Grandi mostre. 6
Pittura di genere all’Aja

il teatro
dell’apparenza

Una mostra all’Aja concentra l’attenzione sulla pittura di genere del Secolo d’oro dell’arte olandese, e in particolare sui soggetti domestici. Ambientazioni familiari che documentano momenti di vita quotidiana di quattrocento anni fa, ma che a volte nascondono, dietro un velo di innocenza, una certa dose di malizia.

Claudio Pescio

Attorno alla metà del XVII secolo, la pittura olandese del Secolo d’oro sembra concentrarsi sempre più sulla produzione di genere, e al suo interno iniziano a prevalere soggetti ispirati alla casa, alla famiglia, alla rappresentazione di scene di vita domestica. Questo irrompere del quotidiano nella pittura del tempo ha almeno due ragioni. Da un lato casa e famiglia diventano - nell’Olanda repubblicana e calvinista, che ha abbandonato l’arte sacra per una soggettistica decisamente laica - il centro e il fulcro della società, dall’altro il mercato dell’arte, dominato dalla borghesia urbana benestante, inizia a premiare le raffigurazioni che pongono al centro dell’attenzione quella stessa classe sociale e il suo mondo.

È il momento in cui la borghesia inizia a separare sempre più nettamente vita pubblica e privata, dimensione familiare e lavoro, luogo protetto e scena della lotta quotidiana per la riuscita economica. Nasce qui l’idea di “privacy”, una nuova consapevolezza di sé che condurrà in pochi decenni la borghesia più avanzata a reclamare per sé uno status di “nuova aristocrazia”, non più di sangue ma ben tangibile nei beni e nello stile di vita.

Questa transizione socioculturale è accompagnata, documentata, promossa (a volte con qualche ironia) da un folto gruppo di artisti particolarmente sensibili alle minime vibrazioni della società in cui cercano i propri clienti: Jan Vermeer, Pieter de Hooch, Jan Steen, Gerard ter Borch, Gerrit Dou, Gabriel Metsu, solo per citare i principali fra loro, tutti protagonisti della mostra in corso all’Aja, riuniti sotto il titolo At Home in Holland. Titolo che si presta a una doppia lettura: “a casa” in Olanda nel senso che quei quadri vi tornano provenendo tutti (salvo opportuni confronti forniti dalle collezioni del Mauritshuis) dalla British Royal Collection, che mai aveva messo a disposizione di una mostra un così cospicuo numero di opere olandesi di genere, ben ventidue; ma anche “a casa” nel senso che le ambientazioni dei dipinti ci fanno entrare nei luoghi - case perlopiù, ma anche qualche cortile, giardino, taverna, bordello - in cui vivevano i cittadini dei Paesi Bassi del Seicento.

La qualità dei quadri rispecchia l’altissimo livello raggiunto dalle varie scuole locali olandesi del tempo. E le opere manifestano anche le differenti impostazioni del tema da parte delle varie personalità artistiche.


La pittura di genere celebra le virtù domestiche e quotidiane, con molto realismo e qualche allusione


Il più noto dei dipinti in mostra, la Lezione di musica (1662-1664 circa), è emblematico dell’approccio del suo autore, Jan Vermeer. Una scena realistica ma al tempo stesso sottilmente straniante, dove tutto è esplicito: una donna suona il suo strumento, un uomo canta al suo fianco in una stanza perfettamente costruita prospetticamente e illuminata dalla luce che penetra dai vetri colorati delle finestre; eppure qualche elemento interviene ad alterare l’apparente oggettività della scena introducendo elementi di disturbo: lo specchio sul fondo riflette il volto della donna ma anche i piedi del cavalletto del pittore stesso, che inserisce così se stesso nella scena; scena che viene in qualche modo “allontanata” da noi grazie ad alcuni elementi disordinatamente frapposti fra il primo piano e quello dove si svolge l’azione.


Jan Steen, Taverna con giocatori di carte e suonatore di violino (1665 circa).

Interpretazioni fra loro opposte del soggetto domestico possiamo vederle rappresentate da Pieter de Hooch - interessato agli aspetti più intimamente familiari, alla quotidianità più rassicurante di ambienti semplici, teatro di cure parentali e lavori di casa - e da Jan Steen, che presenta una versione umoristica e condiscendente di un mondo che mostra per quel che secondo lui è nella realtà, persone comuni che bevono, mangiano o dormono, servette che flirtano, prostitute che invitano, paesani che fanno festa.
Un’ulteriore chiave di lettura, fra le altre, è fornita da Gerrit Dou, e ha a che fare con l’ambiguità di fondo di queste scene domestiche: mai del tutto semplice specchio della realtà, mai soltanto quadretto moraleggiante.

In realtà si tratta spesso di opere che offrono diversi piani interpretativi. Chi acquista il quadro sa di poter contare su questa molteplicità, e sa che il pubblico a cui vorrà renderlo visibile leggerà il messaggio che gli sarà più confacente. La Ragazza che trita le cipolle (1646) è tra le opere più rappresentative sia della collezione presentata in mostra sia della pittura di Dou.
A Leida, a quindici anni, il giovane Gerrit è il primo allievo del poco più anziano Rembrandt, a sua volta agli inizi della carriera. Quando prenderà una propria strada sceglierà di essere un «fijnschilder», un pittore «fine», capofila di una delle correnti di maggior successo del Secolo d’oro, che persegue un’accurata, minuziosa rappresentazione di materiali, luci, dettagli.
La Ragazza in questione la vediamo appunto tritare cipolle in un mastello; ci guarda timidamente mentre un ragazzino le porge una cipolla sbucciata. 

La scena è inquadrata (come spesso accade per le opere di Dou) in un arco-finestra che introduce il nostro sguardo nella stanza in cui si svolge la scena, una cucina avvolta nella penombra. A prima vista un’immagine innocente di lavoro domestico, in linea con le prescrizioni sociali correnti che affidano alla donna la cura della casa e dei bambini. Un osservatore del tempo, però, non avrebbe mancato di collegare fra loro alcuni dettagli in grado di rimandare a simbologie a lui familiari: la brocca in primo piano, rovesciata verso chi guarda e con il coperchio aperto allude al sesso femminile; la pernice appesa (o un qualunque altro volatile) si collega all’atto sessuale; la gabbia appesa sulla testa della ragazza, rimasta vuota e con la porta aperta, è un emblema ricorrente della verginità perduta; la candela sulla mensola è un simbolo fallico, idem il pestello nel mortaio; la cipolla, infine, era ritenuta afrodisiaca. Nella scheda in catalogo uno dei curatori nonché capo curatore del Mauritshuis, Quentin Buvelot, segnala un’incisione dello stesso quadro, eseguita dal francese Pierre-Louis Surugue nel 1724 che reca un’iscrizione-commento che toglie molti dubbi sull’interpretazione allora corrente di questa scena; la frase è attribuita al ragazzino e suona qualcosa come: sarete bravissima a fare il ragù ma il mio appetito è tutto per voi. 


Potremmo aggiungere che in un dipinto di Dou di qualche anno successivo (Domestica con un ragazzo in una finestra, 1652, Karlsruhe, Staatliche Kunsthalle) si ha una variante della scena con la ragazza (verosimilmente la stessa che abbiamo visto indaffarata con le cipolle, ma la scena è ricorrente nella produzione di Dou) che ha in mano un pesce mentre il ragazzo le mostra un coniglio. Un altro “fijnschilder” allievo di Dou, Godfried Schalcken, in un dipinto del 1665-1670 (collocazione sconosciuta), La salsicciaia, mostra una scena simile, con la stessa inquadratura, solo che la ragazza ha in mano una salsiccia e rivolge verso chi guarda un sorriso al tempo stesso aperto e malizioso. I quadri di genere mostrano spesso queste stratificazioni di senso. La Ragazza che trita le cipolle rimanda a un contesto culturale e sociale in cui l’immagine della domestica oscillava fra lo stereotipo misogino e la farsa umoristica, sull’immagine diffusa di ragazza viziosa, oziosa, seduttiva, inaffidabile. La mostra dell’Aja è senza dubbio un’occasione per ammirare la perfezione qualitativa che caratterizza la pittura del Seicento olandese, ma percorrerla con un occhio attento ai dettagli potrebbe riservare sorprese e farci entrare in quelle case con qualche elemento di comprensione in più.

Pierre-Louis Surugue, Il trito di cipolle (1724), incisione dal dipinto di Dou della pagina precedente


Godfried Schalcken, La salsicciaia (1665-1670 circa), collocazione sconosciuta.

At Home in Holland.
Vermeer and his Contemporaries from the British Royal Collection

L’Aja, Mauritshuis - Fino all’8 gennaio 2017
Orario 10-18, lunedì 13-18, giovedì 10-20
Catalogo Royal Collection Trust, Mauritshuis e Marcatorfonds,
a cura di Desmond Shawe-Taylor e Quentin Buvelot
www.mauritshuis.nl

ART E DOSSIER N. 337
ART E DOSSIER N. 337
NOVEMBRE 2016
In questo numero: UNA STAGIONE DI GRANDI MOSTRE Kirkeby a Mendrisio, Soffici a Firenze, i Nabis a Rovigo, Zandomeneghi a Padova, Impressionismo a Treviso, il Seicento di Vermeer all'Aja. CINQUANT'ANNI FA L'ALLUVIONE Firenze restaurata. FAVOLE ANTICHE Il paradiso di Bosch, le cacce dell'imperatore. Direttore: Philippe Daverio.