Dentro l'opera


LO STRUMENTODI UN GUASTAFESTE

di Cristina Baldacci

Un primo piano sulle opere meno note dal secondo Novecento a oggi, per scoprirne il significato e l’unicità nel continuum della storia dell’arte: André Cadere, Barre de bois ronde

Quello che vediamo è un oggetto radicale nella sua essenzialità: una barra di legno costituita da ventuno segmenti cilindrici di ugual misura che si susseguono in tre colori, nero, bianco e rosso, e che, invece di essere appesa come un dipinto, è appoggiata al muro. Pur essendo un’opera unica, dotata di una sua specificità, perché eseguita interamente a mano, appartiene a una serie di lavori simili, anche se con dimensioni e colori sempre diversi. È pertanto una piccola parte di un tutto più grande e come tale deve essere considerata. 

In questo sistema allargato, la sua unicità dipende anche da un altro fattore: nella successione regolare dei colori, ottenuta tramite il calcolo permutativo, è presente un errore, non casuale ma volontario, dovuto all’inversione di due segmenti cromatici. Non lo si nota subito, ma soltanto se ci si mette a contare i cilindri, seguendo la sequenza dei tre colori, come si farebbe su un pallottoliere. Cominciando dall’alto: nero, bianco, rosso (1, 2, 3); bianco, nero, rosso (2, 1, 3); bianco, rosso, nero (2, 3, 1); rosso, nero, bianco (3, 1, 2); rosso, nero, bianco (3, 1, 2); nero, rosso, bianco (1, 3, 2); nero, bianco, rosso (1, 2, 3). 

La sequenza “rosso, nero, bianco” è ripetuta due volte di seguito e scompagina il sistema matematico mettendo in luce anche un altro aspetto: il colore non è qui usato come elemento decorativo ma come principio concettuale e caratterizzante. L’abilità sta nel riuscire a creare quante più variazioni cromatiche possibili sapendo che nell’usare tre colori, sempre gli stessi, nello stesso ordine e con lo stesso diametro, c’è un margine d’errore predefinito. 

Al rigore formale non corrisponde apparentemente né un contenuto, né un significato altrettanto preciso o riconoscibile: l’opera altro non è che una barra di legno colorato. Come i “readymade” e gli assemblaggi duchampiani, gli oggetti d’uso comune di cui l’artista francese si appropriava, aggiungendo una firma o poco altro di suo, anche questa barra, che però è alquanto diversa per la sua esecuzione artigianale, prende effettivamente senso soltanto se messa in relazione allo spazio, cioè nel momento in cui viene inserita in un contesto specifico, quello dell’arte. 

«La mia arte è collocare il mio lavoro nel mondo dell’arte», così, con la sintesi che lo contraddistingueva, André Cadere (Varsavia 1943 - Parigi 1978) nel marzo del 1976 - poco prima della sua prematura scomparsa - ha spiegato le sue barre in un’intervista alla curatrice e storica dell’arte Lynda Morris. 

L’aspetto performativo era infatti parte attivante (e significante) del suo lavoro. Come un pellegrino, Cadere − che era nato in Polonia, cresciuto in Romania, e aveva poi scelto di vivere a Parigi −, camminava e viaggiava sempre con una delle sue barre in spalla. Le dimenticava volutamente in musei, gallerie e altri luoghi pubblici frequentati dal mondo dell’arte, il più delle volte, appoggiandole accanto alla porta d’ingresso, così come di solito si fa con l’ombrello. 

Le occasioni alle quali partecipava, spesso senza invito, erano inaugurazioni e serate mondane, dove, pur non essendo atteso, finiva per essere al centro dell’attenzione, suscitando negli organizzatori e nei presenti, tra cui i colleghi in mostra, un misto tra lo stizzito disappunto e l’ilare divertimento. Il suo era un gesto critico e politico verso il sistema dell’arte rivolto a mostrare quanto il vero potere fosse in mano alle istituzioni, intese sia come musei, sia come gallerie, più che alle opere e ai loro autori, i quali erano privati della loro libertà. 

Per quanto Cadere abbia cercato di rimanere un outsider, atteggiandosi a guastafeste e parassita del sistema, le sue barre, che per lui erano prima di tutto un mezzo per raggiungere uno scopo - nonostante seguisse con cura anche la loro esecuzione − sono state elette a pieno titolo a opere d’arte e, come tali, vengono oggi vendute sul mercato e collezionate in importanti raccolte, come la Daimler Art Collection di cui la Barre de bois ronde del 1974 è parte. 

Tuttavia, l ’azione collegata alla barra in sé, che era di fatto ciò che le dava reale valore artistico, è diventata con la morte del suo autore irripetibile. Questo è un rischio, ma anche un gioco, di cui gli artisti contemporanei, soprattutto se più interessati all’idea e al processo che portano e seguono la realizzazione dell ’opera, piuttosto che all ’oggetto in quanto tale, sono ben consapevoli e che assumono come sfida, a volte con pungente ironia. Anche la reazione irritata dello spettatore che, davanti a un’opera ridotta ai suoi minimi termini, esclama: «Questo lo potevo fare anch’io» fa da tempo parte del gioco.


André Cadere, Barre de bois ronde (1974), 3 colori, 21 segmenti, nero, bianco, rosso legno, pittura industriale, cm 63,5 x 2,8 (diametro), Berlino/Stoccarda, Daimler Art Collection.

ART E DOSSIER N. 340
ART E DOSSIER N. 340
FEBBRAIO 2017
In questo numero: VISIONI ALTERNATIVE Gli zingari nell'arte. Dentro l'opera: leggere l'arte contemporanea. Beard: animali in scena. Il design di Enzo Mari. La fotografia di Mario Cresci. IN MOSTRA Caravaggio e natura morta a Roma, Art Deco a Forlì, Avanguardie russe a Londra, Manzù e Fontana a Roma.Direttore: Philippe Daverio