Grandi mostre. 4
Federico Zandomeneghi a Padova

OcchiO
all’impressiOne

A dispetto di una tradizione familiare legata alla scultura, il veneziano Zandomeneghi è deciso fin da subito a seguire la sua vocazione: la pittura. A cent’anni dalla sua scomparsa è a lui dedicata a palazzo Zabarella un’antologica che indaga in profondità il profilo dell’artista. Un profilo, come ci racconta qui uno dei curatori, intriso sì di impressionismo (tra tutti Degas e Renoir) ma anche caratterizzato da uno stile originale.

Fernando Mazzocca

Una volta tanto il titolo della mostra - L’impressionismo di Zandomeneghi - non è, come potrebbe sembrare, un espediente un po’ ruffiano per attirare l’attenzione del grande pubblico, ma la formula più legittima per definire l’identità di Federico Zandomeneghi (1841-1917) rispetto a quella degli altri due famosi italiani a Parigi, De Nittis e Boldini. Fu infatti il solo a condividere le lotte degli impressionisti - con i quali i suoi connazionali ebbero invece un rapporto conflittuale -, esponendo a quasi tutte le loro collettive e intrecciando con loro, in particolare con Degas, Pissarro, Sisley e Renoir, proficui rapporti non solo professionali ma anche personali. Come gli impressionisti, Zandomeneghi è stato un protagonista della “pittura della vita moderna”, affermandosi come interprete della figura femminile rappresentata in un contesto quotidiano, nei suoi rituali scanditi da regole precise, come la toilette, la passeggiata al Bois, la lettura, la conversazione. Egli ha saputo rendere tutta una gamma di atmosfere e di sentimenti, fissando con uno sguardo attento le fisionomie, i gesti e gli sguardi che, se pur identificabili con quelli della donna parigina di quegli anni, sono diventati, grazie alla seduzione del suo stile inconfondibile, il simbolo di una femminilità ideale, universale, ancora molto attuale. Pur affrontando gli stessi temi, la sua pittura è molto diversa da quella aggressiva e talentuosa di Boldini, mentre sembra piuttosto coniugare la modernità dei tagli compostivi di Degas con gli splendori cromatici di Renoir, per giungere a una cifra assolutamente nuova e originale.

La mostra vuole ricostruire il lungo e avvincente percorso di un personaggio sempre determinato e coerente, capace di portare avanti scelte di vita e artistiche coraggiose, come quella di lasciare la sua città di origine, Venezia, rinunciando ai vantaggi che gli sarebbero derivati dalla potenza e dalla notorietà della famiglia, formata da celebri scultori. Così si trasferì prima a Milano, terminando gli studi all’Accademia di Brera, e poi a Firenze dove giunse nel 1862, dopo aver partecipato a una delle spedizioni di Garibaldi. I suoi esordi avvengono così nell’ambito della “rivoluzione” dei macchiaioli dei quali ha condiviso le lotte, gli ideali estetici e politici. Sono state fondamentali lasua lunga e affettuosa amicizia con Diego Martelli, il sostenitore del movimento macchiaiolo, come la sua frequentazione delle vivaci riunioni del Caffè Michelangelo a Firenze e della villa di Martelli a Castiglioncello, nei pressi di Livorno, i due luoghi deputati della vicenda della “Macchia”.


Protagonista della “pittura della vita moderna”, interprete della figura femminile


La partecipazione alla terza guerra d’indipendenza e la conseguente annessione del Veneto all’Italia determinarono il suo ritorno a Venezia, senza interrompere però i rapporti con l’ambiente toscano e in particolare con Telemaco Signorini, del quale condivise l’interesse per la pittura a sfondo sociale, come dimostra il grande quadro, conservato alla Pinacoteca di Brera, che raffigura i Poveri sui gradini del convento di San Gregorio al Celio presentato a Milano nel 1872 e poi all’Esposizione universale di Vienna del 1873 insieme all’Alzaia di Signorini. Quest’opera importante susciterà l’ammirazione di Manet.

Il giubbetto rosso (1895 circa)


Al Caffè della Nouvelle Athènes (1885).

Il suo progetto di trasferirsi a Parigi maturò nei mesi trascorsi, prima di questa svolta decisiva avvenuta nel 1876, a Castiglioncello, ospite ancora una volta di Martelli. Dopo il suo arrivo nella capitale francese scrisse a Signorini di ammirare gli allora celebri protagonisti del naturalismo, come Jules Breton, Jules Bastien-Lepage, Carolus-Duran; ma poi la sua sensibilità lo portò verso forme di pittura meno convenzionali, accostandolo agli impressionisti, in particolare a Pissarro, Monet, Renoir, Sisley, che si potevano vedere alle prime mostre collettive del movimento nel 1876 e 1877. La presenza di Martelli a Parigi, tra il 1878 e il 1879, fu determinante nell’incoraggiarlo nelle sue scelte estetiche e liberarlo dall’isolamento culturale determinato dal suo carattere difficile e dalla scarsa propensione alla mondanità. Grazie al sostegno del grande critico, fautore degli impressionisti - che farà conoscere anche in Italia -, Zandomeneghi riuscì a entrare e a farsi apprezzare negli ambienti artistici parigini, diventando in particolare grande amico e interlocutore di Degas.

La sua conversione alla pittura d’avanguardia è rappresentata da opere importanti e bellissime come Le Moulin de la Galette del 1878 o i quadri esposti nelle sale di avenue de l’Opéra che accolsero nel 1879 la quarta rassegna degli impressionisti. 


Nel corso degli anni Ottanta la produzione di Zandomenenghi è caratterizzata da splendidi dipinti, dove conferma la sua personalissima adesione all’impressionismo, opere come Mère et fille, Place d’Anvers, Il dottore, Le madri, Al Caffè della Nouvelle Athènes, La roussotte, Visita in camerino, pervase da un acuto spirito di osservazione della società parigina di quegli anni.

Il 1886 è l’anno dell’ultima mostra collettiva degli impressionisti, quando la compattezza del movimento comincia a sfaldarsi, ma è anche l’anno in cui Zandomenenghi frequenta il giovane Toulouse-Lautrec, introducendolo all’impressionismo. Ma rimane sempre vicino a Degas, sia per l’ affinità delle scelte culturali ed estetiche, sia per sentimenti d’amicizia che diventano molto profondi. Un rapporto molto familiare fu anche quello con Renoir, anche se poi non mancò una certa rivalità determinata dal fatto che entrambi si contesero i favori del grande mercante Durand-Ruel, alla cui “maison” il pittore veneziano fu legato, a partire dal 1894, da un contratto di esclusiva. Gradatamente, con dipinti come Femme qui s’étire, En promenade, La conversation, Causerie, Femme au miroir, Zandomeneghi conquista una “cifra” sempre più originale e riconoscibile, in cui la sintassi impressionista si concilia con una dimensione classica, tutta italiana, della forma.

La conversation (1895);


Femme au miroir (1898).

L’impressionismo di Zandomeneghi

a cura di Francesca Dini e Fernando Mazzocca
Padova, Fondazione Bano - palazzo Zabarella
via degli Zabarella 14
fino al 29 gennaio 2017
orario 9.30-19, chiuso lunedì

catalogo Marsilio
www.zabarella.it

ART E DOSSIER N. 337
ART E DOSSIER N. 337
NOVEMBRE 2016
In questo numero: UNA STAGIONE DI GRANDI MOSTRE Kirkeby a Mendrisio, Soffici a Firenze, i Nabis a Rovigo, Zandomeneghi a Padova, Impressionismo a Treviso, il Seicento di Vermeer all'Aja. CINQUANT'ANNI FA L'ALLUVIONE Firenze restaurata. FAVOLE ANTICHE Il paradiso di Bosch, le cacce dell'imperatore. Direttore: Philippe Daverio.