Grandi restauri
L’Ultima cena di Giorgio Vasari

RINATA DAL FANGO

L’intervento di recupero realizzato dall’Opificio delle pietre dure di Firenze e terminato lo scorso autunno è stato risolutivo.
L’Ultima cena di Vasari, danneggiata da una serie di alluvioni, la più grave nel 1966, gode ora di ottima salute. Come testimoniato due mesi fa in occasione della presentazione dell’opera nel cenacolo fiorentino di Santa Croce.

Camilla De Carli

Ha visto finalmente una degna conclusione la lunga e accidentata vicenda della grande tavola vasariana raffigurante l’Ultima cena, la più recente opera restaurata tra le sopravvissute all’alluvione di Firenze del 1966. 

In occasione del cinquantenario di quell’evento (lo scorso 4 novembre), l’opera realizzata da Giorgio Vasari nel 1546 è stata nuovamente esposta al pubblico dopo un oblio durato, appunto, cinquant’anni e collocata nell’illustre cornice del refettorio del Museo dell’Opera di Santa Croce. Una ricollocazione che ha del miracoloso se si considera che la grande tavola nel corso dei secoli è stata danneggiata da diverse alluvioni, l’ultima delle quali, quella appunto del 1966, sembrava esserle stata fatale. 

L’Ultima cena è un’immensa opera pittorica costituita da cinque tavole (per un totale di diciannove assi) in legno di pioppo. L’elemento che per primo colpisce lo spettatore è la grandiosità: non è facile trovare in ambito toscano, infatti, pitture su legno di così ingenti dimensioni (6,60 x 2,62 metri). L’opera era stata commissionata da suor Faustina di Vitello Vitelli per il refettorio del convento (poi carcere oggi dismesso) delle Murate a Firenze. Nel 1808, a seguito delle soppressioni napoleoniche, fu trasferita nella basilica di Santa Croce e posizionata sull’altare della cappella Castellani a sostituire una Natività dell’artista Giuliano Bugiardini. Nel 1958 figura invece tra le opere della VI sala del Museo di Santa Croce, cui era stata riconsegnata dopo un restauro iniziato nel 1956. L’Ultima cena, infatti, era già stata danneggiata dalle alluvioni del 1547, 1557 e 1740, subito dopo le quali si era provveduto a riparare i danni che l’acqua aveva provocato sulla grande tavola, come si apprende anche grazie all’iscrizione al centro del dipinto, sul bordo della tovaglia, in corrispondenza delle figure di Cristo e san Giovanni. 


Una ricollocazione che ha del miracoloso se si considera che la grande tavola nel corso dei secoli è stata danneggiata da diverse alluvioni


Ma tutti gli sforzi precedenti risultarono vani di fronte alla furia dell’Arno all’alba del 4 novembre 1966. Intorno alle 6.50, infatti, l’acqua ruppe la spalletta di piazza Cavalleggeri investendo la Biblioteca nazionale e Santa Croce. L’Ultima cena rimase come molte altre opere immersa nel fango e nella nafta per diverse ore e quando i restauratori - su tutti è doveroso ricordare Ugo Procacci e Umberto Baldini - poterono avvicinarsi per ispezionare e catalogare l’opera, tutto sembrava perduto. La tavola fu sottoposta a una velinatura integrale della superficie pittorica ancora bagnata, operazione che ha contribuito a prevenire ulteriori perdite di colore; poi però ci si arrese di fronte all’evidente gravità delle condizioni in cui versava il dipinto. L’Ultima cena fu quindi spostata da un deposito all’altro senza alcun controllo microclimatico.

Solo recentemente l’Opificio delle pietre dure ha deciso di tentare di nuovo il restauro. Le analisi diagnostiche hanno rilevato numerosi danni al supporto, causati sia dal naturale invecchiamento del legno, sia dalla proliferazione di insetti xilofagi e dall’umidità.


Giorgio Vasari, Ultima cena (1546), Firenze, Museo di Santa Croce.


Fasi del lavoro di restauro.

Fasi del lavoro di restauro.


Fasi del lavoro di restauro.

Ciò ha provocato deformazioni delle tavole lignee con conseguente scollamento del colore dal supporto. Si è proceduto quindi con la reintegrazione delle lacune nella superficie pittorica. 

Terminato il restauro, l’Ultima cena è stata collocata nel cenacolo di Santa Croce, nello stesso punto in cui era esposto il Crocifisso di Cimabue. Dal momento che il rischio di alluvioni è costantemente presente nel territorio fiorentino, l’Opera di Santa Croce ha elaborato un sistema di sollevamento di contrappesi che ha potuto portare il dipinto da una quota di esposizione di circa 2,70 metri a una quota di almeno 5,20 metri - con uno scarto di almeno un metro - rispetto alla quota di esondazione (che nel 1966, fu di quasi 6 metri). Il sistema ha consentito il sollevamento della tavola in soli due minuti: togliendo il fermo dal contrappeso, l’opera è salita in alto. 

La scelta della collocazione è doppiamente simbolica: la pala vasariana è inserita in un dialogo costante con un’altra potente raffigurazione eucaristica - l’Ultima cena trecentesca affrescata da Taddeo Gaddi sulla parete centrale del refettorio - ma, prendendo il posto della «vittima più illustre», come Paolo VI aveva definito il Cristo di Cimabue, l’Ultima cena diventerà soprattutto testimonianza viva dello spirito di quei giorni, giorni di solidarietà e collaborazione che hanno fatto di quel tragico evento un prezioso momento di ricerca e rinascita.


Dettagli del dipinto

Fasi del lavoro di restauro.


Dettagli del dipinto

Museo di Santa Croce
Firenze, piazza Santa Croce 16
www.santacroceopera.it

ART E DOSSIER N. 339
ART E DOSSIER N. 339
GENNAIO 2017
In questo numero: ARTE, PASSIONE, POTERE Kokoschka e Alma Mahler: una relazione tormentata. I Gentileschi: un rapporto spezzato. Gesmar e le dive Belle Epoque. IN MOSTRA Fabre a San Pietroburgo, Liberty a Reggio Emilia, Ottocento italiano a Viareggio, Scrittura mesopotamica a Venezia.Direttore: Philippe Daverio