Architettura per l'arte


UN GIOCODI SCATOLE PRATESI

di Aldo Colonetti

A Prato nasce un nuovo museo che ne ingloba uno precedente. È il Centro Pecci progettato da Maurice Nio: un’organizzazione di spazi flessibili per l’arte che c’è e per quella che verrà

L'apertura di un nuovo museo, che dialoga con una struttura espositiva precedente, non lontana nel tempo, è un esercizio progettuale difficile perché il contesto di riferimento culturale e simbolico non consente una relazione né di tipo oppositivo né imitativo. Stiamo parlando dell’estensione del Centro Pecci di Prato, su progetto dell’architetto olandese Maurice Nio, inaugurata nell’autunno 2016 accanto al museo preesistente, realizzato da Italo Gamberini nel 1988. Un raffronto non facile, ma comunque risolto con un’invenzione di Nio, una specie di navicella spaziale che è atterrata, forse provvisoriamente, abbracciando e in un certo senso “ingoiando” l’edificio precedente, realizzando così un nuovo impatto con il territorio, rinnovando il percorso espositivo, ma soprattutto capace di rappresentare un punto di riferimento, visibile e attrattivo anche in lontananza, in modo tale da riposizionare, finalmente, la scultura di Mauro Staccioli, fino a ora schiacciata tra le grandi vie di comunicazione e i nuovi quartieri, anonimi, della città toscana.

Oltre tremila metri quadri espositivi, una nuova entrata, una serie di servizi: complessivamente, tra interni ed esterni, più di diecimila metri quadri a disposizione delle arti contemporanee, una biblioteca di cinquantamila volumi, e soprattutto una collezione con più di mille opere. Una bella sfida per il nuovo direttore, Fabio Cavallucci, che, giustamente, per segnare l’inizio di un nuovo percorso - non solo di carattere espositivo ma soprattutto programmatico in relazione sia allo stato dell’arte contemporanea sia al ruolo e alla funzione del Pecci in Italia e in modo particolare in Toscana - ha scelto un tema epocale ma non catastrofico, nonostante il titolo, La fine del mondo: più di cinquanta artisti, la maggior parte invitati per realizzare appositamente un’opera in situ. È proprio qui che si misura la tenuta di un nuovo, nel nostro caso rinnovato, museo di arte contemporanea, perché, come scrive Cavallucci nella presentazione della mostra, «il percorso espositivo, proprio in relazione alla complementarità tra nuova e vecchia architettura - circa ventotto anni tra l’una e l’altra ma sembra un secolo -, si sviluppa come un flusso che cerca di tener conto del tempo del visitatore, ovvero del periodo impiegato per attraversare lo spazio, oltre che di quello delle opere. È una sorta di circuito che partendo dal nuovo ingresso al centro dell’edificio di Nio, ne attraversa una metà in senso orario, si sviluppa nel vecchio edificio, per ritornare infine nel nuovo spazio». A dimostrazione che i nuovi spazi museali devono essere in grado di ospitare progetti con grande flessibilità, perché è sempre più forte, e determinante, la relazione, e quindi un dialogo aperto tra contenitore e contenuto, in un equilibrio sempre precario, perché sempre più precari sono i nostri modelli conoscitivi e soprattutto interpretativi.


Veduta di una sala espositiva del Centro Pecci.


Veduta dell’ingresso del Centro Pecci con Sensing the waves, la nuova ala progettata da Maurice Nio.

Cai Guo-Qiang, Head On (2014).


Marcel Duchamp, Ruota di bicicletta (1913-1976);


Thomas Hirschhorn Break-Through (One) (2016),

È fondamentale chiedere all’arte non risposte certe, ma prospettive e visioni: il Pecci di Cavallucci è partito molto bene, e lo si può vedere, appena ci si imbatte in una delle prime opere: lo sfondamento di Thomas Hirschhorn, il percorso di Henrique Oliveira che costringe il visitatore ad adeguarsi agli spazi che, quasi in modo magico e impercettibile, si restringono via via, o la straordinaria installazione di Cai Guo-Qiang, dove decine di lupi in scala 1/1 corrono dirigendosi verso una sorta di meta inutile e respingente. 

La fine del mondo non significa la fine dell’arte e dei musei dedicati al contemporaneo: «È la fine del nostro mondo», come sottolinea Cavallucci, «dei processi percettivi e cognitivi», per cui è necessario chiedere all’arte e ai musei di non essere più autoreferenziali, ma di coinvolgere il cuore e la ragione di ciascun visitatore, quando decide di entrare in uno spazio totalmente diverso da quelli che vive e abita normalmente. Secondo noi, il nuovo Pecci, parlando un linguaggio sospeso tra ragione e sentimento, ha intrapreso la strada giusta.


Qiu Zhijie, particolari di due mappe (2016).

Henrique Oliveira, Transcorredor (2016);


Ancora una veduta dell’ingresso del Centro Pecci.

Centro per l’arte contemporanea Luigi Pecci

Prato, viale della Repubblica 277
orario 11-23, chiuso lunedì
la mostra La fine del mondo rimane aperta fino al 19 marzo
www.centropecci.it

ART E DOSSIER N. 341
ART E DOSSIER N. 341
MARZO 2017
In questo numero: IMMAGINI FATTE DI LUCE Bill Viola: la videoarte; Ivana Franke: luce immateriale; Marinella Pirelli: light art; Vetrate: la luce ritrovata. IN MOSTRA Viola a Firenze, Mambor a Milano, De Stijl in Olanda, Bellini a Conegliano.Direttore: Philippe Daverio