IL SURREALISMO MATURO,
LE GRANDI MOSTRE ALL’ESTERO,
IL “PERIODO RENOIR” (1930-1947)

Quando nei primi mesi del 1930 fu pubblicato in forma di libro il Secondo Manifesto del surrealismo, dove Breton faceva i conti con chi era per una stretta osservanza delle regole surrealiste, rifiutando al contempo tutti quelli che erano stati considerati precursori come Rimbaud, Baudelaire, Edgar Allan Poe, e sbarazzandosi inoltre dei vari Artaud, Masson, Soupault, Vitrac, curiosamente tra i firmatari non compariva il nome di Magritte.

Cosa era successo? Un banale litigio su una questione di principio. A metà dicembre 1929 Magritte e la moglie Georgette, che portava al collo una catenina con una grossa croce d’oro regalatale dalla nonna, furono punzecchiati a una festa da Paul Eluard che chiese loro se erano a conoscenza del fervente anticlericalismo di Breton. Quando quest’ultimo arrivò in effetti pretese che Georgette se la togliesse, al che i coniugi Magritte, per tutta risposta, se ne andarono.

Nella primavera dell’anno seguente, anche per ragioni più stringenti come gli effetti della grande crisi economica del 1929, che si stavano facendo sentire anche a Parigi, i Magritte tornarono in Belgio. Ciononostante, il pittore nei mesi iniziali di quello stesso 1930 preparò una serie di quadri importanti che avrebbero dovuto essere esposti in una mostra alla Galerie Goemans di Parigi con un catalogo prefato da Eluard. Invece non si fecero né l’una né l’altro. Per quella esposizione Magritte aveva preparato alcuni dei maggiori capolavori del suo repertorio, come Sulla soglia della libertà o L’annunciazione, entrambe di quell’anno. Nel primo dipinto una serie di riquadri con elementi tipici dell’immaginario magrittiano (sfere, una finestra, un cielo con nuvole, un nudo femminile) fa da quinta prospettica a un cannone che misteriosamente punta verso l’esterno. Per certi aspetti ancora più inquietante ed enigmatica è L’annunciazione, dove sfere e giganteschi “bilboquets” si ergono minacciosi in una sorta di isola rocciosa, come impenetrabili guardiani di un mondo assurdo.

Sulla soglia della libertà (1930); Chicago, Art Institute.


L’annunciazione (1930); Londra, Tate.

Goemans chiuse la galleria parigina nell’aprile 1930 e tornò anche lui a Bruxelles.

In Belgio Magritte ricominciò a produrre manifesti pubblicitari come in passato. Iniziò poi a esporre al Palais des Beaux-Arts, costruito dall’architetto Victor Horta. Nel 1932 collaborò quindi con Nougé alla realizzazione di due cortometraggi. L’anno dopo - come rivelerà in seguito a Breton - dipinse Le affinità elettive che costituivano, come la già ricordata Condizione umana, un nuovo modo di avvicinarsi agli oggetti che dipingeva. Nel 1937, in una conversazione londinese, spiegò in dettaglio questo nuovo approccio: «Esiste un’affinità segreta tra certe immagini; ciò vale ugualmente per gli oggetti che queste immagini rappresentano. Eccone la dimostrazione: noi conosciamo l’uccello dentro una gabbia; l’interesse diviene maggiore se l’uccello è rimpiazzato da un pesce o da una scarpa. Ma sebbene tali immagini siano curiose, sfortunatamente sono casuali, arbitrarie. Si può ottenere un’immagine nuova che può resistere all’esame in base a quello che essa possiede di definitivo, di giusto: è l’immagine che mostra l’uovo nella gabbia». 


La risposta imprevista (1933); Bruxelles, Musées Royaux des Beaux-Arts de Belgique.


Il modello rosso (1935); Parigi, Centre Pompidou, Musée National d’Art Moderne.

Più tardi ancora - equivocando sulle date - offrì una lettura ancora più particolareggiata di questa nuova stagione creativa: «Una notte del 1936 mi svegliai in una camera in cui era stata collocata una gabbia con un uccello addormentato. Un magnifico errore mi fece vedere nella gabbia l’uccello scomparso e sostituito da un uovo. Avevo lì un nuovo segreto poetico sorprendente perché lo shock che provai era causato proprio dall’affinità dei due oggetti: la gabbia e l’uovo, mentre prima provocavo questo colpo facendo incontrare oggetti senza alcun legame». La contiguità, formale prima ancora che logica, tra due oggetti per Magritte era univoca, come spiegherà poco dopo: «Dato che tali ricerche non potevano fornire per ogni oggetto che una sola risposta esatta, le mie indagini assomigliavano alla ricerca della soluzione a un problema di cui avevo tre dati: l’oggetto, la cosa legata a lui nella penombra della mia coscienza e la luce a cui la cosa doveva portare».
Indicava quindi come esempi di tale procedimento molti quadri fra cui il citato La condizione umana, oppure La risposta imprevista, dove il foro nella porta indica il fatto che lo spettatore può andare in uno spazio al di là di essa, La durata pugnalata, Il modello rosso, Lo stupro, su cui mi soffermerò più avanti. Dipinti nei quali, osserva Sylvester, usava anzitutto la metamorfosi, quindi la sineddoche, il mascheramento, il rovesciamento di significato.

Il 1933 fu anche l’anno in cui Breton e Magritte si rappacificarono. Il padre del surrealismo non meno di Eluard si rammaricavano per la piega presa dagli eventi auspicando che si superasse la rottura. E così fu. L’ultimo numero di “Le surréalisme au service de la révolution”, della primavera, riproduceva alcune parti di una monografia su Magritte scritta da Nougé. Ma soprattutto l’anno dopo, il 1934, la conferenza di Breton Qu’est-ce que le Surréalisme? fu pubblicata in un opuscolo la cui copertina riproduceva il disegno di Lo stupro (1934). Quando inviò questo disegno a Breton, l’artista lo accompagnò con queste parole: «Spero che questo progetto di copertina vi piacerà; credo anche che sia eccellente da un punto di vista pubblicitario. Una simile immagine non deve passare inosservata nella vetrina di una libreria». Di questo conturbante e a un tempo angosciante montaggio di parti anatomiche del corpo femminile, replicando alla lettera di Magritte, scrisse Breton: «Il vostro disegno mi entusiasma, è una cosa meravigliosamente inquietante e vivente, da cui è difficile staccarsi. Nulla poteva meglio riunire tutti gli elementi per soddisfarmi e affascinarmi».

Nella seconda metà del decennio cominciò la grande avventura di Magritte nei paesi di lingua anglosassone. Nel gennaio 1936 espose alla Julien Levy Gallery di New York, il cui proprietario, un ex studente di pittura della Pennsylvania Academy, aveva introdotto il surrealismo in America fin dal principio del decennio.


First International Surrealist Exhibition, Londra, New Burlington Galleries 1936. Da sinistra, Rupert Lee, Ruthven Todd, Salvador Dalí, Paul Eluard, Roland Penrose, Herbert Read, Edouard Léon Théodore Mesens, Georges Reavey e altri.

Qualche mese dopo ebbe anche una personale al ricordato Palais de Beaux-Arts di Bruxelles. Fra giugno e luglio prese poi parte alla grande First International Surrealist Exhibition, che si tenne a Londra al New Burlington Galleries. Voluta da Herbert Read - giovane critico e storico d’arte allora alle prime armi, che peraltro aveva già scritto una monografia su Henry Moore - ma soprattutto dal pittore, collezionista e critico inglese Roland Penrose, la mostra fu introdotta alla vernice da un discorso di Breton. Mesens giocò un ruolo cruciale nell’allestimento di questa mostra, convincendo Penrose a non riunire le opere esposte per gruppi di artisti, bensì a mescolarle fra loro insieme a oggetti di arte tribale. A parte vennero invece esposti lavori di malati di mente e di bambini. Tuttavia, sebbene, come rivelò in una lettera Mesens, la mostra avesse riscosso un grande successo, con migliaia di visitatori paganti, ciò accadde più che altro per curiosità; e quantunque venissero venduti un certo numero di quadri e di gouache, anche di Magritte, tranne rari casi anche la critica più accorta inglese si dimostrò piuttosto scettica su tale movimento, reputandolo in odore di comunismo.

La seconda cronologicamente, ma più importante, esposizione sul surrealismo, fu quella organizzata da Alfred H. Barr jr. al Museum of Modern Art di New York a cavallo tra 1936 e 1937, intitolata Fantastic Art, Dada, Surrealism. L’impostazione che il direttore del museo americano dette a questa mostra - al pari di quella gemella che l’aveva preceduta di poco, Cubism and Abstract Art - era squisitamente filologica; per cui, sebbene fosse compresa anche una sezione (Comparative material) di paragone con l’arte infantile, quella dei malati di mente, gli oggetti scientifici, l’architettura e così via, mancavano però gli oggetti etnografici presenti nella omologa esposizione inglese. In pittura la mostra esordiva con “pionieri” come Arcimboldo, fino ad arrivare ai protagonisti del XX secolo, in primo luogo de Chirico. Nel testo introduttivo che fungeva da spina dorsale del catalogo, il poeta e critico francese Georges Hugnet - autore due anni prima della Petite anthologie poétique du surréalisme - scrisse: «Nel campo delle immagini fu De Chirico che ci rivelò tali giustapposizioni [fra ciò che appare logico e ciò che è dotato di carica fantastica] e che introdusse nella pittura del Surrealismo una vasta gamma di possibilità. De Chirico creò una tradizione in cui furono sviluppate molte opportunità immaginative. Alludo in particolare al pittore che per primo fece la sua comparsa nel 1929 entro il Surrealismo, René Magritte. Egli contribuisce con immagini poetiche che lo riguardano personalmente, dipinte con verosimiglianza e che emanano uno strano fascino. I suoi dipinti costituiscono una serie ininterrotta di lezioni su oggetti concreti che non richiedono un commento tecnico. La loro stupefacente realtà sembra più convincente della realtà fotografica». Furono riprodotte tre opere di Magritte, fra cui Il falso specchio, col titolo di L’occhio(9).


Due pagine da Fantastic Art, Dada, Surrealism, catalogo della mostra al Museum of Modern Art di New York (1936-1937), con opere di Magritte.
La pagina di Fantastic Art, Dada, Surrealism con Il falso specchio (L'occhio) di Magritte.

Essere presente nel grande museo americano fu importante tanto per le vendite immediate alla mostra, quanto perché gli veniva aperto uno scenario espositivo - e collezionistico - assai nuovo. Nel 1938 infatti nella ricordata Julien Levy Gallery di New York vi fu una seconda mostra, questa volta con una quindicina di pezzi. Nello stesso anno, nella capitale britannica, alla London Gallery - diretta da Penrose e Mesens - furono esposte una cinquantina di opere di Magritte. Ma si avvicinavano tempi difficili per l’artista. Nel 1939 scoppiò la seconda guerra mondiale.

L’anno successivo, in maggio, dopo la cosiddetta “drôle de guerre”, la “strana guerra” che aveva lasciato per qualche mese tranquillo il fronte occidentale, i tedeschi invasero il Belgio e bombardarono la Gran Bretagna. Durante uno di questi bombardamenti furono distrutti una ventina di suoi lavori lasciati in un deposito inglese. Con l’avanzata delle truppe germaniche del maggio 1940, Magritte si rifugiò a Parigi, salvo poi ritornare, una volta invasa anche la Francia, nell’agosto 1940, a Bruxelles. Nell’autunno dello stesso anno iniziò anche a dipingere delle bottiglie di vetro. Un conoscente americano l’anno dopo gli scrisse che si sarebbe potuto venderle bene negli States: «Ne venderete molte a un buon prezzo. È esattamente il gusto di New York e anche di Hollywood. La gente a New York era, almeno prima della guerra, più sofisticata di quella di Londra. Non so perché, ma negli ultimi 15 anni a New York c’è stato un gusto più proclive e raffinato, ricco di fantasia».

Nel 1943, durante l’occupazione nazista, Magritte iniziò a dipingere in un modo differente e con altri soggetti. Spiegherà così due anni dopo le ragioni di questo nuovo stile: «Dall’inizio di questa guerra, ho avuto un forte desiderio di ottenere un’efficacia poetica nuova, che ci portasse attrattiva e piacere. Lascio ad altri il compito d’inquietare, di terrorizzare e continuare a confondere». Fu la cosiddetta fase “impressionista” della sua pittura, o “periodo Renoir”. A questo proposito, ai critici - come lo stesso Breton - che gli rimproveravano di copiare gli impressionisti, o giù di lì, nel 1946 replicherà: «Quanto al rimprovero di imitare Renoir, c’è un malinteso: ho fatto dei quadri “d’après” Renoir, Ingres, Rubens ecc., ma senza utilizzare la tecnica particolare di Renoir, ma piuttosto mescolandole tutte, quelle di Renoir, Seurat e altri ancora».

Nel tardo 1944 l’ex ballerino greco Alexander Iolas aprì a New York una galleria con opere di Max Ernst, Victor Brauner, Jean Fautrier e Magritte. L’anno dopo alcune opere di Magritte erano rimaste in deposito dal gallerista, che all’inizio del 1946 gli propose una mostra personale. Nello stesso anno una galleria parigina di secondo piano propose anch’essa una personale a Magritte. Il quale chiese consiglio a Mesens su come muoversi, che gli rispose di scartare l’opzione parigina non meno di quella di New York, in quanto le uniche gallerie americane che meritavano considerazione erano quelle di Pierre Matisse e Curt Valentin. Ma nel 1947 Magritte tenne la sua prima mostra personale alla galleria di Iolas, seguita l’anno successivo da una seconda e più importante esposizione. Nel frattempo, in quello stesso 1947 una mostra sul surrealismo alla Galerie Maeght di Parigi organizzata da Breton - che pose le opere di Magritte nella sezione dei “surrealisti loro malgrado” - di fatto stroncò l’ultima produzione stilistica e concettuale del pittore belga.


Donna bottiglia (1940-1941).

Il buon tempo del signor Ingres (1943).


Jean-Auguste- Dominique Ingres, La sorgente (1820-1856); Parigi, Musée d’Orsay.


L’età del piacere (1946); ubicazione ignota.

(9) Vedi G. Hugnet, In the Light of Surrealism, in Fantastic Art, Dada, Surrealism, catalogo della mostra (New York, Museum of Modern Art, dicembre 1936 - gennaio 1937), a cura di A. H. Barr jr., p. 45 (citazione), pp. 178-180 (immagini).

MAGRITTE
MAGRITTE
Sileno Salvagnini
La presente pubblicazione è dedicata a René Magritte (1898-1967). In sommario: Ritratto di artista da giovane (1898-1924); L'avventura surrealista (1925-1929); Il surrealismo maturo, le grandi mostre all'estero, il ''periodo Renoir'' (1930-1947); Nuove sperimentazioni ed epilogo (1948-1967). Come tutte le monografie della collana Dossier d'art, una pubblicazione agile, ricca di belle riproduzioni a colori, completa di un utilissimo quadro cronologico e di una ricca bibliografia.