Letture iconologiche
Il Paradiso terrestre di Hieronymus Bosch

E adamo
Ed Eva?

Osservando con attenzione il Paradiso terrestre della serie Visioni dell’aldilà di Bosch sorge il dubbio che il titolo sia effettivamente pertinente. Abbiamo a disposizione tutti gli elementi per confermarlo? Il poema di Dante Alighieri e il confronto con un’opera simile di Dirk Bouts possono chiarirci le idee e suggerirci un nuovo titolo.

Marco Bussagli

Un po’ è la tradizione, un po’ la pigrizia di cambiare prospettiva mentale, e non è raro che si perpetuino titoli di capolavori, senza che ci si chieda se siano corretti e se rispecchino il reale soggetto rappresentato. È il caso del cosiddetto Paradiso terrestre di Hieronymus Bosch, che fa parte della serie di quattro sportelli nota come Visioni dell’aldilà. Eppure, già a uno sguardo superficiale, questa denominazione non pare del tutto soddisfacente.

Bosch ha interpretato in modo assai elastico questo soggetto, come dimostrano le ante laterali di trittici celeberrimi quale quello del Giardino delle delizie o del Giudizio finale di Vienna o, ancora, del Trittico del fieno. Tuttavia, è indubbio che per essere tale, il “paradiso terrestre” non può non ospitare i suoi principali “inquilini”, ossia Adamo ed Eva che, però, qui non compaiono. Al contrario, il pittore olandese ha dipinto un verde paesaggio, rigoglioso di piante e di acqua, con una fontana in cima a una collinetta. Uomini e donne nudi (le anime), sono accompagnate da angeli in veste talare, oppure con tuniche rosse. I messi divini mostrano cortese accondiscendenza. Sembra, infatti, che li invitino a inoltrarsi fra i boschi e a guardare verso l’alto, dove il paesaggio umido e fecondo scolora verso un cielo diafano e terso. Si capisce, allora, che l’accezione nella quale deve essere intesa la definizione di Paradiso terrestre è quella di Dante Alighieri, che colloca questo mitico luogo sulla cima della montagna del Purgatorio. Qui giungono le anime che hanno scontato la pena temporanea e si avviano verso il Paradiso. Così, il grande poeta descrive il luogo: «Vago già di cercar dentro e dintorno / la divina foresta spessa e viva, / ch’a li occhi temperava il novo giorno […] per cui le fronde, tremolando, pronte / tutte quante piegavano a la parte […] tanto, che li augelletti per le cime / lasciasser d’operare ogne lor arte» (Divina commedia, Purgatorio, XXVIII, 1-15).

Il primo a individuare il soggetto iconografico con precisione fu Ludwig von Baldass, in quello che oggi può considerarsi un classico della letteratura, Hieronymus Bosch (questo il titolo), pubblicato nel 1960 dall’editore americano Abrams. Giustamente, lo studioso tedesco poneva l’opera di Bosch in relazione con quella di Dirk Bouts, che rappresenta lo stesso soggetto ma con una differenza di cui diremo. Tuttavia, un altro grande indagatore della pittura del grande olandese, Charles de Tolnay, nel suo monumentale studio (studio più volte pubblicato e aggiornato), notò la presenza di un leone che sbrana un cerbiatto e, confondendo la tematica, lo considerò segno della corruzione successiva alla cacciata dei progenitori dal Paradiso terrestre. In realtà, se si osserva con attenzione la tavola veneziana del pittore di ‘s-Hertogenbosch non si farà fatica a rilevare che l’artista ha diviso con grande sapienza la composizione grazie alla diagonale del declivio boschivo.


Hieronymus Bosch, Visioni dell’aldilà, Arrivo delle anime nel Paradiso (1500-1515), Venezia, palazzo Grimani.

Quel che si trova a sinistra è il paesaggio ubertoso del Paradiso terrestre, che culmina, in alto, con la fontana della Giovinezza, oltretutto segnata da tre protomi umane che buttano acqua, forse allusione alle tre età dell’uomo; mentre quel che si trova a destra ha toni molto più cupi. Il prato nel quale la belva consuma il suo brutale pasto è l’ultima propaggine di quell’Inferno che si sono lasciati alle spalle le anime e al quale Bosch dedica un’intera tavola con la Caduta dei dannati.

Del resto, la descrizione un po’ frettolosa di Marcantonio Michiel, che vide le tavole (che lui chiama tele) nella dimora del cardinal Grimani, citava l’Inferno e «la tela delli Sogni» (forse l’Ascesa all’empireo) che lo avevano colpito. Le quattro tavole, infatti, vanno lette in successione dinamica e una conferma ce la offre una doppia pagina miniata del Libro d’ore dipinto da Simon Marinion (Londra, Victoria and Albert Museum, manoscritto Salting 1221, fogli 152v-153r). Qui, accanto al Giudizio finale (152v), si trova la scena delle anime che si sono salvate dal cupo Inferno, devastato dal fuoco e dal peccato, e sono giunte nel verde prato del Paradiso terrestre con tanto di fontana della Giovinezza, attraversando un ponte lungo e sottile. È quel che descrive Dirk Bouts nella sua celebre tavola conservata al Palais des Beaux-Arts di Lille, dove un angelo di spalle accompagna le anime nell’ubertosa valle dell’Eden, da cui spiccano il volo verso le nuvole fra le quali si apre uno squarcio di luce abbacinante: l’Empireo. A questa fase del percorso dell’anima, invece, Bosch ha dedicato l’ultima tavola («la tela delli Sogni») che prelude all’ingresso nella dimora divina. L’artista olandese l’ha dipinta nell’orbicolo con il quarto (in senso orario, dal basso) dei Novissimi (le cose ultime cui l’uomo va incontro al termine della vita) della tavola dedicata a 68 I sette peccati capitali. Qui, sulla porta di un palazzo ricchissimo e maestoso, san Pietro accoglie le anime. Tuttavia, un’incisione di Hieronymus Cock su disegno di Bosch, con tanto di palazzo, costituisce l’anta sinistra di un trittico pervenutoci solo in incisione (Londra, British Museum). L’immagine fu pubblicata nel 1961 da Charles de Tolnay, nella rivista dell’Università di Princeton.


Dirk Bouts, Ascensione degli eletti, detto anche Paradiso (1450 o 1468), Lille, Palais des Beaux-Arts.

Accanto al Giudizio finale, si trova la scena delle anime che si sono salvate dal cupo Inferno


Allora, ritornando alla tavola veneziana, il titolo più adatto potrebbe essere quello di Arrivo delle anime nel Paradiso, riferito anche a quella di Bouts. Il Paradiso terrestre, qui, è, infatti, l’approdo per salire in Paradiso.
Resta un’ultima domanda da porsi: come sia arrivata questa tematica a Bosch. Prima di tutto, va detto che il verbo dantesco, alla data dell’opera veneziana - fra il 1500 e il 1515 -, si era ormai diffuso in Europa, come dimostra la stessa tavola di Bouts, da collocarsi verso il 1470. Infine, giova ricordare (come prova “a posteriori”) in che modo Erasmo da Rotterdam, nei suoi Colloquia familiaria pubblicati nel 1522, descriveva il Paradiso come un prato incantevole. L’occasione era stata quella di rendere omaggio alla memoria del suo amico, umanista e teologo, Johannes Reuchlin, il cui nome con la stessa radice del tedesco “rauch” (fumo), era stato grecizzato da Erasmo in “Capnio” che ha quel significato nella lingua di Omero. Nel testo di Erasmo, quando, dopo la malattia, Reuchlin si trova a descrivere il suo risveglio in Paradiso, così narra: «Mi sono visto in piedi su un lungo ponticello sul quale si passava per arrivare a un bellissimo prato [“pratum amoenissimum”]. Mi avvio e i miei occhi sono abbacinati dal prato e dagli alberi, più verdi dello smeraldo [“plus quam smaragdinus viror”]. Così come i fiori dall’incredibile varietà di colori [“incredibili colorum varietate”] mi arridevano come piccole stelle [“stellulae”]. Così alitavano tutte le cose, come il prato vicino al fiume [“citra rivum”] dove si divideva quel felicissimo campo [“quo dirimebatur ille felicissimus campus”]». Una descrizione che è proprio quella delle anime che arrivano in Paradiso, come in Bosch.



Hieronymus Bosch, Visioni dell’aldilà, Ascesa all’empireo (a sinistra), Inferno (al centro), Caduta dei dannati (a destra) (1500-1515), Venezia, palazzo Grimani.
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Arriva in libreria, opera dell’autore di questo articolo, un libro imperdibile per chi ama le bizzarre composizioni di Bosch, brulicanti di esseri fantastici, simbologie complesse, dettagli minuti da analizzare centimetro per centimetro. Hieronymus Bosch (‘s-Hertogenbosch, Olanda, 1453- 1516) è l’artista che più di ogni altro, tra Medioevo e modernità, ha dato vita nei suoi dipinti a un immaginario favoloso e perturbante, nutrito di visioni infernali e paradisi sfolgoranti, vizi e redenzioni, punizioni esemplari e sensi di colpa, ossessioni religiose e credulità superstiziose. È l’iniziatore di un Rinascimento nordeuropeo - insieme realistico e fantastico - che avrà seguito in Bruegel e nella pittura olandese del Seicento. Nel cinquecentesimo anniversario della sua morte il mondo intero gli dedica quest’anno eventi, mostre, convegni, iniziative culturali e momenti spettacolari.

ART E DOSSIER N. 337
ART E DOSSIER N. 337
NOVEMBRE 2016
In questo numero: UNA STAGIONE DI GRANDI MOSTRE Kirkeby a Mendrisio, Soffici a Firenze, i Nabis a Rovigo, Zandomeneghi a Padova, Impressionismo a Treviso, il Seicento di Vermeer all'Aja. CINQUANT'ANNI FA L'ALLUVIONE Firenze restaurata. FAVOLE ANTICHE Il paradiso di Bosch, le cacce dell'imperatore. Direttore: Philippe Daverio.