CATALOGHI E LIBRI
MARZO 2017
LE VASCHE DI LEONARDO
Tre grandi vasche di arenaria nei sotterranei dell’ospedale di Santa Maria Nuova a Firenze, struttura sanitaria dal Medioevo: è difficile risalire alla fonte della leggenda che fossero servite a dissezionare cadaveri, una leggenda ancora molto diffusa, ripercorsa nel 2012 da Ken Follett nella puntata sulla Peste nera a Firenze del suo fantasioso documentario sul Medioevo. Se ne sono occupati anche studiosi di Leonardo come Domenico Laurenza (Leonardo. L’anatomia, Giunti, Firenze 2009), giacché il genio di Vinci scrive di aver dissezionato a Santa Maria Nuova, per le sue ricerche anatomiche, i cadaveri di un centenario e di un bambino. Nessuna fonte cita però le vasche come atte allo scopo, e questo nuovo studio ipotizza con prove scientifiche che non essendo adatte al contenimento di cadaveri, le vasche servissero piuttosto per la tinta dei panni o per conservare derrate alimentari. Senza escludere che dissezioni e studi di anatomia si svolgessero in altri locali dell’edificio.
GIOVANNI BELLINI
Inaugurata il 25 febbraio scorso a Conegliano (Treviso), la mostra Bellini e i Belliniani (fino al 18 giugno), curata da Giandomenico Romanelli, conclude le iniziative organizzate nel 2016 per il cinquecentenario della morte di Giovanni Bellini (Venezia 1430 circa - 29 novembre 1516). È questa una buona occasione per valutare ulteriori prospettive critiche rispetto alla ricca bibliografia sul grande artista veneziano, la sua prolifica bottega e le influenze sull’arte del primo Cinquecento. Nonostante la ricerca in questo campo sia in continuo aggiornamento, non pare fuori luogo la scelta di Castelvecchi di ripubblicare, con la traduzione di Paolo Martore, gli scritti su Giovanni Bellini di Roger Fry, il cui primo studio (Giovanni Bellini) risale al 1899 ed è sempre citato nella fortuna critica e nella bibliografia sul pittore. Citato, va detto, ma non commentato, a parte qualche breve riferimento, qua e là, nelle fondamentali monografie di Rona Goffen (Motta, Milano 1990) e di Anchise Tempestini (Cantini, Firenze 1992), senza considerare, com’è ovvio, la postfazione di Caroline Elam alla prima traduzione italiana del saggio in questione (comparsa in R. Fry, Giovanni Bellini, Abscondita, Milano 2007).La pubblicazione di Castelvecchi è arricchita da un’appendice di altri tre articoli che Fry pubblicò su prestigiose riviste anglo-americane, fra 1908 e 1925. Seppure gli studi sulla pittura veneta siano immensamente progrediti, quello che si apprezza, come sempre nel critico inglese, sono l’inquadramento storico-sociale, la chiarezza espositiva, la bella scrittura mai fine a se stessa, l’attualità e freschezza di certe osservazioni, come ben esemplifica, ci pare, la conclusione del saggio del 1899: «Il pathos che le sue figure esprimono non è mai languido o stucchevole; piuttosto, nel sentimento di Bellini è l’esito fatale della loro condizione di esseri umani. Per riassumere in una singola frase ciò che Bellini ha espresso più profondamente di ogni altro artista, servono le parole di Virgilio: “Sunt lacrimae rerum et mentem mortalia tangunt”», come dire, la storia è lacrime, e l’umano soffrire commuove la mente, come sempre ci commuovono ancora i dipinti di Bellini.
MIMMO ROTELLA
A dieci anni dalla scomparsa di Mimmo Rotella (Catanzaro 1918 - Milano 2006) esce il primo imponente volume del catalogo ragionato dell’opera di un artista poetico e solitario, noto soprattutto per i “décollages”, in realtà attivo su molti fronti, con notevole varietà di sperimentazioni. Costituito da due tomi riuniti in cofanetto, con testi in inglese e italiano, il volume è curato da Germano Celant in collaborazione con Antonella Soldaini e Veronica Locatelli, con il supporto di Mimmo Rotella Institute e Fondazione Mimmo Rotella. Secondo una già sperimentata ed efficace formula della collana “Archivi dell’Arte”, il primo tomo raccoglie, oltre all’elenco di tutte le esposizioni, dal 1947 al 2016, e alla bibliografia, il saggio critico e illustrato di Celant, che inquadra l’intera vicenda umana e artistica di Rotella nel più ampio contesto storico e sociale dal dopoguerra al nuovo secolo: la formazione e gli inizi figurativi e realistici a Napoli (1944); il trasferimento a Roma; il Manifesto dell’epistaltismo (1949), che evocava parole in libertà, un connubio di cantilene, neologismi, improvvisazioni jazz; il «malore creativo» dei primi anni Cinquanta, fra poesia sonora e pittura, fino all’idea del “décollage”, ottenuto strappando manifesti dai muri; e poi l’adesione al Nouveau Réalisme e le ulteriori sperimentazioni, fino alle opere che produssero anche poco prima della scomparsa. Il secondo tomo illustra e scheda in modo analitico le opere dal 1944 al 1961, dai dipinti di orientamento “astrattoconcreto” ai “décollage” dei primi anni Cinquanta, fino alle tendenze pop degli anni Sessanta ispirate alle immagini pubblicitarie cinematografiche di quegli anni, con icone di bellezza prorompente come Marylin Monroe o Sofia Loren: «Quando cominciai a strappare i manifesti e incollarli su tela, erano opere di matrice materico-astratta. Poi ricomparve lentamente la figura: le immagini della pubblicità, del cinema mi affascinavano. Poteva essere una diva ma anche un pezzo di formaggio […]. Alla base del Nuovo Realismo e della mia opera c’è il gesto assoluto dell’appropriazione dell’immagine ».
ART E DOSSIER N. 341
MARZO 2017
In questo numero: IMMAGINI FATTE DI LUCE Bill Viola: la videoarte; Ivana Franke: luce immateriale; Marinella Pirelli: light art; Vetrate: la luce ritrovata. IN MOSTRA Viola a Firenze, Mambor a Milano, De Stijl in Olanda, Bellini a Conegliano.Direttore: Philippe Daverio