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UNA NICCHIAPER APPASSIONATI

di Daniele Liberanome

Il mercato della videoarte a oggi risulta sofferente. Poco interessano i video: maggior attenzione è riservata a opere a essi legate come le fotografie

Settore di nicchia, con regole a sé stanti, al momento depresso ma con ampi margini di crescita: la videoarte oggi, come la fotografia a fine XX secolo, si scambia soprattutto in galleria e per prezzi al di sotto delle aspettative. 

In asta, perfino i videoartisti più famosi vendono soprattutto foto legate alle loro opere. Matthew Barney è una star del settore con il suo ciclo Cremaster, un’ode al muscolo testicolare in cinque puntate sviluppate alla rinfusa fra il 1994 e il 2002. Eliminando ogni immagine fallica di facile appeal, Barney si è concentrato su allegorie e libere associazioni legate all’involontarietà di quel muscolo fondamentale per il genere umano, con continui riferimenti a trattati scientifici. Il cuore dei Cremaster sono video piuttosto articolati (fino a tre ore di durata), gestiti con tutti i crismi di un’opera a tiratura limitata a venti pezzi per puntata, a eccezione di Cremaster 3 diffuso in modo assai più capillare, perfino su YouTube. Ma è il materiale utilizzato per le scene, come quello per le installazioni e le sculture, oppure estrapolato dai video, come le fotografie, a richiamare l’interesse dei collezionisti. 

Quando, il 14 novembre 2007, Sotheby’s a New York offrì un Cremaster 2 completo di un insieme di accessori che ne fanno una vera installazione, ne ricavò 390mila euro, appena al di sopra della stima. Il prezzo è troppo vicino ai 308mila euro pagati sempre da Sotheby’s a New York il 9 novembre 2004 per alcune fotografie di Cremaster 5, nient’altro che fermi immagine del relativo video. E tutto ciò anche se i video di Barney risultano molto rari in asta, mentre le fotografie (fermi immagine), molto più diffuse, eppure vendute più volte attorno ai 300mila euro. 

Al contrario di quanto accade per altri settori del mondo dell’arte, i prezzi dei video non risentono positivamente neanche dall’essere esposti in grandi musei internazionali. Esemplare è appunto il caso di Barney, presentato anche al Guggenheim di New York nel 2015 senza effetti. Anzi, il suo mercato è in sofferenza, visto che nel 2016 gli invenduti superano abbondantemente il 50 per cento, e le aggiudicazioni più alte risalgono spesso a un decennio fa.


Pipilotti Rist, O Ewigkeit, Du Donnerwort (1999).

Considerazioni simili potremmo fare a proposito di Pipilotti Rist, videoartista fra le più conosciute. Nonostante la notorietà, tanto che il suo video Pixel Forest è stato proiettato in Times Square a New York per ore in ogni giorno fra ottobre 2016 e gennaio 2017, in asta non si vendono video, ma opere a essi legate, e comunque per prezzi decrescenti. Il suo top lot, l’installazione Bar, è stato aggiudicato il 20 ottobre 2004, da Christie’s a Londra e perdipiù nella periferica location di South Kensington, con un prezzo fissato alla non stratosferica cifra di 86mila euro, mentre di recente il suo miglior risultato sono i 12mila euro di aggiudicazione di una sua fotografia (O Ewigkeit, Du Donnerwort, Dorotheum, Vienna, 11 giugno 2015). 

Anche per la meno nota israeliana Sigalit Landau, decisamente talentuosa e molto impegnata in mostre ed eventi organizzati in ogni dove, il mercato delle aste appare asfittico: i prezzi non decollano neppure con il top lot scambiato per 91mila euro (Deadsee, Sotheby’s New York, 17 dicembre 2013). 

La videoarte è quindi un settore marginale sul mercato? Apparentemente i video del veterano Bruce Nauman dipingono una realtà ben diversa, ma a ben guardare non più di tanto. Il suo No, No, New Museum del 1987, con un clown che urla saltellando: «No» fino a quando l’ascoltatore giunge alla soglia della sopportazione, è stato aggiudicato di recente, l’8 maggio 2016, per l’importante ammontare di 1,4 milioni di euro da Christie’s a New York. Ma questo lavoro risulta strettamente legato ad altri della serie Torture ma creati con media diversi, tanto che il video va considerato elemento accessorio nel ciclo. Del resto, nei quindici anni antecedenti a No, No, New Museum, Nauman si era dedicato a tutt’altro, come a dire che non è un vero videoartista. 

È questo il punto: i video di per sé non riescono a trascinare il mercato di un artista, perfino se ben noto per essere stato esposto in musei importanti; raggiungono quotazioni interessanti quando vengono trainati da altri lavori eseguiti su media più popolari. 

Indicazioni più positive paiono giungere da Nam June Paik (1932-2006) considerato uno dei padri della videoarte. Fat Boy, il suo top lot, è appena passato di mano da Sotheby’s a Hong Kong, lo scorso 3 ottobre, per 470mila euro. Ma non si tratta di un’opera di videoarte vera e propria: è costituita da altoparlanti e vecchie tv con struttura in legno che proiettano video; ma quel che più conta è la forma complessiva dell’installazione: un robot che indica la strada da seguire, facendo il verso a una scultura di Giacometti. Le opere più care di Paik sono proprio delle specie di robot di quel tipo, aggiudicate anche recentemente intorno ai 400mila euro. Va poi aggiunto che Paik vola in asta soprattutto a Hong Kong, dove è la sua origine orientale a catalizzare l’interesse. Insomma la sua storia di mercato ha poco a che fare con la videoarte. Eppure il futuro potrebbe risultare più roseo per il settore. A giustificare il cauto ottimismo è soprattutto il parallelo con la fotografia. È evidente che i collezionisti importanti si avvicinano con difficoltà all’arte del video, che resta una nicchia per appassionati come lo era la fotografia. Ma, a forza di mostre, di presenza negli stand delle gallerie delle fiere principali, la situazione non può che cambiare. E allora, chi avrà acquistato oggi si troverà con importanti plusvalenze.


Bruce Nauman, No, No, New Museum (1987).

ART E DOSSIER N. 341
ART E DOSSIER N. 341
MARZO 2017
In questo numero: IMMAGINI FATTE DI LUCE Bill Viola: la videoarte; Ivana Franke: luce immateriale; Marinella Pirelli: light art; Vetrate: la luce ritrovata. IN MOSTRA Viola a Firenze, Mambor a Milano, De Stijl in Olanda, Bellini a Conegliano.Direttore: Philippe Daverio