La pagina nera

È DELL’ARTE CAPITALE:
PER LO STATO AHIMÈ NON VALE

Asciano, abbazia di Monte Oliveto Maggiore: pace e spiritualità ma anche pittura, architettura e scultura. Qualche esempio? Le Storie di san Benedetto, affrescate da Signorelli e dal Sodoma e il coro ligneo di fra Giovanni da Verona. Ma si sa, le opere d’arte per essere ben conservate hanno bisogno di contributi. E qui da una decina d’anni, come ci racconta il restauratore Daniele Rossi, impegnato per vent’anni nel monastero, non si vede neanche un euro.

di Fabio Isman

Monte Oliveto Maggiore non è soltanto un’abbazia nella quiete discosta dei cipressi, pini, olivi e querce nella Valle dell’Ombrone, in provincia di Siena, comune di Asciano: è anche un palinsesto d’arte; un compendio assoluto di pittura e architettura, perché nel 1313 Bernardo Tolomei lo fonda ritirandosi dal mondo a quarant’anni, e i monaci hanno poi arricchito il monastero di capolavori preziosi, una profonda spiritualità e un’omogeneità assoluta. Basti pensare al ciclo delle Storie di san Benedetto che, nel portico (per fortuna, protetto da vetrate) adorna l’intero Chiostro grande. Tra paraste dipinte, trentacinque affreschi: nove realizzati da Luca Signorelli tra il 1497 e il 1498, finché l’artista non va a Orvieto per lavorare al Finimondo e alle Storie degli ultimi giorni nella cappella di San Brizio del duomo (iniziata dal Beato Angelico e Benozzo Gozzoli); e gli altri, dal 1505, dal piemontese Giovanni Antonio Bazzi, detto il Sodoma. Suoi anche un autoritratto, nonché le effigi di Leonardo e Botticelli giovani, e dello stesso maestro che l’aveva preceduto su quelle pareti.

Fin dall’ingresso, nello straordinario complesso, ci accoglie una terracotta della scuola dei Della Robbia; un capolavoro del Sodoma è il viatico per entrare in chiesa; e il coro ligneo di fra Giovanni da Verona, del 1503, tra le opere di tarsia più mirabili (uccelli, fontane, vedute di Siena) nella penisola. E c’è molto altro ancora. Un caposaldo della cultura italiana, figurativa e non.

Qualsiasi paese, un tesoro del genere, perfino di proprietà dello Stato, se lo terrebbe assai caro: lo accudirebbe, non gli farebbe mancare né la manutenzione, né il proprio sostegno. E infatti, qui, per una ventina d’anni, ha lavorato uno tra i maggiori restauratori italiani, Daniele Rossi. Adesso, dopo aver ripristinato la Visitazione di Jacopo Carucci, detto il Pontormo, nella propositura dei Santi Michele e Francesco nel Comune di Carmignano (Prato), Rossi ha appena finito di lavorare sulle due immense opere (sempre del Pontormo), nella chiesa di Santa Felicita a Firenze: l’affresco con l’Annunciazione e la tavola della Deposizione, esposta fino al 21 gennaio 2018 a Palazzo Strozzi per la mostra Il Cinquecento a Firenze.

La soprintendente, l’architetto romano Anna Di Bene, ha spiegato ai buoni monaci che «comunque non abbiamo soldi»


Tra Michelangelo Pontormo e Giambologna (v. pp. 60-65). Ha all’attivo il restauro d’infiniti capolavori: Sebastiano del Piombo, Duccio di Buoninsegna, Giovanni Bellini, Paolo Uccello, Velázquez, Rembrandt, Cranach, Bernini, Lippi, Rubens, Goya, Guercino e Tiziano, per citare solo alcuni autori. Nel suo studio fiorentino, che sembra una piccola “Wunderkammer”, racconta: «Durante i vent’anni a Monte Oliveto, con gli storici della Soprintendenza si programmavano gli interventi. C’era molto da risistemare. Prima, ho lavorato sugli affreschi del Chiostro grande: la parete sud con quelli di Signorelli, poi quelli rimasti “in situ” del Sodoma, e quelli già distaccati tra il 1960 e il 1970. Gli intonaci erano in parte degradati dall’umidità; c’erano ridipinture, opera di artisti del Seicento, fino ai restauri del Novecento; in molte zone, cadute e sollevamenti di colore. Con l’Università di Firenze, abbiamo anche compiuto delle sperimentazioni, per trovare nuovi sistemi di conservazione ai supporti degli affreschi staccati».

Ha poi recuperato l’aula capitolare, o definitorio, di fine Quattrocento, che è divenuta museo: sulle pareti, riscoperti gli scialbi antichi; e il candelabro di fra Giovanni da Verona, in legno intagliato e dorato, che è nella biblioteca a tre navate: i monaci possiedono quarantamila incunaboli, codici in pergamena e volumi. Il refettorio, affrescato nel 1620, è stato restaurato da altri. 


Uno dei lati del chiostro grande decorato dal Sodoma, in precario stato di conservazione e bisognoso di restauro.

Ma il lavoro di Rossi non era concluso: infatti, nel Chiostro grande mancavano due lati, decorati dal Sodoma: «C’erano ancora da restaurare, diciamo, almeno una dozzina di dipinti». Inoltre, «il basamento ottocentesco in finto marmo, che corre sotto gli affreschi, richiede interventi urgenti, visto che il colore è in gran parte polverizzato dal salnitro».

Invece, niente: «Da dieci anni, il complesso di Monte Oliveto Maggiore non ha più ricevuto alcun contributo dallo Stato; neppure, che so, cinquemila euro all’anno, da dare a qualcuno che ne garantisca almeno la più basilare manutenzione». Neppure un euro, dicesi uno. E allora, caro Rossi, lei ha abbandonato quel luogo invidiabile? «No: ogni tanto vado a salutare i monaci, pranzo in silenzio nel refettorio, e faccio un giro per rivedere i restauri. Avrei voglia di riprendere le macchie sul basamento; ma senza contratti e incarichi ufficiali, la burocrazia mi impedisce di intervenire ».


Una veduta dell’abbazia di Monte Oliveto Maggiore.

L’assenza di fondi è cominciata proprio quando i governi di centro-destra hanno iniziato a decimare le risorse del Ministero che, peraltro, è da sempre (e chissà come mai) la Cenerentola tra tutti i dicasteri italiani. Perché così va il mondo, signora mia. Anche se, anticamente, da qui passava la via Francigena, su cui tanti pellegrini hanno consumato le tomaie: per loro, dal Seicento, esisteva perfino una farmacia, i cui vasi racchiudevano le erbe esotiche da cui ora si producono elisir, cordiali e digestivi.

Le Storie di san Benedetto costituiscono il più esauriente compendio della vita del monaco di Norcia che, fin dai tempi remoti, esista al mondo; e sono piene di mille curiosità e dettagli singolari. Le volle l’abate Domenico Airoldi di Lecco, secondo un programma che è il racconto di san Gregorio Magno, a fine Quattrocento. Il Chiostro grande è il centro dell’intero complesso; l’autoritratto di Sodoma è nella scena con Benedetto rinsalda lo capistero che si era rotto (il capistero era un vassoio rettangolare, adoperato per vari usi); i volti di Signorelli, Leonardo e Botticelli sono invece in quella con San Benedetto riceve i giovinetti romani Mauro e Placido; tanti gli animali eternati. Signorelli, tra l’altro, racconta anche come i Monaci abbattono una statua di Apollo: un dipinto in cui l’architettura ricorda parecchio Piero della Francesca; in un altro, tre monaci provano a smuovere un masso, e ci riescono soltanto con l’aiuto del santo; un terzo mostra Benedetto che sgrida due monaci, sorpresi a pranzo in una locanda e rei di avere violato la regola dell’ordine. Ma sono unicamente alcuni esempi: bisogna andare a vedere, per riempirsi l’animo (e gli occhi), e per capire.

Recentemente, dopo tanto tempo che non avveniva, la soprintendente ha compiuto un sopralluogo nel sito di tutte queste magnificenze. Di fresca nomina, la responsabile per le province di Siena, Arezzo e Grosseto (ma non saranno, per caso, un po’ troppe?), l’architetto romano Anna Di Bene che aveva già lavorato nella zona, alla fine, ha spiegato ai buoni monaci che «comunque, non abbiamo soldi». Sipario.


Sullo sfondo, i due pannelli dell’Annunciazione (1527-1528) di Jacopo Carucci, detto il Pontormo, conservati nella cappella Capponi della chiesa di Santa Felicita a Firenze; in primo piano la cornice originale della Deposizione del Pontormo; a sinistra Daniele Rossi mentre spiega il lavoro di restauro.


Daniele Rossi, durante il restauro della Deposizione (1525-1528) di Jacopo Carucci, detto il Pontormo, conservata nella chiesa di Santa Felicita a Firenze.

Abbazia di Monte Oliveto Maggiore
Asciano (Siena)
www.monteolivetomaggiore.it

ART E DOSSIER N. 347
ART E DOSSIER N. 347
Ottobre 2017
In questo numero: AUTUNNO, TEMPO DI MOSTRE Jasper Johns a Londra, Marino Marini a Pistoia, Magritte a Bruxelles, Paul Klee a Basilea, Mägi a Roma, Caravaggio a Milano, Il Cinquecento a Firenze, I Longobardi a Pavia.Direttore: Philippe Daverio