Grandi mostre. 7 
Pittura olandese del XVII secolo nelle collezioni dell'Ermitage

LO ZAR CURIOSo
E LA ZARINA VORACE

Una selezione di opere di arte olandese del Secolo d’oro lascia l’Ermitage di San Pietroburgo per trasferirsi provvisoriamente proprio nella sua dépendance dei Paesi Bassi, l’Hermitage di Amsterdam. È un’occasione per vedere capolavori di Rembrandt e Van Ruisdael, ma anche per riflettere sul momento storico in cui, tra fine del Seicento e il secolo successivo, la Russia si affaccia con forza alla ribalta europea, avviando un rapporto in cui le arti visive hanno avuto un ruolo fondamentale.

Claudio Pescio

Lo zar Pietro I Romanov, Pietro il Grande, era “Grande” anche per la sua inestinguibile curiosità. Il 18 agosto 1697 arriva a Zandaam, porto dei Paesi Bassi celebre per i suoi cantieri navali, e si fa assumere come carpentiere sotto falso nome. Vuole imparare tutto sulla costruzione delle navi e dotare un giorno la Russia di una flotta degna delle grandi potenze internazionali. In breve la sua vera identità viene rivelata e una piccola folla inizia a seguirlo nei suoi spostamenti. Così esce allo scoperto e si trasferisce ad Amsterdam, dove frequenta la buona società del tempo ma riesce comunque a lavorare per la Compagnia delle Indie. Conosce artisti come Jan van der Heyden, noto per le sue vedute urbane ma soprattutto capo dei pompieri della città e inventore di una pompa per spegnere incendi di grande praticità d’uso. Conosce anche Antoni van Leeuwenhoek, perfezionatore del microscopio, tra i primi a studiare protozoi e spermatozoi e a postulare l’esistenza dei batteri. Visita fabbriche e ospedali, si reca anche in Inghilterra dove si guarda intorno con altrettanta attenzione. Al suo ritorno in patria nell’estate 1698 riesce a portare con sé ottocento fra tecnici e specialisti (aveva provato anche con Van der Heyden, senza successo) che inserisce negli snodi vitali dell’organizzazione produttiva russa, allora molto arretrata rispetto alle altre potenze europee.


Pietro è l’iniziatore di un interesse per le arti figurative che si diffonde nelle classi dominanti russe



Un rinnovamento che estende all’abbigliamento dei suoi compatrioti, al punto da vietare ai suoi sudditi l’antico uso di portare la barba (multa di cento copechi per i ricchi, un copeco per i poveri). Cambia anche il calendario, il sistema monetario, l’esercito, la Chiesa ortodossa, la struttura del governo, reprime nel sangue le cospirazioni dei boiari, riforma la scuola e le tasse, compie varie imprese militari, si libera della moglie e della sorella mandandole in convento, finché nel 1707 si sposa segretamente con una lituana di origini modeste, Martha, che cambia il suo nome e diviene Caterina. Con lei, che gli succederà brevemente sul trono alla sua morte (1725) fonda San Pietroburgo e costruisce il Peterhof. Libero, innovativo, sicuro di sé, capace di grande ammirazione per l’eccellenza ma anche animato da quella che Louis de Saint-Simon nei Mémoires definisce «un’antica barbarie» Pietro è l’iniziatore di un interesse per le arti figurative che si diffonde nelle classi dominanti russe e costituisce la base su cui poggia l’enorme collezione dell’Ermitage. Nel 1748 Voltaire gli dedica una monumentale biografia storica che ne consolida il mito di sovrano a suo modo “illuminato”, obbligato alla distruzione del passato come condizione necessaria perché si possa aprire la via del progresso; un innovatore che “dal nulla” o quasi crea un impero moderno. Posizioni che suscitano un dibattito all’inizio tutto interno all’illuminismo francese, con prese di posizioni da parte di Montesquieu e di Rousseau, ma che gradualmente si allarga. Nascono così, in Europa occidentale, un’attenzione intellettuale reale e un’idea preconcetta di lunga durata, un tarlo, un pregiudizio di fondo animato da una certa diffidenza, come accade per le cose che non si conoscono abbastanza e davvero ma sulle quali non si può fare a meno di farsi un’opinione. Attorno ai primi acquisti di Pietro il Grande si costruiscono le basi di quello che sarà uno dei musei più ricchi del mondo. Oggi l’istituzione Ermitage - transitata dagli zar all’Unione Sovietica, poi alla Russia - possiede oltre tre milioni di opere d’arte, delle quali sessantamila esposte. Quasi quattromila di quelle opere sono state acquistate da un’altra Caterina, la Grande, sovrana di famiglia tedesca che sale al trono nel 1762 e rimane zarina fino alla morte, nel 1796; è lei la vera iniziatrice del museo. Caterina II si pone idealmente sulla scia del suo modello dichiarato, Pietro il Grande. E in quell’ottica intrattiene rapporti intellettuali con l’ambiente filosofico illuminista. Non solo rapporti intellettuali: se Diderot vive negli agi tutta la vita (e dopo di lui la vedova, i figli e i nipoti) è essenzialmente per i puntuali sussidi che gli arrivano dalla corte moscovita. Per Caterina, in fondo, si tratta di un investimento in comunicazione di immagine - la zarina godrà sempre di buona stampa, nell’Europa che conta - e in consulenze di livello e prestigio: sono Voltaire e Diderot a favorire l’acquisizione da parte sua di importanti collezioni d’arte. Collezioni che acquista in blocco usando i propri ambasciatori, a volte pagando molte volte il loro valore effettivo, in preda a quella che lei stessa definiva “voracità” di opere d’arte. La sua intenzione, dichiarata, è di dar vita a una galleria d’arte di proporzioni gigantesche.
Quel che colpisce, negli acquisti e dunque nelle preferenze della zarina, è il numero altissimo di dipinti olandesi, l’Ermitage ne raccoglie oggi circa millecinquecento (dei quali una sessantina selezionati per la mostra di Amsterdam). Una misura davvero insolita, secondo i criteri accademici del collezionismo europeo del tempo; criteri ispirati, si direbbe, al severo giudizio attribuito da Francisco de Hollanda (1538) a Michelangelo secondo il quale «nelle Fiandre dipingono badando all’esattezza esteriore, o a cose che possano allietare la vista [...]. Dipingono stoffe ed edifici, l’erba verde dei prati, l’ombra degli alberi e fiumi e ponti [...]. Ma tutto questo, benché piaccia ad alcuni, è fatto senza ragione e arte, senza simmetria e proporzione, senza maestria nella scelta e ardimento, e insomma senza sostanza e senza vigore». L’accademia, la critica e il gusto avrebbero seguito a lungo questo giudizio/pregiudizio circolante in ambito italiano e italianizzante, in pratica presso tutte le classi colte d’Europa, imbevute di classicismo. Ma non a Mosca, dove evidentemente il desiderio di essere accolti come pari nelle corti europee, l’imitazione di quei gusti, mode e stili di vita non cancellavano del tutto inclinazioni e preferenze personali. Lo zar Pietro acquista il suo primo Rembrandt - il David e Gionata (1642) - nel 1717; oggi a San Pietroburgo i Rembrandt sono venticinque. Il ritorno del figliol prodigo, ancora di Rembrandt (1668) è il preferito di Caterina che lo compra grazie al suo ambasciatore all’Aja. Dal barone di Thiers, con l’aiuto di Diderot, nel 1772 acquista un’intera collezione di cui fa parte, tra l’altro, la Danae dello stesso autore (1636).


Willem Kalf, Natura morta con dessert (1653-1654).
 
Rembrandt, Giovane donna con orecchini (1656).

Gerrit Dou, Bagnante (1660-1665).

Quei dipinti in prosa, così realistici,
in Russia vengono accolti con entusiasmo


Ma non è solo il mistero profondo che si nasconde in ogni dipinto di Rembrandt ad attrarre Caterina, la collezione dell’Ermitage è ricchissima di dipinti di genere, di quelle scene di vita quotidiana, o addirittura domestica, che sono emblema della diversità olandese in un’Europa quasi tutta barocca e teatralmente in posa. Quei dipinti in prosa, così realistici, che iniziavano a fatica a farsi strada nel mercato artistico europeo, in Russia vengono accolti con entusiasmo proprio per la loro componente di verità: osterie, cucine, mercati, verdure e serve che spazzano i pavimenti, giocatori ubriachi sono specchi in cui riconoscersi è più facile se le sovrastrutture culturali di derivazione classica sono meno imponenti e radicate che altrove.
È così che Caterina si procura a caro prezzo un dipinto di Gerrit Dou, la Donna malata dal dottore (1650 circa); Dou era uno dei pittori più cari d’Olanda, celebre per le sue composizioni finissime, nelle quali è impossibile rintracciare i segni del pennello, un abilissimo cesellatore di oggetti dei quali restituisce con esattezza ottica ogni sfumatura luminosa sulla superficie, un maestro nell’imitazione della luce artificiale, ma pare che la cifra sborsata dalla zarina fosse davvero fuori misura. Grazie anche alla “voracità” della zarina e dei suoi successori vengono ora restituiti all’attenzione del pubblico non solo capolavori come Il Nieuwmarkt ad Amsterdam di Bartholomeus van der Helst (1666) o la Natura morta con dessert di Willem Kalf (1653-1654), ma anche episodi artistici poco noti ma affascinanti come il manierismo straniante di Joachim Wtewael (1566-1638) e la poetica domestica e minimalista di Pieter Janssens Elinga (1623-1682).
A testimoniare la diffusione in Russia dell’apprezzamento per l’arte dei Paesi Bassi restano anche le tracce lasciate nella pittura di Il’ja Repin (1844- 1930), esplicitamente molto legato all’arte di Rembrandt, e la curiosa quanto copiosa produzione sette-ottocentesca di vasi in porcellana decorati con riproduzioni di opere d’arte olandese del Secolo d’oro, presenti nella mostra di Amsterdam con alcuni esemplari.



Pieter Janssens Elinga, Interno di abitazione olandese (1665-1675); 

Jan Steen, Giocatori di tric-trac (1667).


Aert de Gelder, Autoritratto (dopo il 1685).

LA PAROLA DELLA DIRETTRICE DI HERMITAGE AMSTERDAM

La parola alla direttrice di Hermitage Amsterdam Abbiamo fatto qualche domanda sulla mostra e sulle collezioni olandesi degli zar a Cathelijne Broers, olandese, dal 2011 direttrice di Hermitage Amsterdam, ampio edificio affacciato sulle rive dell’Amstel, un tempo residenza per anziane signore e oggi museo con un’area complessiva di circa 13.000 metri quadri dei quali più di 2000 destinati alle esposizioni temporanee.

AeD: Pietro il Grande è stato il primo sovrano europeo ad apprezzare la pittura olandese del XVII secolo. Senza dubbio, il suo soggiorno in Olanda ha influenzato il suo gusto come collezionista, ma ci sono documenti che facciano luce sulle sue preferenze? O su i prezzi che gli zar hanno pagato per le loro acquisizioni?
CB: Sappiamo che lo zar ha acquistato il suo primo Rembrandt per ottanta fiorini. Caterina, che ha comprato moltissime opere di maestri olandesi, spesso ha pagato molto più del prezzo di mercato. La Donna malata dal dottore di Gerrit Dou, per esempio, le costò l’equivalente di ventisei anni di uno stipendio olandese medio del tempo.

AeD: Le collezioni dell’Ermitage di San Pietroburgo contengono millecinquecento opere olandesi del XVII secolo, la più grande collezione al di fuori dei Paesi Bassi. Cosa spiega così tanto interesse, e di lunga durata, anche tra i successori di Pietro il Grande?
CB: Credo sia dovuto all’amore dei russi per i temi realistici, per l’uso sapiente della luce e del buio, per le raffigurazioni di atmosfere familiari. Ma in generale, il mercato dell’arte del XVIII secolo stava iniziando ad assumere la fisionomia di un mercato europeo.

AeD: Tra gli altri sovrani russi, Caterina II mostra più di tutti il suo interesse per la raccolta. Può dirci quali degli artisti olandesi preferiva?
CB: Raccoglieva di tutto. Comprava collezioni intere. Rembrandt era naturalmente uno dei favoriti, ma aveva anche tre dipinti con bagnanti di Gerrit Dou: tre piccoli deliziosi quadri con uomini e donne nudi. Presumibilmente, erano appesi nel Piccolo Ermitage, il suo museo privato, per pochi, intimi amici.

AeD: In questa mostra, c’è un artista meno noto sul quale le piacerebbe richiamare l’attenzione dei visitatori?
CB: Sì. È un Autoritratto di Aert de Gelder, dipinto dopo il 1685; De Gelder è uno dei migliori tra gli ultimi allievi di Rembrandt, e si raffigura tenendo fra le mani la celebre “stampa dei cento fiorini” del maestro.

CP

ART E DOSSIER N. 348
ART E DOSSIER N. 348
Novembre 2017
In questo numero: PICASSO E TOULOUSE-LAUTREC tra Madrid e Milano. VISIONE E INGANNO Escher e Cartier-Bresson. IN MOSTRA: Arte ribelle a Milano, De Stijl, Dutch Design e Dutch Masters in Olanda, Cuno Amiet a Mendrisio, Peyton e Claudel a Roma, Van Gogh a Vicenza, Rinascimento giapponese a Firenze.Direttore: Philippe Daverio