Il volto bello, roseo di carnato, del riccioluto angelo biondo, che nella cosiddetta Deposizione del Pontormo si fa carico del corpo di Cristo morto, è il dettaglio scelto dalla Fondazione Palazzo Strozzi per promuovere l’esposizione dedicata all’arte a Firenze nella seconda metà del Cinquecento. Quel viso stupefacente ha riempito di sé tabelloni di stazioni ferroviarie e d’aeroporti, manifesti, stendardi, fiancate d’autobus, muri e cartelloni; e financo gl’inviti all’inaugurazione della mostra medesima.
Chi s’è risolto a battere questa via ha dato per certo un impatto forte sulla gente. E non c’è da dubitarne. Il sospetto però aggalla che molti possano pensare alla nostra nuova rassegna come a uno di quei “seguiti” cinematografici apparecchiati sulla scia d’un successo grande (si ricorderà che l’esposizione di Pontormo e Rosso - essa pure a nostra cura - fu giudicata, da una ragguardevole rivista inglese di storia dell’arte, come la migliore al mondo nel 2014). Sgombriamo allora il campo da ogni possibile fraintendimento: la mostra di quest’anno verte su altro.
Prima di tutto, il titolo. Quello ufficiale è Il Cinquecento a Firenze. “Maniera moderna” e controriforma. Titolo a tal segno didascalico e icastico da non lasciare spazio a equivoci. Titolo che, se fosse stato sovrimpresso sull’immagine pontormesca scelta, le avrebbe conferito plausibilità, giacché Jacopo è appunto uno degli artefici che della “maniera moderna” sono emblemi acclarati. Stampando invece sull’effigie, che della mostra è guida, la scritta Il Cinquecento a Firenze. Tra Michelangelo, Pontormo e Giambologna, il rischio del travisamento è forte; e davvero potrebbe esserci chi abbia congetturato una riesumazione del Pontormo.