timori di ciascuno di noi. Un occhio sensibile attraverso l’obiettivo e sfrontato sul campo che può insegnare a guardare il mondo in modo diverso, più orientato alla delicatezza e ai momenti di serenità che in tanta violenza possono emergere. Gli estremi coincidono: è difficile fotografare gli orrori dei conflitti tanto quanto è difficile fotografare le più grandi bellezze e di questo Capa era consapevole. La sua vita ha ruotato intorno a questo assunto anche perché «Capa non può essere relegato semplicemente alla categoria dei fotografi di guerra, dal momento che molte delle sue immagini ritraggono anche calorose e vivaci scene di pace.[…]. Con la sua complessa documentazione fotogiornalistica, Capa è riuscito a rivaleggiare in misura sempre maggiore con l’operato dei fotografi artisticamente più consapevoli per quel che riguarda sensibilità, potenza emotiva e impatto visivo», disse di lui Whelan. Ciononostante le fotografie di guerra rimangono al centro del suo lavoro, un lavoro che oggi conosciamo nella sua interezza in quanto corpus chiuso, interrotto da una morte troppo precoce e che ci restituisce dell’autore un profilo inconfondibile e nitido.


Un occhio sensibile attraverso l’obiettivo e sfrontato sul campo che può insegnare
a guardare il mondo in modo diverso

Oggi è per noi possibile conoscere Capa attraverso le fotografie, che diventano pagine di un diario, di un comportamento, un carattere di un uomo che ha “firmato” le sue opere con il tremolìo della concitazione nelle acque dello sbarco in Normandia, con la sua altezza come punto di vista, con la sua prontezza a cogliere l’attimo in cui il miliziano spagnolo viene colpito a morte e la sua sensibilità di fronte a donne e bambini, con i suoi temi e i suoi soggetti prediletti.
«Io sono qui», dice Robert Capa in ciascuno scatto, e noi lo riconosciamo in tutti i suoi bianchi e neri.


Persone in strada tra edifici in rovina, Berlino, agosto 1945.

Motociclisti e donna che cammina sulla strada da Nam Dinh a Thái Binh, Vietnam, 25 maggio 1954.

Ingrid Bergman in una scena drammatica del film Arco di trionfo, Hollywood luglio-ottobre 1946.

ART E DOSSIER N. 349
ART E DOSSIER N. 349
Dicembre 2017
In questo numero: COMICS: I PARENTI E GLI ANTENATI Medioevo a fumetti, Antonio Rubino a Olgiate Olona. IN MOSTRA Gioielli Moghul a Venezia, L’Assunta di Daddi a Prato, Le Secessioni a Rovigo, Capa a Bassano. RESTAURI Van Eyck ritrovato.Direttore: Philippe Daverio