XX secolo
Jannis Kounellis

IL VOLTO ANTICO
DELLA CONTEMPORANEITÀ

Un ricordo dell’artista scomparso lo scorso febbraio. Un artista greco che aveva scelto l’Italia, esponente di primo piano dell’“arte povera”, originale, rivoluzionario e infaticabile creatore di immagini che si collocano fra la dimensione del mito e la realtà del presente.

Ludovico Pratesi

«L’identità dell’Europa moderna si nutre di diversità. L’europeo non ha la monumentale certezza dell’americano, del resto la profondità delle tragedie che ha vissuto lo porta a essere critico. Questo vuol dire essere europeo: coltivare il dubbio, la distanza e dunque esercitare la critica. L’Europa non avrà mai una sola bandiera ma tante e questo non ci rende meno europei ma caso mai di più»(1). Sono parole di Jannis Kounellis, uno dei maggiori artisti contemporanei, nato al Pireo nel 1936 e scomparso improvvisamente il 16 febbraio scorso, a Roma, all’età di ottant’anni.

Aveva scelto l’Italia, dove era arrivato nel 1956, a vent’anni. Voleva scoprire il Rinascimento, respirare la forza di Masaccio e Caravaggio, che definiva pittori ideologici: «Hanno segnato la mia vita. I loro quadri non hanno il dogmatismo medievale delle icone. È gente che firma le proprie opinioni poetiche e le difende.

La modernità della pittura è anche in questa firma»(2). Camminava a passi lunghi, con lo sguardo puntato sull’orizzonte come il capitano di un veliero in mare aperto, e con quello sguardo captava la complessità del mondo, che riusciva a rendere con opere potenti ed epiche, concepite sempre come immagini dipinte. «Sono un pittore, la mia tela è lo spazio», diceva. Un combattente come Pier Paolo Pasolini, un poeta come Omero, un visionario che aveva puntato il dito su quel sottile crinale che separa il mondo arcaico e contadino da quello industriale. A differenza di molti artisti italiani, non aveva paura di esprimere opinioni politiche. «Oggi il pittore è l’ultimo anello di un’espansione di debolezza », scriveva nel lontano 2004, «voluto anche da una certa politica di sinistra, che ha voluto questa perdita di peso. Mentre una volta il quadro centralizzava l’interesse culturale, oggi è l’istituzione burocratica che offre la centralità, ma questa idea globale di pluralità allontana la critica ed è un discorso nefasto nascosto sotto un’apparenza libertaria».


Senza titolo (2016).

Una sorta di corteo, composto da un convoglio di carrelli coperti da cappotti da uomo, che viaggiavano su un binario circolare


Abbiamo vissuto tante storie insieme, con Jannis e Michelle - degna compagna di un uomo straordinario -, fin dal 2002, quando lo avevo invitato alla mostra Incontri alla Galleria Borghese, dove aveva dialogato con il suo amato Caravaggio. Poi, nel 2011, al conventino di Monteciccardo, perduto tra le verdi colline marchigiane, e infine al Centro arti visive Pescheria di Pesaro nell’estate del 2016 per celebrare il ventennale della fondazione della Pescheria. Stimolato dallo spazio, un’ex chiesa dodecagonale, Kounellis aveva realizzato (Senza titolo, 2016) una sorta di corteo, composto da un convoglio di carrelli coperti da cappotti da uomo, che viaggiavano su un binario circolare, trainati da un cavallo accompagnato da una persona in abito scuro. «La prima cosa che mi ha colpito è stata la chiesa, con la sua geometria particolare, che mi ha suggerito l’idea del binario circolare che non ha fine né inizio»(3), ha spiegato l’artista. È un’immagine forte e intensa, quasi un rito funebre che si ripete senza direzione e senza tempo. Un ricordo del mondo industriale del secolo scorso, con i treni delle miniere ma anche la tragedia dei vagoni diretti verso i campi di concentramento.
La presenza del cavallo ricorda l’opera Senza titolo (1969) composta da dodici cavalli vivi presentati presso la galleria L’Attico, a Roma, per quattro giorni, anche se nella mostra pesarese l’animale non viene considerato in sé, per i suoi legami con la natura o con la storia dell’arte, bensì come elemento di una narrazione, di un racconto. Una sorta di archetipo del momento di passaggio tra società agricola e industriale, che l’artista ha voluto fissare con questa visione, suggerita dalla struttura architettonica della chiesa. «Il problema fondamentale è il rapporto con gli spazi, che non sono vuoti ma possiedono una memoria, e sono abitati da fantasmi. I fantasmi condizionano il tuo fare, ostacolano un’immaginazione troppo libera e non legata alla memoria dei luoghi. Quest’opera è un rito senza fine, mi ricorda i funerali napoletani», aggiunge Kounellis.
Al di là di questa lettura, nell’oscura essenzialità dell’installazione si possono individuare elementi che la accomunano a certe descrizioni presenti nelle pagine della Trilogia della città di K, romanzo della scrittrice ungherese Agotha Kristof, nel lavoro del regista teatrale polacco Tadeusz Kantor o nei versi poetici di Tadeusz Róz˙ewicz(4). Non riferimenti diretti ma allusioni a un passato che si fonde col presente, ne feconda l’immaginario per potenziarne la forza evocativa. Come sottolinea Mario Codognato, nell’opera di Kounellis «il passato è letto, interpretato e riordinato in un processo di selezione che, senza mai ridursi minimamente a illustrazione o citazione, lo fa pulsare nella visione e nella presentazione della condizione contemporanea »(5).
I singoli elementi dell’installazione - cavallo, carrelli e cappotti - fanno parte del vocabolario dell’artista, e qui vengono impaginati in maniera da enfatizzare la circolarità di un movimento senza fine né inizio, ossessivo come un drammatico mantra, scandito solo dal rumore delle ruote metalliche sulle rotaie e dagli zoccoli del cavallo sul pavimento in pietra. Un’immagine che chiude un ciclo, riassume un’epica iniziata nel 1969, quasi un unico racconto costruito come una trama di simboli e significati che Jannis ha presentato nei musei dell’intero pianeta, dalla Germania al Messico, dal Brasile alla Russia. Ogni volta aggiungeva al suo immaginario formale un nuovo elemento, impaginato in maniera tale da suggerire un punto di vista differente, tale da far scaturire una riflessione sul presente, interpretato attraverso il passato.
Antico e contemporaneo al tempo stesso, Kounellis ci ha insegnato la forza di un’arte etica e morale, profondamente intrisa di cultura europea. In un momento così delicato e complesso per il futuro del nostro continente, abbiamo perso uno degli artisti più europei di tutto il XX secolo, che aveva scelto l’Italia per sottolineare la potenza silenziosa ma implacabile della classicità.

(1) J. Kounellis, Il dubbio, l’arte, la passione civile, in “Micromega”, n. 3, 2004, pp. 172-177.

(2) Ibidem.

(3) Da una conversazione tra l’artista e chi scrive, a Pesaro, durante l’allestimento della mostra presso il Centro arti visive Pescheria, l’11 luglio 2016.

(4) Cfr L. Pratesi, Jannis Kounellis: l’opera come rito, in Jannis Kounellis, a cura d L. Pratesi, catalogo mostra (Pesaro, Centro arti visive Pescheria 2016), Milano 2016, pp. 11-13.

(5) M. Codognato, Le radici del viaggio, in Kounellis, a cura di E. Cicelyn e M. Codognato, catalogo mostra (Napoli, Museo Madre 2006), Milano 2006, p. 28.

ART E DOSSIER N. 344
ART E DOSSIER N. 344
GIUGNO 2017
In questo numero: MOSTRE PER L'ESTATE Hirst a Venezia, Indiana a Lugano, Documenta ad Atene, Giacomelli a Bergamo, Il colore a Rivoli e a Torino. Picasso a Parigi e a Napoli, Sassoferrato a Perugia, Il Colosseo a Roma. Bergamo celebra Baschenis. In ricordo di Kounellis. Direttore: Philippe Daverio