La storia del quadro è tutta
fuori, non solo da Palermo
ma anche dall’Italia
Quello che coinvolge la “dama di Palermo”, ovvero Franca Florio, nata Jacona della Motta dei baroni di San Giuliano, al di là di ciò che può sembrare, non è tuttavia un caso di espropriazione di opere del patrimonio artistico siciliano. Anche se il dipinto sembrerebbe togliere un altro pezzo di quel patrimonio, più volte saccheggiato, che ha visto nei secoli perdere capolavori come il Mantello di Ruggero (ora al Kunsthistorisches di Vienna), lo Spasimo di Sicilia di Raffaello (al Museo del Prado) e la Natività di Caravaggio (dispersa dopo il furto del 1969), in Sicilia il Ritratto di Donna Franca Florio venne tutt’al più abbozzato dall’artista, per la sola parte del volto, durante un soggiorno durato tra nove e undici giorni, nel 1901, ed è rimasto a Palermo solo otto anni, dal 2006 al 2014. Forse a seguito di una prima discussione con il committente, Boldini portò la tela non finita a Parigi, dove poté dedicarsi allo splendido abito nero che l’opera mostra alla Biennale di Venezia, nel 1903. Una curiosità: il dipinto fu mandato da Boldini alla Biennale, col consenso dei Florio, perché fosse il pubblico a giudicarne la qualità: solo se fosse piaciuto Don Ignazio Florio avrebbe pagato la salata fattura del pittore. Piacque, ma non vi fu pagamento. Forse per questa ragione nel 1924 Boldini vende l’opera a Maurice de Rothschild, direttamente o per il tramite della celebre galleria Wildenstein, che la espone a New York già nel 1933. La storia del quadro è dunque tutta fuori non solo da Palermo, ma anche dall’Italia: prima Parigi, poi Ginevra, poi New York, dove pochi anni prima del passaggio del millennio appare due volte in asta, nel 1995 da Christie’s, proprio nell’asta della collezione di Maurice de Rothschild, e nel 2005 da Sotheby’s dove viene acquistato dal patron del Gruppo Acqua Marcia, Francesco Bellavista Caltagirone. Amante della Sicilia e scaltro imprenditore, Bellavista Caltagirone mise il quadro pur sempre nella sala da pranzo del bel villino liberty, l’Hotel Villa Igiea.
Adesso finalmente, proprio grazie al ritorno sul mercato, potrà trovare una collocazione più dignitosa: magari una prestigiosa fondazione italiana che sia pronta a riportarlo a Palermo, e darlo in prestito alla Galleria d’arte moderna. E questo, non perché l’opera sia mai veramente appartenuta alla città, ma perché Franca insieme al marito Ignazio hanno importato la modernità nell’antica Panormos. Non è solo una speranza se si considera che la città si prepara a diventare la Capitale della cultura nel 2018 e che, nel corso di quattro generazioni, la famiglia Florio ha investito somme enormi per realizzare il sogno di far vivere a Palermo la Belle epoque parigina. Pionieri tra due secoli (1830-1915 circa) di avventurose imprese commerciali, marittime, culturali - dalla costituzione di flotte commerciali e cantieri navali, di tonnare, banche e saline fino ai grandi alberghi e, non da ultime, le cantine vinicole del Marsala e l’istituzione della gara automobilistica Targa Florio, che fece conoscere per la prima volta il bel paesaggio delle Madonie -, i Florio hanno risollevato le sorti di Palermo. La città ha vissuto una stagione di splendore grazie allo stile di vita moderno e di raffinata eleganza della famiglia. Un modello di lusso estremo incarnato dalla lunga collana che proprio Franca indossa nel ritratto in questione. Il gioiello (fatto su misura) è composto da trecentossessantacinque perle. Tante, troppe e talmente rare da far impallidire, come dicono le fonti del tempo, persino la regina d’Italia.