L’AVVENTURA SURREALISTA
(1925-1929)

Nel 1954 l’artista scriverà di se stesso in terza persona: «È nel 1924 che René Magritte crea il suo primo quadro.

Esso rappresenta una finestra vista da un interno. Davanti alla finestra, una mano sembra voler afferrare un uccello che vola. Alcuni richiami a ricerche anteriori figurano ancora in questo quadro, certe parti “trattate plasticamente”, secondo un linguaggio ormai trascurato».

Il quadro cui si riferisce, da intendersi come primo dipinto surrealista, è senza dubbio La finestra, del 1925. Vi si possono trovare tracce non solo del de Chirico già ricordato, ma anche di opere di Max Ernst. L’accostamento paratattico, direi meglio, il “montaggio” di elementi in apparenza illogici ricorda da vicino alcuni temi del primo Manifesto del surrealismo, apparso l’anno prima, in cui Breton, contrapponendosi all’anarchismo totale dadaista, aveva affermato fra l’altro(2):«L’uomo, questo sognatore definitivo, di giorno in giorno più scontento della sua sorte, fa a stento il giro degli oggetti di cui è stato portato a fare uso, e che gli sono stati consegnati dalla sua incuria […] Viviamo ancora sotto il regno della logica […] Ma ai nostri giorni, i procedimenti logici non si applicano più se non alla soluzione di problemi d’interesse secondario».

Del 1925 e 1926, pur essendoci un numero considerevole di dipinti - circa una sessantina - manca tuttavia una documentazione dettagliata sui luoghi dove furono esposti, i proprietari, le intenzioni di Magritte a loro riguardo, queste ultime recuperabili perlopiù da suoi scritti postumi.


Il pittore in questo periodo si dedicò sempre più alla grafica pubblicitaria, attività più creativa rispetto al lavoro ripetitivo con carte da parati, comparendo su riviste come “Sélection”, “Le Centaure”, “Cahiers de Belgique”. Anche se clienti abituali erano ristoratori, librai, commercianti di vini, profumieri e così via, il suo rapporto privilegiato fu con case di moda come la ricordata Norine (pseudonimo di Honorine Deschryver). Suo marito Paul-Gustave van Hecke, collezionista, scrittore e mercante d’arte anche se privo di una galleria, fra il 1925 e il 1926 propose a Magritte un accordo secondo cui l’artista avrebbe dovuto produrre un certo numero di opere in cambio di un corrispettivo mensile.


Rallye (1927), illustrazione a colori nel catalogo della pellicceria Samuel.

Nella seconda metà del 1926 Van Hecke stipulò un altro contratto con la neonata galleria Le Centaure, con la quale divise a metà le spese dei contratti con gli artisti. In questa galleria, che ospitava anche mostre di Max Ernst e de Chirico, Magritte nella primavera del 1927 tenne la prima, importante personale presentando una cinquantina di quadri dipinti a partire dall’inizio del 1926, oltre a una dozzina di “papiers collés”. Le recensioni furono perlopiù negative. Per esempio, il critico Flouquet scrisse: «La decadenza ha anche la sua poesia.

Ma è una poesia regressiva, negativa, parassitaria e distruttiva, non liberando altro se non il proprio desiderio di godimento sempre più esasperato, più deformante, più inumano. Ora, la pittura attuale di Magritte, col suo bisogno di poesia ingannevole, fuori della natura, è una testimonianza di tali propositi».

Cosa aveva esposto Magritte? Con certezza Sylvester - il citato curatore del catalogo ragionato delle opere dell’artista - ha individuato un solo dipinto, Il fantino perduto. Di esso, scriverà decenni dopo Magritte, sempre parlando di se stesso in terza persona: «Egli esegue il quadro Il fantino perduto, concepito senza preoccupazioni estetiche, con l’unico obiettivo di RISPONDERE a un sentimento misterioso, ad un’angoscia “senza ragione”, una specie di “richiamo all’ordine” che appare in certi momenti indefiniti della sua coscienza e che, dopo la nascita, orientano la sua vita».


Il fantino perduto (1926).

Giorgio Morandi, Natura morta (1918); Roma, La Galleria nazionale.


André Derain, Il cavaliere X (1914); San Pietroburgo, Ermitage.

O ancora, sottolineare un tema che Magritte svilupperà in numerosissime varianti: quello del “doppio”, cioè un oggetto o un personaggio ripetuti dentro lo stesso quadro. Il primo di questi dipinti è Le due sorelle (1925), che ricorda anche nel titolo un quadro di de Chirico del 1915; o, dello stesso, nel particolare della sorella di destra, una specie di statua dagli occhi chiusi, Il ritornante, eseguito dal pittore metafisico nel 1917-1918, che secondo uno straordinario romanzo di de Pisis rappresentava lo stesso de Chirico che si stava trasformando in statua(3). Aspetto tipicamente freudiano, quello dell’io e del suo doppio, che vantava una ricca letteratura, sia precedente, ottocentesca - si pensi al Rimbaud di «Perché io è un altro» nella Lettera di un veggente del 1871, a Dostoevskij, al citato Lautréamont o a Oscar Wilde - sia novecentesca: oltre al padre della psicanalisi, si pensi al Paul Valéry di Monsieur Teste o allo stesso Breton in numerosissime opere.

Giorgio de Chirico, Le due sorelle (1915); Düsseldorf, Kunstsammlung Nordrhein-Westfalen.


Giorgio de Chirico, Il ritornante (1917-1918); Parigi, Centre Pompidou, Musée National d’Art Moderne.


L'imprudente (1927).

Limitarsi tuttavia a rilevare quanto un autore derivi da un altro, e questi da un altro ancora, e così via in una sorta di infinita regressione, è un esercizio abbastanza sterile. Cosa aveva di diverso rispetto, per esempio, all’idea di “doppio” di de Chirico quella di Magritte? Il fatto che quando questi tentava di rappresentarlo, a differenza del primo, che secondo Sylvester «si orienta in misura preponderante […] verso un punto di vista spettacolare, pittoresco, da vertigine - accentuatamente ribassato, rialzato o obliquo, oppure esasperatamente tradotto in primo piano o in un campo lungo - in Magritte il punto di vista è elementare, sovente centrale e quasi sempre frontale, blandamente frontale, con le figure disposte nettamente di faccia o di profilo e con piani prospettici di fuga collocati parallelamente alla superficie della tela, in uno spazio ristretto e chiaramente delimitato, che non lascia alcun margine a suggestivi scorci diagonali». Una impostazione che poteva dipendere anche dalla sua consuetudine a lavorare con i collage.


Gli amanti (1928); New York, MoMA - Museum of Modern Art.

C’è poi un altro aspetto da sottolineare a proposito delle “derivazioni”: e cioè che è sbagliato ritenere che esse siano sempre “auliche”, che scaturiscano costantemente dalla presa visione di altri dipinti, sculture, poesie e così via. Un artista è infatti uomo che vive la vita di tutti i giorni, e quindi è attratto anche dalle cose futili che aiutano a vivere, direbbe re Lear. Per esempio, si sono sprecati infiniti ragionamenti a proposito dei volti velati che compaiono in alcune opere di Magritte a partire da Gli amanti (1928). Ebbene, lo stesso Sylvester ha dimostrato che l’origine iconografica è… un fumetto di Nick Carter! Del resto, Magritte era avido lettore di gialli illustrati e altre riviste, nonché assiduo frequentatore di sale cinematografiche. Appena arrivato a Parigi, nella seconda metà del 1927, iniziò un romanzo - poi abbandonato - scrivendo: «Il mondo assomiglia a Nick Carter, il detective arrivato di recente dall’America». Ancora, è certo che leggeva fumetti o vedeva film di Fantomas - celebre personaggio letterario creato nel 1911 da Marcel Allain e Pierre Souvestre - le cui suggestioni sono presenti in quadri come L’assassino minacciato, che rammenta espressamente, nella posa dei personaggi in primo piano, due fotogrammi di Fantomas. À l’ombre de la guillotine, di Louis Feuillade (1913); o nel dipinto L’uomo dal mare, dove il corpo del personaggio ne rappresenta un’altra, evidente citazione (1927).

Una possibile fonte iconografica su cui nemmeno Sylvester ha indagato potrebbe essere quella della fantascienza. Per esempio, lo stesso anno della nascita di Fantomas in Francia uscì anche il primo numero del feuilleton di Jean de la Hire Le Mystère des XV, il cui personaggio centrale, il “Nycatlope”, era un intrepido esploratore dai fantastici poteri - una sorta di “cyborg” ante litteram, come è stato definito - che, attraverso una tecnologia d’avanguardia, esplorava Marte e altri mondi popolati da esseri incredibili.



Due fotogrammi dal film Fantomas. À l’ombre de la guillotine (1913), regia di Louis Feuillade.

Anonimo, copertina per “Nick Carter”, n. 35.

L’assassino minacciato (1927); New York, MoMA - Museum of Modern Art.


L’uomo dal mare (1927); Bruxelles, Musées Royaux des Beaux-Arts de Belgique.

Per non tacere la nascita nel 1926 di una delle più famose riviste di fantascienza, “Amazing Stories”, seguita nel 1930 dalla non meno famosa “Astounding Stories”. Mi chiedo: è possibile che quadri come - per fare qualche esempio - Il messaggio alla terra (1926), L’automa (1928 circa), La voce dell’aria (La voce dello spazio) (1931) riprendano solo suggestioni da Max Ernst o da de Chirico, e non anche da altre fonti? Magari da film di Paul Wegener come Golem (1915), o di Fritz Lang come Metropolis (1927). O da fonti meno “nobili” come le ricordate riviste(4). Uno dei quadri più affascinanti e a un tempo inquietanti di Magritte è Il doppio segreto (1927). L’idea della “meccanizzazione” del corpo - del “robot”, dell’automa, cioè del congegno che si muove da sé -, così cara ai surrealisti, risale assai indietro nel tempo, almeno ai greci. Ma nel 1928 fu pubblicato un volume assai importante di Albert Chapuis che mostrava i meccanismi interni degli “automi” e che ispirò, va detto, molti altri surrealisti, da Paul Delvaux a Max Ernst a, soprattutto, Dalí(5).


Il doppio segreto (1927); Parigi, Centre Pompidou, Musée National d’Art Moderne.

Il messaggio alla terra (1926).


La voce dell’aria (La voce dello spazio) (1931); Venezia, Peggy Guggenheim Collection.


L’automa (1928 circa).

Nel settembre del 1927 Magritte intraprese la grande avventura di trasferirsi a Parigi. Lo poté fare anche grazie all’ausilio della folta schiera di sostenitori su cui poteva contare in Belgio, dove continuava a esporre nella Galerie Le Centaure ma soprattutto nella nuova Galerie l’Epoque. Stette a Parigi tre anni, fino al 1930. Nella primavera del 1928, due eventi importanti per i surrealisti, dapprima la pubblicazione della monografia di Breton Il surrealismo e la pittura, quindi una esposizione surrealista alla Galerie au Sacre du Printemps, trascurarono Magritte. Ma il fatto che sul finire dello stesso anno Breton acquistasse molti suoi dipinti testimonia come l’artista belga venisse accolto ormai nella comunità dei surrealisti parigini. Non si creda tuttavia che fosse così scontata la sua accettazione. Breton infatti aveva le proprie idee. Per esempio, nel Surrealismo e la pittura, a proposito di Miró, lo scrittore affermava che «nessuno è bravo quanto lui [Miró] ad associare l’inassociabile, a rompere con indifferenza ciò che noi non osiamo augurarci vedere rotto»; salvo poco dopo aggiungere(6): «Mi piacerebbe, e non posso non insistere su questo punto, che Miró non traesse da questo un orgoglio delirante e non si fidasse solo di se stesso, per grandi che siano i suoi doni […] ma realizzasse tra elementi apparentemente immutabili le condizioni di un equilibrio sconvolgente». Che equivaleva a dire che… Miró non doveva essere Miró! E quando il gruppo dei surrealisti parigini fra il 1928 e il 1929 si lacerò, preferendo quello ufficiale la nuova figurazione onirica di Dalí e Magritte, Miró reagì con una dura presa di posizione alla circolare di Breton, Aragon e Queneau di intraprendere una lotta collettiva: «Sono persuaso che gli individui con una forte o eccessiva personalità, malata forse, o fatale se volete, non è questo il tema da discutere, non potranno mai sottomettersi alla disciplina da caserma che un’azione comune esige a qualsiasi costo». Posizione condivisa, a differenza degli altri surrealisti, che si accodarono a Louis Aragon e a Breton, da Hans Arp e da Robert Desnos. Per quanto riguardava Miró, questo strappo verrà ripagato dal fatto che Breton ed Eluard si rifiuteranno di scrivere su di lui nel fondamentale numero monografico di “Cahiérs d’Art” del 1934(7).


Il tradimento delle immagini (1929); Los Angeles, County Museum of Art.
Questo quadro così come L’uso della parola riprende e sviluppa concetti espressi da Magritte in Le parole e le immagini, pubblicato nel n. 12 di “La Révolution surréaliste”. In particolare, sia il fatto che un’immagine può prendere il posto di una parola in una frase, sia che non esiste un rapporto diretto tra un oggetto e il mezzo linguistico che lo rappresenta.

Magritte verrà accettato integralmente dai surrealisti fedeli a Breton di sicuro nel 1929. Al questionario che quest’ultimo con Aragon inviò il 12 febbraio a lui e a molti altri artisti - fra cui il ricordato Miró - che aveva per titolo Di seguito: piccolo contributo al dossier di taluni intellettuali dalle tendenze rivoluzionarie, Magritte rispose dicendosi d’accordo a intraprendere un’azione collettiva: «L’azione comune potrebbe forse riscuotere un prestigio indiscutibile. Essa potrebbe ottenere la stessa attenzione, per esempio, che la Poesia può riscuotere». Questa alleanza ebbe delle ricadute assai positive. In primavera vi fu un incontro con Salvador Dalí a Parigi per realizzare con Luis Buñuel - che poi ne fu il regista unico - Un chien andalou. Poco dopo, Dalí pubblicò su una rivista catalana il primo articolo in Spagna su Magritte, dove fra l’altro fu descritto il quadro Il tradimento delle immagini (1929) che rappresentava una pipa con la didascalia in francese «Questa non è una pipa» (“Ceci n’est pas une pipe”). Altro segnale che Magritte faceva ormai parte della famiglia surrealista fu il numero speciale fuori abbonamento della rivista belga “Variété”, curato da Breton e Aragon, nel quale furono riprodotti due suoi dipinti fra cui L’uso della parola (1928).


L’uso della parola (1928).

Sei mesi dopo, in dicembre, apparve l’ultimo numero di “La Révolution surréaliste”, cui Magritte partecipò con quattro contributi, i più importanti dei quali furono il testo di aforismi dal sapore surrealista, uniti a disegni, Le parole e le immagini e il fotomontaggio con al centro il dipinto dello stesso Magritte La donna nascosta. Esso riprendeva, come una sorta di omega essendo anche il numero finale della rivista, un analogo fotomontaggio di anonimo autore che era apparso nel 1924 nel fascicolo di esordio. Come allora erano stati fotografati personaggi quali André Breton, Giorgio de Chirico, Sigmund Freud, Pablo Picasso e al centro l’anarchica Germaine Berton che aveva assassinato Marius Plateau, leader della fazione monarchica dei Camelots du roi - quasi a segnare la volontà anarchicheggiante e rivoluzionaria del primo surrealismo -, così ora il fotomontaggio di Magritte aveva per protagonisti, fra gli altri, Breton, Aragon, Buñuel, Dalí, Duchamp, Tanguy e lo stesso Magritte, tutti con gli occhi chiusi: estremo tributo forse, una volta di più, al ricordato Ritornante di de Chirico. Il fotomontaggio, che era completato dalla stessa frase di Baudelaire sulla donna che compariva in quello del 1924, risultava assai più intellettualmente complesso. In esso Magritte confermava la sua più importante e originale qualità: l’agire sul confine ambiguo tra oggetto reale e riproduzione segnica. Sia che fossero quadri nel quadro, oppure uccelli o treni che sembravano uscire dal dipinto, o parole che sostituivano le corrispondenti immagini evocate per assenza, o firme entro la cornice per rimarcarne l’enigmaticità, in questi anni Magritte realizzò alcune delle sue opere più affascinanti, come La condizione umana (1933), Il falso specchio (1929), Tentativo impossibile (1928)(8).


Le parole e le immagini, in “La Révolution surréaliste”, n. 12, dicembre 1929.
Fotomontaggio in “La Révolution surrealiste”, n. 12, dicembre 1929.


Anonimo, fotomontaggio in “La Revolution surrealiste”, n. 1, dicembre 1924.

La condizione umana (1933); Washington, National Gallery of Art.


Tentativo impossibile (1928); Toyota, Municipal Museum of Art.


Il falso specchio (1929); New York, MoMA - Museum of Modern Art.

(2) Esistono molte edizioni dei manifesti del surrealismo, sia in francese, a partire da A. Breton, Manifestes du Surréalisme - suivi de Prolégomènes à un troisième Manifeste du Surréalisme ou non, Parigi 1946; sia in italiano, cominciando da quella pubblicata a Torino nel 1966 con bella introduzione di Guido Neri (A. Breton, Manifesti del surrealismo). La citazione è stata tratta da un’edizione pocket di manifesti e altri scritti di Breton, Per conoscere Breton e il surrealismo, a cura di I. Margoni, Milano 1976, passim, pp. 252-270.

(3) Vedi F. de Pisis, Mercoledì 14 novembre 1917, Bologna 1918, p. 32.

(4) Purtroppo sono pressoché assenti gli studi dei rapporti fra gli artisti e la fantascienza. Fa eccezione lo studio ricco e assai serio di S. Petersen, Space-age aesthetics. Lucio Fontana, Yves Klein, and the Postwar European Avant-garde, Filadelfia 2009, che però è limitato al secondo dopoguerra.

(5) Vedi A. Chapuis, Automates. Machines Automatiques et Machinisme, Ginevra 1928.

(6) Vedi A. Breton, Le Surréalisme et la Peinture (Parigi 1928), nuova edizione con aggiunte successive Parigi 1965, tr. it., Firenze 1966, passim, pp. 36-41.

(7) Per la scansione cronologica di questi eventi, vedi Miró 1917-1934. La Naissance du monde, catalogo della mostra (Parigi, Centre George Pompidou, 3 marzo - 28 giugno 2004), a cura di A. de la Beaumelle, con Chronologie 1924-1930, a cura della stessa, pp. 296 sgg.

(8) Va precisato che i titoli delle opere di Magritte non sono quasi mai decisi da lui stesso, ma per la maggior parte dati dagli amici belgi a partire da Nougé.

MAGRITTE
MAGRITTE
Sileno Salvagnini
La presente pubblicazione è dedicata a René Magritte (1898-1967). In sommario: Ritratto di artista da giovane (1898-1924); L'avventura surrealista (1925-1929); Il surrealismo maturo, le grandi mostre all'estero, il ''periodo Renoir'' (1930-1947); Nuove sperimentazioni ed epilogo (1948-1967). Come tutte le monografie della collana Dossier d'art, una pubblicazione agile, ricca di belle riproduzioni a colori, completa di un utilissimo quadro cronologico e di una ricca bibliografia.