Grandi mostre. 2
Renato Mambor a Milano

NUTRIRSICON GLI OCCHI

Ha cavalcato l’onda di rigenerazione culturale romana degli anni Sessanta-Settanta, divenendo personaggio di spicco nel contesto italiano. Tra pittura, fotografia, teatro, installazione, scultura, Renato Mambor, come ci racconta qui la curatrice del progetto espositivo alla Galleria Gruppo Credito Valtellinese, è artista complesso, convinto che l’opera possa acquisire sostanza e significato solo attraverso il nostro sguardo.

Dominique Stella

Renato Mambor appartiene alla generazione degli artisti che ha contribuito a definire la storia dell’arte italiana degli anni Sessanta e Settanta. Nato a Roma nel 1936, è cresciuto in questo magnifico territorio, tra rovina e povertà. L’ardore e l’entusiasmo sono le qualità distintive della sua generazione che desidera affermarsi nella propria specificità e nel proprio desiderio di imporre un mondo rigenerato, edificato su basi nuove. 

Renato Mambor, scomparso poco più di due anni fa, contrae questa febbre di rinnovamento che lo lega, per un’aspirazione vitale, alla città che lo ha visto nascere. Inizia la sua carriera nel mondo del cinema: attore, grafico, creatore di manifesti, si ispira alle tecniche della rappresentazione scenica per concepire le sue prime opere imponendosi così nel panorama artistico romano degli anni Sessanta. In questo periodo decisivo, la galleria romana di riferimento è la Tartaruga. Nel gruppo della Tartaruga ritroviamo i membri fondatori dell’Arte Povera: Boetti, Kounellis, Pascali, Paolini e alcuni artisti che rappresenteranno in Italia movimenti internazionali quali la Pop Art (Mario Schifano, Tano Festa, Franco Angeli, Scarpitta) o il Nouveau Réalisme (Rotella); una molteplicità di ispirazioni che colloca Mambor nella scia dell’Arte povera, in riferimento alla sua ricerca concettuale, e che al tempo stesso fa di lui, per la sua produzione pittorica, una figura determinante della Scuola di piazza del Popolo, movimento che privilegiò una ricerca, vicina alla Pop Art americana, legata all’interpretazione della realtà oggettiva priva degli artifici dell’illusione tridimensionale.


L’opera come principio mentale,
l’essere umano, i suoi modi
di percezione e il suo relazionarsi
al mondo come oggetto di indagine


Flipper (1965).

Ultimo giorno (1963).


Spettatori e timbri (1962).

In questo contesto, Renato Mambor è una delle voci più significative della cultura figurativa e del dibattito intellettuale italiano della seconda metà del XX secolo. Egli ha saputo cogliere lo spirito di un’epoca, trasmettendo al tempo stesso la propria visione delle cose. La complessità del suo pensiero si dedica a considerare l’opera come un principio mentale, eleggendo l’essere umano, i suoi modi di percezione e il suo relazionarsi al mondo come il suo oggetto di indagine. L’opera esiste solo nel suo rapporto con lo sguardo, con lo spazio, con i flussi e le connessioni che essa induce. La singolarità del lavoro di Renato Mambor, per la sua espressione radicale che mescola pittura, performance, fotografia, installazione e scultura, lo rende una figura unica dell’arte di oggi. 

La mostra ripercorre dunque gli aspetti più eterogenei della produzione dell’artista: dalle prime opere degli anni Sessanta (gli Uomini statistici, i Timbri, i Ricalchi) ai lavori concettuali che seguirono (i Rulli, il Filtro, l’Evidenziatore), passando per il periodo teatrale di Trousse - gruppo di ricerca e di sperimentazione fondato da Mambor con Carlo Montesi, Lillo Monachesi e Claudio Privitera all’inizio degli anni Settanta e la cui storia è ripercorsa a partire da fotografie e da oggetti - passando per l’Osservatore, il Viaggiatore, il Pensatore degli anni Novanta, per arrivare ai lavori più recenti come i Séparé (anni Duemila) che approfondiscono la tematica della dualità. 

Il lavoro che Renato Mambor ha sviluppato dall’inizio degli anni Sessanta riflette dunque l’estrema acutezza con la quale il suo immaginario esplora la realtà: questo reale che dall’Europa agli Stati Uniti è diventato il soggetto intimo e popolare al tempo stesso, animando il dibattito dell’arte durante il periodo del dopoguerra. Il Nouveau Réalisme, sotto l’egida di Pierre Restany, nasceva in Francia. Il termine di Nouveau Réalisme riprende la denominazione di “realismo”, è connesso a una realtà nuova nata da una società urbana del consumo; d’altra parte, anche il suo modo descrittivo è nuovo, poiché non s’identifica più con una rappresentazione attraverso la creazione di un’immagine adeguata, ma consiste nella rappresentazione dell’oggetto che l’artista ha scelto per trarne una realtà straniata, incitando a rivolgere uno sguardo “altro” sugli oggetti che lo circondano. Qualcosa collega Renato Mambor a questa storia. Raggiungendo riflessioni come quelle di Martial Raysse che rivendicava «l’igiene della visione», Renato Mambor considera l’arte come «pulizia dello sguardo». E si potrebbe dire, secondo la definizione di Roland Barthes, che l’arte stessa crea una nuova mitologia, generata dallo spettacolo stupefacente dei materiali nuovi e della moltitudine dei prodotti fabbricati industrialmente.


22 Settembre (2014).

Andare al di là dei dati materiali e visivi per trarne le connessioni più sottili e invisibili


L’oggetto diventa soggetto e Renato Mambor se ne appropria per osservarlo, per penetrarlo con lo sguardo, per stabilire lo spazio che lo contiene, l’aria che lo avvolge e lo inscrive nella nostra sfera sensitiva. Il suo obiettivo è andare al di là dei dati materiali e visivi per trarne le connessioni più sottili e invisibili, raggiungendo così un’interrogazione di natura psichica e filosofica. Il suo lavoro coinvolge i centri di percezione di base, al fine di attivare sensazioni quasi perturbanti di tipo fisico, emotivo e psicologico. È un modo di sondare l’aria e l’atmosfera, di modificare in ogni occasione le associazioni abituali, i legami tra le cose, gli scambi tra gli esseri e queste cose. 

«Nonostante inquietudini, pensieri passeggeri, impermanenza, noi viaggiamo dentro la vita e ci nutriamo con gli occhi. Una comprensione più consapevole nasce dalla capacità di collaborare con altre individualità (Nutrimento visivo in collaborazione con i miei assistenti). Perché la realtà vissuta passivamente è quella che crea divisioni, conflitti, sofferenze. Con il mio lavoro non la certifico, né la contrasto, la lascio da parte. Arte e vita, tutte e due frontali all’armonia delle galassie»(1).

Sin dall’inizio, Renato Mambor definisce la propria ricerca a partire dall’oggetto ordinario, seriale, presentando nella propria opera L’uomo statistico, valutazione quantitativa di una rappresentazione umana ridotta a un segno; la sagoma che s’impone nelle sue opere equivale a un codice che annulla il valore singolare dell’essere, riducendolo a un elemento fra tanti altri, frammento minuscolo di una massa che schiaccia l’individuo «relegato a un valore statistico». Questa prima fase del lavoro di Renato Mambor si concretizza a partire da una riflessione collettiva, che implicava anche la complicità di altri artisti come Pino Pascali, Tano Festa e molti altri; essa ebbe come soggetto il ruolo dell’artista, non come produttore di un’opera ma come precursore di un pensiero attivo a carattere sociologico: «Il compito dell’artista », scrive Mambor, «sottraendosi sempre più come soggetto, era di allungare una mano prensile meccanica sulla realtà solo per indicarla, come a dire allo spettatore: “Tocca a te costruire nella tua percezione un procedimento dell’arte”»(2).


Rispecchiare (2010).

(1) Da uno scritto di Renato Mambor proveniente dall’Archivio Mambor di Roma.
(2) Ibidem.

Spostamenti (1965).


Profumo di donna (2007), Roma, Archivio Mambor.

Renato Mambor. Connessioni invisibili

a cura di Dominique Stella
Milano, Galleria Gruppo Credito Valtellinese
fino al 27 marzo
orario 13.30-19.30, sabato 12-19, chiuso domenica e lunedì
catalogo Fondazione Gruppo Credito Valtellinese
www.creval.it

ART E DOSSIER N. 341
ART E DOSSIER N. 341
MARZO 2017
In questo numero: IMMAGINI FATTE DI LUCE Bill Viola: la videoarte; Ivana Franke: luce immateriale; Marinella Pirelli: light art; Vetrate: la luce ritrovata. IN MOSTRA Viola a Firenze, Mambor a Milano, De Stijl in Olanda, Bellini a Conegliano.Direttore: Philippe Daverio