IL RAPPORTO CONLA COMMEDIA DELL’ARTE

È possibile che già a Valenciennes, negli anni della formazione, Watteau avesse avuto modo di incontrare qualche compagnia teatrale di passaggio

ma è certo che la scoperta del teatro come serbatoio figurativo avviene a Parigi, già durante la collaborazione con lo scenografo Gillot. 

Nel 1698, cinque anni prima che Watteau arrivasse nella capitale, Luigi XIV aveva allontanato la troupe italiana per favorire, coerentemente con la politica protezionista, la francese attiva presso la fiera di Saint-Germain. Negli anni della collaborazione con Audran, Watteau risiedeva presso di lui nel quartiere di Saint- Germain, ne frequentava la fiera, gli attori e la società di filosofi e artisti, dandy e gentildonne alla moda che vi gravitava intorno. Estromessi ormai da una decina d’anni dai luoghi ufficiali dell’arte drammatica, i commedianti italiani lavoravano accanto agli attori francesi e le maschere della tradizione italiana, amatissime dal pubblico, erano state accolte e aggiunte alle francesi. Si trattava di tipi fissi facilmente riconoscibili, personaggi comici con un costume caratteristico e con un definito modo di essere e di sentire costante in tutti i canovacci. Il nuovo repertorio delle troupe attive nelle fiere rifiutava il tono grandioso consono ai luoghi ufficiali del teatro sostituendolo con quello comico e leggero più adatto al pubblico della città annoiato e viziato. 

Alla fiera era di scena l’arte di vivere, il quotidiano spettacolarizzato nel quale il bel mondo e gli attori sfilavano insieme ed era difficile distinguere chi era spettatore e chi attore. 

È in questo clima che Watteau inventa l’espediente di introdurre in alcune sue feste galanti, accanto ai personaggi del bel mondo, le maschere della Commedia dell’arte. 

La trovata si rivela brillante dacché l’atmosfera incantata degli scenografici parchi, sottraendo gli attori in costume all’ambiente farsesco, conferiva ai personaggi nuova freschezza. All’efficacia visiva si univa quella concettuale poiché tale accostamento conduceva implicitamente ma inesorabilmente alla riflessione sui complessi rapporti fra finzione teatrale e vita reale, fra codice amoroso di maniera e verità del sentimento. Opera dopo opera, Watteau costruisce così un personalissimo lessico psicologico modulato sulla Commedia dell’arte e capace di catturare anche il “milieu” degli appassionati dell’arte drammatica.


La partita a quattro (1713 circa), particolare; San Francisco, Fine Arts Museums.


La partita a quattro (1713 circa), intero; San Francisco, Fine Arts Museums.

Se il dipinto Arlecchino imperatore sulla luna, la sua prima opera nota ispirata al teatro, ritrae una scena riconoscibile della pièce omonima di Nolant de Fatouville, creata nel 1684 e replicata con successo alla fiera di Saint-Germain nel 1707, ben presto il pittore si distacca a tal punto dalla fedeltà allo spettacolo da renderne quasi sempre irriconoscibile il riferimento. 

Pierre Jean Mariette, uno dei biografi del pittore, indica nel perduto I gelosi, noto a noi solo grazie a disegni preparatori, l’opera con la quale si era presentato all’Accademia nel 1712. Secondo la critica si trattava di una composizione vicina alla Partita a quattro, nella quale un Pierrot candido come il suo abito è al centro dell’attenzione di Scaramouche, maschera di origine italiana ma parigina di adozione, di Colombina e di una gentildonna. La maliziosa servetta della Commedia dell’arte abbassa la maschera in gesto di resa alla romantica serenata di Pierrot, eterno innamorato, mentre nell’ombra un putto su un delfino di pietra rimanda alla componente giocosa dell’amore. Pierrot è il vero protagonista, e con lui, nella partita della seduzione, trionfa il romanticismo, fra l’ingenuo e il furbesco. Il pendant formato da L’incantatore e da L’avventuriera, oggi al Musée des Beaux-Arts di Troyes, presenta due dipinti analoghi per composizione ma ciscuno con una diversa maschera astante. Nel primo un musicista ha concluso la sua serenata destinata a una gentildonna in un serico abito bianco che tuttavia ostenta per quel corteggiamento un apparente disinteresse. Mezzettino, rimasto nell’ombra, non sembra condividere la tecnica seduttiva del protagonista, troppo diretta e sincera secondo l’esperto trasformista della Commedia dell’arte. Nell’Avventuriera una gentildonna fissa altera e sprezzante il musicista seduto ma questa volta Pierrot nell’ombra, appena riconoscibile ma partecipe, mostra di approvare quella romantica serenata evidentemente destinata al successo. 

Abbozzato forse verso il 1712, ma più volte modificato negli anni, L’amore al teatro francese è verosimilmente la trascrizione pittorica dall’intermezzo dell’opera comica Festes de l’Amour et de Bacchus di Jean- Baptiste Lully, scritta nel 1672 e rappresentata più volte nel 1706 e nel 1716. Sul frondoso palcoscenico si riconoscono Bacco incoronato di pampini grappoli e foglie di vite e Cupido con frecce e faretra in atto di brindare a quello che ha tutta l’aria di essere un raggiunto accordo. Colombina assiste al brindisi mentre all’estrema sinistra e alla destra della composizione si distinguono rispettivamente Pierrot e Crispino. I personaggi compongono un’allegoria di facile lettura il cui perno sia compositivo che concettuale è l’alleanza fra l’amore e il vino, ché l’ebbrezza alcolica aiuta gli amanti ad abbandonare ogni indugio.


L’incantatore (1712-1714); Troyes, Musée des Beaux-Arts.


L’avventuriera (1712-1714); Troyes, Musée des Beaux-Arts.

Testimone del patto è Colombina, la furba servetta degli intrighi, qui risolti con successo e suggellati dal brindisi degli dei. Pierrot, nell’ombra, sembra indicare come il sentimento abbia ceduto il passo alla strategia mentre Crispino (possibile ritratto dell’attore Paul Poisson), furbo seduttore, ben illuminato e rivolto al pubblico, testimonia come la scena celebri un riuscito complotto. Al centro una coppia mima con la danza il corteggiamento e se la ballerina, accennando una riverenza, evoca le femminili civetterie, il ballerino, con le mani intrecciate dietro alla schiena rimanda alla natura subdola e disonesta dei progetti amorosi maschili. Come sospeso sopra la testa della danzatrice, il busto lapideo presenta le fattezze di Momo, mitologico figlio della Notte e personificazione della beffa. L’atmosfera crepuscolare dell’Amore al teatro francese diventa notturna nell’Amore al teatro italiano

I titoli dei dipinti hanno indotto la critica a collegare le due opere sebbene la scala dei personaggi, lo stile e la composizione contraddicano l’ipotesi di un pendant. In questa seconda opera la luna e una torcia illuminano gli attori con un espediente che, unico nell’opera di Watteau, sembra alludere alla condizione della Comédie Italienne, costretta nell’ombra dal decreto reale del 1697 ma riammessa infine alla ribalta dal reggente nel 1716.


L’amore al teatro italiano (1718 circa); Berlino, Staatliche Museen, Gemäldegalerie. Sebbene sia da escludere che l’Amore al teatro francese e l’Amore al teatro italiano costituiscano pendant, è tuttavia interessante notare come per entrambe le opere Watteau abbia scelto la suggestiva luce notturna. Tale espediente, unico nell’opera del pittore, ne sottolinea l’ideale collegamento tematico e la comune atmosfera esplicitamente teatrale.


L’amore al teatro francese (1712-1720); Berlino, Staatliche Museen, Gemäldegalerie.

La critica ha tentato di riconoscere nei volti delle maschere le fattezze di altrettanti attori celebri all’epoca e di leggere nella scena un riferimento allo spettacolo L’inganno fortunato con il quale la compagnia aveva ripreso l’attività al Palais Royal, ma la genericità dell’azione raffigurata non sembra poter consentire di affermarlo. La suggestiva composizione evoca il momento conclusivo di ogni pièce teatrale, quello in cui gli attori riuniti sul palcoscenico cantano la canzone finale in attesa degli applausi, ma in questa rassegna delle maschere della Commedia dell’arte l’insistenza della luce su Pierrot e Mezzettino tradisce deliberatamente la predilezione del pittore per questi due personaggi. Tale preferenza è ribadita dall’opera del Metropolitan Museum nella quale Mezzettino è l’unico e incontrastato protagonista. Il domestico furbo e intrigante intona qui una serenata alla chitarra per una gentildonna assente o distratta cui rimanda il simulacro lapideo alle sue spalle. Nei tratti caratterizzati del volto la critica ha invano tentato di riconoscere l’attore Angelo Costantini, responsabile del successo della maschera sui palcoscenici parigini dell’epoca, ma la prigionia dello stesso negli anni dell’opera ha indotto ad accantonare l’affascinante ipotesi. Eccezionale per i colori e l’indagine attenta del tessuto, il dipinto non manca di una certa ironia ravvisabile nella posa un po’ svenevole, nell’espressione esageratamente compresa del protagonista e persino nell’accordo di do maggiore, acuto e poco virile, individuato dalle dita sul manico dello strumento. Noto per l’abilità nel travestimento, il Mezzettino di Watteau è l’emblema del seduttore disposto a rinunciare a ogni dignità pur di conquistare una dama la cui posa e natura di statua mostrano insensibile. Chissà che non si tratti del ritratto di Jean de Jullienne, proprietario dell’opera fino alla sua morte, impegnato nella difficile conquista della sua futura sposa Marie-Louise de Bercey. La stessa maschera attorniata da altri personaggi suona la chitarra in Sotto l’abito di Mezzettino

Molto meno manierato, il Mezzettino della londinese Wallace Collection è stato riconosciuto da Jean de Mariette come Pierre Sirois, amico storico di Watteau, circondato dalle figlie, identificate grazie a un disegno oggi al British Museum. Erme di satiro a rilievo sull’architettura della scenografia scherzosamente rimandano al carattere lussurioso dell’amico.


Mezzettino (1717-1719); New York, Metropolitan Museum.


Sotto l’abito di Mezzettino (1717-1719); Londra, Wallace Collection.

Un iconico Pierrot dal volto ben caratterizzato giganteggia al centro del dipinto del Louvre intitolato Gilles, unico dipinto di Watteau che mostra un personaggio a grandezza monumentale e vero punto d’arrivo nella sua produzione. Dell’opera, che non figura fra le stampe tratte dai dipinti di Watteau raccolte in due volumi da Jean de Jullienne, si ignora l’origine e il committente e, sebbene fosse probabilmente già nota nel XVIII secolo, non risulta mai menzionata prima del 1826, pur di proprietà di Dominique Vivant Denon già dall’epoca dell’impero napoleonico. È possibile che il dipinto sia identificabile con l’insegna del caffè aperto dall’attore Antonio Belloni, celebre interprete di Pierrot, al suo ritiro dalle scene nel 1718 e tuttavia nessuna prova concreta conforta quest’ipotesi suggestiva. 

Il titolo crea confusione sull’identità stessa della maschera e invano Dora Panofsky ha tentato di sciogliere il nodo ricollegando il dipinto con la serie intitolata L’educazione di Gilles. Infatti, sebbene al tempo i costumi e i ruoli dei due personaggi fossero spesso confusi nelle pièce teatrali, il protagonista dell’opera di Watteau, dalla posa impacciata e dall’aria sognante, sembra avere ben poco del saltimbanco Gilles e molto invece del romantico buffone spesso citato dal pittore. 

Come da un’immaginaria platea, quattro attori lo osservano. Egli è immobile con il volto caratterizzato pervaso di rossore imbarazzato forse a causa di quel costume vistoso troppo abbondante e abbagliante. A ben guardare, tuttavia, i tre attori a destra (gli innamorati Leandro e Isabella e il vigliacco e vanaglorioso Capitano), più che a Pierrot sembrano interessati all’asino mentre Crispino, ipocrita ed egoista, ne è l’improbabile fantino. Il docile quadrupede, instancabile e un po’ sciocco, vero e proprio alter ego della maschera, è il protagonista di una controscena eloquente in cui c’è chi si è divertito a farne una cavalcatura, chi lo guarda stupito, chi con tenerezza e chi con il timore di un’imprevedibile reazione.


Teatranti francesi (1720-1721); New York, Metropolitan Museum.

Ritratto di due figlie di Pierre Sirois (1718-1719); Londra, British Museum.


Gilles (1718-1719); Parigi, Musée du Louvre. Gilles rappresenta un punto di arrivo nella produzione di Watteau. Il volto caratterizzato suggerisce che si tratti di un ritratto e sebbene la critica non sia stata in grado di identificarne il soggetto, l’espressione intensa ed enigmatica, il rossore imbarazzato e la posa impacciata rendono con straordinaria efficacia lo spessore psicologico del soggetto.

Sulla destra, fra i pioppi, un pino marittimo fa da ombrello all’erma di fauno che con la sua muta presenza evoca l’istinto ferino cui si riconducono le reazioni degli astanti. Vestito di bianco, Pierrot è l’emblema dell’ingenuità e di quella semiconsapevole sciocchezza che lo istigano a dire sempre ciò che pensa ma anche di quel naturale spontaneo talento che lo rende protagonista suo malgrado. Ben lontana dall’intensità lirica del famosissimo Gilles è Teatranti francesi ove l’azione drammatica ruota intorno a una lettera spiegazzata caduta di mano al personaggio al centro vestito in abiti secenteschi. L’atmosfera è cupa, stemperata solo dal gruppo scultoreo dell’amorino col delfino. Stando al “Mercure de France” (del 1731), l’opera raffigurerebbe una tragicommedia recitata dalla Comédie Française ma chi sono gli attori, e quale sia la pièce di riferimento non è chiarito dalla rivista né è stato scoperto in seguito dalla critica. 

La scenografia aulica, i gesti enfatici e gli abiti antiquati confermano il riferimento al teatro francese in voga a Versailles ma superato, a Parigi, dalla moderna spontaneità della Commedia dell’arte italiana, cui va senza dubbio anche la preferenza dell’artista. 

Nel 1719 Watteau parte per l’Inghilterra dove soggiorna per un anno nel vano tentativo di curarsi la tubercolosi presso Richard Mead, medico di chiara fama, per il quale dipinge Comici italiani, a lungo, erroneamente ritenuta pendant dell’opera precedente. Sebbene nel “Mercure de France” del 1733 l’opera sia presentata come un ritratto collettivo di artisti abbigliati con costumi di scena e messi in posa, sappiamo che il procedimento descritto non è verosimile dacché era abitudine di Watteau studiare a tavolino le sue composizioni assemblando i personaggi desunti da precedenti disegni dal vero o dai grandi capolavori dei suoi artisti preferiti. 

Anche in questo caso la ricerca di una precisa pièce di riferimento e dell’identità dei personaggi raffigurati si è dimostrata deludente e artificiosa l’idea che la metafora teatrale possa celare un’allegoria delle tappe della vita: la giovinezza a sinistra e la vecchiezza a destra. La descrizione della realtà contingente non si addiceva a Watteau per il quale il teatro era un mezzo e non un fine e tuttavia, grazie a un ritratto di Richard Mead conservato al Royal College of Physicians di Londra, il proprietario dell’opera è stato riconosciuto nel protagonista e l’opera ricollegata a un fatto reale della vita del committente. Al centro della scena, inquadrato in un portale di pietra, Pierrot, a differenza di Gilles, sorride palesemente orgoglioso del suo ruolo. Dell’affollata scena dove si distinguono Colombina, il Dottore, Arlecchino, un chitarrista, Mezzettino con l’Innamorata, e Momo attorniato da bambini, la maschera è il possibile emblema del trionfo morale del medico Richard Mead sul rivale John Woodword, un ciarlatano le cui fattezze sono attribuite qui al Dottore. 

Sarebbe, tuttavia, riduttivo e banalizzante leggere quest’opera semplicemente come risposta diretta a una circostanza contingente, dacché va riconosciuta a Watteau la capacità di traslare ogni tema dal piano reale al piano ideale, infondendo nelle sue composizioni quell’efficacia universale che le rende vive e fresche a tutt’oggi. La testa di satiro, ibrido delle selve, scolpita sull’architrave del portale sottolinea come l’istinto ferino sia alla guida di quella variopinta compagnia e tuttavia Brighella nel presentare Pierrot sembra voler lasciare intendere come, sia nella finzione teatrale che nella commedia umana, il candore dell’onestà sia destinato al successo sulla truffa e sull’inganno.


Comici italiani (1719-1720); Washington, National Gallery of Art. La descrizione della realtà contingente non si addiceva a Watteau per il quale il teatro e le sue maschere non erano un fine ma un mezzo per raccontare la natura umana e la complessità dei rapporti fra finzione teatrale e vita reale. Soprattutto le maschere della Commedia dell’arte italiana con i loro costumi caratteristici e il loro definito modo di essere e di sentire gli avevano permesso di elaborare un personalissimo ma efficace lessico figurativo.

WATTEAU
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Silvia Malaguzzi
La presente pubblicazione è dedicata a Antoine Watteau (Valenciennes 1684 - Nogent-sur-Marne 1721). In sommario: Un fiammingo a Parigi; Due tematiche fondamentali; Il rapporto con la commedia dell'arte; L'Insegna di Gersaint; I disegni. Come tutte le monografie della collana Dossier d'art, una pubblicazione agile, ricca di belle riproduzioni a colori, completa di un utilissimo quadro cronologico e di una ricca bibliografia.