Grandi mostre. 5
Storie dell'impressionismo a Treviso

radici e ragioni
di un’avventura

Un movimento che esordisce nella Parigi del 1874 e che si fa portavoce di una pittura volta a catturare, dal vero, la realtà e la natura nel suo fluire quotidiano. L’impressionismo, con i suoi maggiori esponenti e le sue vicende più salienti, è al centro della rassegna espositiva allestita da Marco Goldin nel Museo di Santa Caterina.

Melisa Garzonio

Annunciata come la mostra superstar di questo autunno-inverno, è aperta dal 29 ottobre al Museo di Santa Caterina di Treviso Storie dell’ impressionismo. I grandi protagonisti da Monet a Renoir, da Van Gogh a Gauguin, con oltre cento opere di impressionisti francesi. Si aggiudicherà il record di visitatori ottenuto da Monet, la Senna, le ninfee. Il grande fiume e il nuovo secolo, la rassegna star allestita nel 2004-2005 al Museo di Santa Giulia di Brescia? Anche in questo caso la mostra è a cura di Marco Goldin, il critico-manager che ha realizzato alcuni tra gli eventi d’arte italiani più seguiti degli ultimi vent’anni, tutto sembrerebbe dunque giocare a favore dei maestri e delle opere qui raccolte. E pensare che il mercante parigino Paul Durand-Ruel, quando nei primi anni Ottanta dell’Ottocento s’imbarcò sul piroscafo per New York con una cinquantina di tele impressioniste nutriva ben poche speranze di piazzare presso i grandi patron dell’arte a stelle e strisce quei dipinti vistosi, dove il colore sembrava scorrere senza soluzione di continuità, perfino nelle ombre.

Il termine “impressionista” aveva inizialmente un’accezione negativa: era stato coniato da un critico malevolo, tale Louis Leroy, per esprimere il suo dissenso nei confronti di opere caratterizzate apparentemente da una pittura incompleta come la tela di Claude Monet del 1872 Impressione, sole nascente (che darà il nome al movimento).

Dove nasce quella maniera incredibile di stendere i colori, facendoli apparire ora opachi ora liquidi?


Il maestro e i suoi seguaci furono etichettati per sempre come “impressionisti”, poi sappiamo come le cose cambiarono a favore dei nostri pittori. Ma, allora, le stesse ninfee, i magnifici fiori coltivati dal maestro ormai anziano nello stagno di Giverny - il giardino delle meraviglie la cui continua trasformazione, in tutte le stagioni e in tutte le ore del giorno, dall’alba al tramonto, con la brina e sotto il sole d’estate, rappresentò il soggetto prediletto negli ultimi trent’anni della vita di Monet -, furono guardate con perplessità. Ma dove nasce quella maniera incredibile di stendere i colori, facendoli apparire ora opachi ora liquidi, sfumati, scontornati e alleggeriti al punto che ogni cosa dipinta, le foglie, l’erba, l’acqua, i fiori, i cieli e le nuvole sembrano vibrare nella luce? Solo William Turner, con le sue navi ondeggianti nel mare in burrasca - e molto prima che Monet dipingesse sulla Senna o nel giardino ad Argenteuil -, aveva osato proporre sulla tela una simile rarefazione del colore; ma, incredibile a dirsi, il meraviglioso artificio fu interpretato come la patologia incurabile di un vecchio pittore accecato dalla cataratta.


Claude Monet, Covoni, effetto di neve (1891) Edimburgo, Scottish National Gallery.

Gustave Courbet, L’onda (1871 circa), Edimburgo, Scottish National Gallery


Vincent van Gogh, Salici potati al tramonto (1888), Otterlo, Kröller-Müller Museum.

La mostra è fatta di tante storie, che messe assieme fanno la grande Storia dell’impressionismo. Goldin comincia da lontano: passa in elenco i vari Salon d’accademia, ne sviscera le tecniche tronfie, ormai obsolete, per arrivare al cuore della mostra: la prima rassegna impressionista tenuta nell’aprile del 1874 nello studio parigino del fotografo Nadar. Fu l’evento che cambiò le sorti della “vecchia” pittura e fondò la modernità. C’è, a documentare il cambiamento, una sezione dedicata all’arte del ritratto, un campo in cui ai tempi dei Salon era il talento di Jean-Auguste Ingres a dominare. Raffaellesco nel tratto, geniale nel mettere a fuoco il carattere dei suoi modelli, un talento per l’indagine psicologica che ritroveremo in tante “madame” di Edgar Degas, nella celeberrima Madame Charpentier e i suoi figli di Pierre-Auguste Renoir, nel Ritratto di un bambino della famiglia Lange di Edouard Manet. Quello di Ingres è un classicismo illuminato che si discosta dalle maniere laccate dell’accademia, la cosidetta “Art pompier” dei Bénouville, Flandrin, Bertin e Bouguereau, i maggiori artisti dei Salon. La nascita dell’impressionismo potrebbe essere pensata come la reazione forte a questo gusto decadente, ma non basta. Per decidere la paternità del nuovo stile dobbiamo tornare a Turner e ai paesaggisti olandesi del XVII secolo alla Van Ruisdael, il pittore che inventò il paesaggio moderno. E dobbiamo ripensare Constable, e Corot e Millet, i due maestri che formeranno i pittori della generazione successiva.

Ma c’è anche un gruppo di pittori francesi che fanno capo a Barbizon, un ameno villaggio della Francia settentrionale, vicino a Fontainebleau, incastonato in una foresta verde cupo sotto un cielo turchese, dove, a partire dagli anni Trenta dell’Ottocento, si scopre che è più bello dipingere dal vero, all’aria aperta, lontano dalle luci degli atelier.

Scoprire le stagioni nel colore delle foglie


A Barbizon si scopre che è un piacere osservare come le cose cambiano sfumatura nello scorrere delle ore, più intensa sotto la luce del sole, più pallida sotto la luna, che c’è una realtà viva da dipingere fatta di elementi e personaggi colti dal vero: famiglie distese sull’erba in festoso picnic, mamme che passeggiano nel verde con i loro figli, alberi scossi dal vento, onde che schiumano fragorose, mazzi di fiori scoloriti da un sole intenso.

Di quell’esperienza saranno debitori Manet (di bellezza assoluta le sue nature morte scure ispirate al secentismo spagnolo), Renoir, Berthe Morisot; Monet che porterà al Salon del 1880 l’incredibile paesaggio in dissoluzione luminosa Lavacourt; Van Gogh, cui la mostra dedica un capitolo con l’omaggio di una decina di capolavori dal periodo di Arles a quello finale di Auvers-sur-Oise; Gauguin, diviso tra la Bretagna e la Polinesia, figura immensa che si staglia sulla parabola declinante dell’impressionismo; e con lui Camille Pissarro, fino a Paul Cézanne, che stima Monet ma non l’impressionismo, da cui prende le distanze ritirandosi in Provenza ai piedi della montagna Sainte-Victoire, immortalata in tante tele.


Camille Pissarro, Castagni a Louveciennes (primavera 1870) Baden (Svizzera), Museum Langmatt.

Sarà per i colori, per il clima, per il “genius loci”, fatto sta che nel 1835 Barbizon diventa l’atelier a cielo aperto di pittori ardimentosi che amano guardare la natura in diretta, intingendo il pennello nel vero. Il primo a lasciare lo studio di Parigi è Théodore Rousseau, presto seguito da un manipolo di seguaci, Millet, Dupré, Daubigny, Decamps, fino a Courbet, che pur non facendo parte del giro resta il punto di riferimento più incisivo per i giovani pittori che volevano scoprire le stagioni nel colore delle foglie e rubare l’infinito nella luce di un tramonto.
Se a Barbizon nasce una scuola che rivoluzionerà la pittura di paesaggio, aprendosi a nuove sperimentazioni cromatiche che una trentina d’anni dopo riceveranno l’imprimatur nella tavolozza impressionista, altre suggestioni forti arrivano dalla fotografia, una tecnica che a metà Ottocento s’inserisce a ragione nel dibattito pittorico del tempo: è più vera la realtà delle tele realizzate nella foresta di Fontainebleau o quella catturata da fotografi straordinari come Gustave Le Gray, solo per citarne uno?

LE MOSTRE DI TREVISO
In contemporanea con la mostra Storie dell’impressionismo. I grandi protagonisti da Monet a Renoir, da Van Gogh a Gauguin (Treviso, Museo di Santa Caterina, dal 29 ottobre 2016 al 17 aprile 2017, orario 9-18, da venerdì a domenica 9-19, www.lineadombra.it), lo stesso museo propone altre tre esposizioni grazie a fondamentali prestiti ottenuti dai maggiori musei d’Europa e degli Stati Uniti. Adiacente alle sale che ospitano la storia dell’impressionismo ecco la preziosa raccolta di Tiziano Rubens Rembrandt dedicata all’immagine femminile tra Cinquecento e Seicento. Tre dipinti capolavoro: Venere che sorge dal mare (Tiziano, 1520), il Banchetto di Erode (Rubens, 1635-1638) e infine Una donna nel letto (Rembrandt, 1647) prestati dalla Scottish National Gallery di Edimburgo. A seguire, una mostra omaggio alla grande pittura italiana della seconda metà del secolo scorso: Da Guttuso a Vedova a Schifano. Il filo della pittura in Italia nel secondo Novecento. Le opere di Guttuso con quelle di Afro, Mušic con Turcato, Tancredi con Vedova. E ancora: Guccione, Novelli, Schifano, Burri, Morlotti, i più grandi dal 1946 al 2000. Infine, nelle sale di palazzo Giacomelli (sempre a Treviso), una rassegna sulla generazione anni Venti-Trenta, De pictura. Dodici pittori in Italia (orario 9.00-12.30 / 14.00-19.00, sabato e domenica chiuso, www.palazzogiacomelli.it) dove si racconta della cosiddetta generazione di mezzo, senza distinzione fra astratti e figurativi. Gli artisti selezionati sono dodici: Claudio Olivieri, Luigi Lavagnino, Franco Sarnari, Gianfranco Ferroni, Claudio Verna, Piero Ruggeri, Mario Raciti, Attilio Forgioli, Alberto Gianquinto, Ruggero Savinio, Piero Guccione, Piero Vignozzi. Anche questo progetto espositivo è a cura di Marco Goldin. Tutti i cataloghi sono pubblicati da Linea d’ombra.

ART E DOSSIER N. 337
ART E DOSSIER N. 337
NOVEMBRE 2016
In questo numero: UNA STAGIONE DI GRANDI MOSTRE Kirkeby a Mendrisio, Soffici a Firenze, i Nabis a Rovigo, Zandomeneghi a Padova, Impressionismo a Treviso, il Seicento di Vermeer all'Aja. CINQUANT'ANNI FA L'ALLUVIONE Firenze restaurata. FAVOLE ANTICHE Il paradiso di Bosch, le cacce dell'imperatore. Direttore: Philippe Daverio.