Watteau torna a Parigi e, pur gravemente malato, è costretto a lavorare duramente per risollevarsi economicamente.
Silenzioso e misantropo, il pittore non si era mai sposato e usava soggiornare presso amici e committenti. In questa difficile situazione viene accolto e ospitato per qualche mese da Edme-François Gersaint, commerciante di dipinti e generi di lusso, suo amico ed estimatore. È lo stesso Gersaint, nella sua biografia dell’artista, a informarci che, per ricambiare l’ospitalità, Watteau volle dipingere l’insegna per il suo negozio d’arte a Pont Notre-Dame.
Completata in soli otto giorni, l’opera fu tanto apprezzata da essere venduta dopo solo due settimane a un collezionista per poi passare, alla metà del secolo, a Federico il Grande di Prussia.
Sebbene Gersaint ne parli come di un documento fotografico del proprio negozio, l’immagine è in realtà una miscela sofisticata di fantasia e di realtà cui la presenza di citazioni fedeli di opere d’arte reali conferisce il tono del capriccio settecentesco. Anche l’interazione fra il commerciante e la sua clientela ha il ritmo melodioso di una danza su un palcoscenico ove i personaggi non sono ritratti dal vero ma chiaramente immaginari.
L’interno del negozio è pieno di clienti, ferve l’attività, sulla sinistra mentre un facchino contempla la scena, un impiegato stacca dalla parete uno specchio e un imballatore ripone in una cassa un ritratto di Luigi XIV. Al centro un uomo tende la mano a una fanciulla in elegante “robe watteau”. Sulla destra una coppia di schiena studia con attenzione il dipinto ovale a soggetto mitologico presentato dal venditore mentre, accanto, la commessa attira su uno specchio l’attenzione di tre giovani. I riferimenti sono accurati: del dipinto ovale l’uomo sembra attratto soprattutto dai nudi femminili, un evidente richiamo all’erotismo caro all’epoca, mentre la donna in casto abito vedovile ne contempla il paesaggio. Lo specchio si offre ai giovani non solo come oggetto da acquistare ma anche come strumento in cui rimirarsi, con un chiaro riferimento alla vanità giovanile. Altri specchi dalle pareti riflettono gli aristocratici avventori moltiplicandone l’elegante immagine in una sorta di crescendo narcisistico.