Grandi mostre. 2
Ardengo Soffici a Firenze

quando le parole
guidano le immagini

Una vita scandita non solo dalla pittura ma anche dalla scrittura, compagna fondamentale di Ardengo Soffici per mettere nero su bianco la sua esplorazione critica tra le avanguardie europee del primo Novecento. Ed è proprio la scrittura, come ci raccontano qui i curatori, l’anima del progetto espositivo in corso agli Uffizi.

Vincenzo Farinella, Nadia Marchioni

Gli scritti di Ardengo Soffici pubblicati tra il primo e il secondo decennio del Novecento e le iniziative culturali da lui sostenute e organizzate costituirono un momento decisivo per il rinnovamento dell’arte in Italia.

La mostra (Scoperte e massacri. Ardengo Soffici e le avanguardie a Firenze, in corso agli Uffizi fino all’8 gennaio 2017) ha trovato uno stimolo nella donazione, da parte degli eredi, di un Autoritratto di Soffici alla Galleria degli Uffizi e una guida nel suo Scoperte e massacri. Scritti sull’arte, libro memorabile, edito a Firenze da Attilio Vallecchi nel marzo del 1919, che raccoglie una scelta dei testi storico-artistici pubblicati, perlopiù su “La Voce”, a partire dal 1908. Alla data cruciale del 1919, appena conclusa la Grande guerra, Scoperte e massacri si presenta come un vero e proprio spartiacque tra due epoche: quella delle avanguardie europee e quella del “ritorno all’ordine”.

La mostra degli Uffizi si apre con una rievocazione di un evento decisivo non solo per il giovane Soffici, ma per l’intera cultura fiorentina, la Festa dell’arte e dei fiori (Firenze, 18 dicembre 1896 - 31 marzo 1897). A diciassette anni Soffici ha modo di visitare varie volte questo grande consuntivo di cinquant’anni d’arte italiana ed europea: il giovane artista risulta colpito, nel bene e nel male, da varie opere, «ma la vera rivelazione in quella mostra fu per me Segantini ».


I primi anni parigini si collocano ancora entro una sfera simbolista

Nel 1900 Soffici, ventenne, è a Parigi in compagnia di Giovanni Costetti e Umberto Brunelleschi per visitare l’Esposizione universale: la capitale francese viene sentita come l’unico luogo dove un giovane artista, liberandosi dalla soffocante provincia, può trovare un contatto con la modernità più bruciante e avventurosa. I primi anni parigini, vissuti nell’ambiente delle riviste mondane e umoristiche, si collocano ancora entro una sfera simbolista e i suoi modelli di stile rimangono Puvis de Chavannes e Maurice Denis, come testimoniato dal Bagno (l’unico pannello decorativo sopravvissuto tra quelli realizzati tra il 1905 e il 1906 per il Grand Hotel delle Terme di Roncegno, in provincia di Trento). A partire dal 1904 comincia a maturare in Soffici un primo interesse per le novità degli impressionisti e dei postimpressionisti, con la scoperta delle opere di Paul Cézanne e Medardo Rosso. Frutto precoce del lungo periodo trascorso da Soffici a Parigi (1900-1907) è il celebre saggio su Cézanne pubblicato su “Vita d’arte” nel giugno del 1908, il primo studio organico apparso in Italia sull’artista.

Dopo il rientro definitivo in patria, l’occasione di “massacrare” senza pietà tutta la “bella pittura” che trionfava nei salotti borghesi e nelle grandi esposizioni internazionali fu offerta dalle recensioni delle Biennali veneziane del 1909 e del 1910, dove peraltro Soffici ebbe l’opportunità di assistere alle celebri retrospettive di Courbet e Renoir.

La fondamentale Prima mostra italiana dell’impressionismo, aperta a Firenze nei locali del Lyceum Club in via Ricasoli dal 20 aprile al 15 maggio 1910, fu organizzata da Soffici e Prezzolini: tra le opere esposte (con dipinti di Cézanne, Degas, Renoir, Monet, Pissarro, Gauguin, Van Gogh, Matisse) spiccava l’antologia di diciassette sculture di Medardo Rosso, presentato compiutamente per la prima volta al pubblico italiano.


Giovanni Segantini, L’angelo della vita (1894-1895), Budapest, Szépmuvészeti Múzeum.

Bagno (1905-1906).
La passione per la pittura di Henri Rousseau, detto il Doganiere, fomentata dalla riscoperta che gli ambienti dell’avanguardia parigina avevano attuato di quel linguaggio apparentemente così incolto e infantile e divulgata da un coraggioso saggio apparso su “La Voce” nel settembre del 1910, si collega, nel sistema critico di Soffici, con la rivalutazione di quei prodotti di arte popolare («teloni da saltimbanco, vecchi parafuoco, insegne di latterie, di alberghi, di barbieri, di semplicisti... ») che da tempo lo affascinavano come una via originale, autenticamente toscana, al primitivismo.


La temporanea adesione al futurismo sarà sempre condizionata dalle premesse cézanniane e cubiste


Frutto dei nuovi soggiorni parigini effettuati tra il 1910 e il 1911 è l’importante saggio di Soffici su Picasso e Braque pubblicato nell’agosto del 1911 su “La Voce”: il testo, previsto in origine con tre illustrazioni, uscì senza corredo fotografico, per l’opposizione di un inorridito Prezzolini («se pubblichiamo quella roba lì, non ci facciamo credere più da nessuno»).

Lo spregiudicato cortocircuito tra passato e presente che avviene spesso negli scritti d’arte di Soffici trova in El Greco un momento esemplare: l’artista, di cui era in atto nei primi anni del Novecento una vera e propria riscoperta, viene riproposto come esempio di pittore capace di fuggire dalla “piovra” accademica del Rinascimento italiano (in particolare da Michelangelo e da Raffaello) e di incarnare il ruolo di “precursore” della modernità.

Nel 1913, con la nascita di “Lacerba”, Soffici e Papini (fondatori della stessa rivista) decidono di unirsi «all’unica forza di avanguardia che sia in Italia»: ma la temporanea adesione al futurismo, da parte di Soffici, risulterà sempre condizionata dalle fondamentali premesse cézanniane e cubiste maturate a Parigi e mai del tutto rinnegate. Lo rivelano chiaramente le opere presentate nella mostra fiorentina di “Lacerba”, organizzata con Ferrante Gonnelli, a partire dal novembre di quell’anno, e le scanzonate e dissacranti decorazioni murali realizzate tra l’agosto e il settembre del 1914 per la casa di Papini a Bulciano, nell’alta Val Tiberina: proprio la filologica ricostruzione, mai fino a oggi tentata, della cosiddetta “stanza dei manichini” di Bulciano costituirà uno dei punti focali più emozionanti e spettacolari di questa mostra.


Medardo Rosso, Ecce puer (1906), Venezia, Ca’ Pesaro - Galleria internazionale d’arte moderna


Pablo Picasso, Pipa, bicchiere, bottiglia di Vieux Marc (e “Lacerba”) (1914), Venezia, Peggy Guggenheim Collection.

La prima guerra mondiale costituisce per l’interventista Soffici, partito volontario per il fronte, non solo una lunga parentesi nell’attività artistica, limitata quasi esclusivamente alla realizzazione, in collaborazione con Carlo Carrà e Giorgio de Chirico, delle illustrazioni per “La Ghirba” (un giornale di trincea), ma anche una drammatica cesura psicologica e culturale. Dopo la guerra Soffici si presenterà come “un altro uomo”, un intellettuale completamente trasformato: messe da parte le provocazioni delle avanguardie nei loro aspetti più sovversivi, si cerca ora un nuovo punto di partenza, per giungere a una ricostruzione dei valori e del linguaggio figurativo. È questo il momento che vide l’artista realizzare alcuni dei suoi più maturi capolavori, tra cui la serie di nature morte del 1919, in contatto con quel nuovo clima culturale di “ritorno all’ordine” che trovò nella rivista “Valori Plastici”, fondata da Mario Broglio, la sua più compiuta espressione.

Scoperte e massacri.
Ardengo Soffici e le avanguardie a Firenze

a cura di Vincenzo Farinella e Nadia Marchioni
Firenze, Galleria degli Uffizi
piazzale degli Uffizi 6
fino all’8 gennaio 2017
orario 8.15-18.50, lunedì chiuso

catalogo Giunti
www.uffizi.it

ART E DOSSIER N. 337
ART E DOSSIER N. 337
NOVEMBRE 2016
In questo numero: UNA STAGIONE DI GRANDI MOSTRE Kirkeby a Mendrisio, Soffici a Firenze, i Nabis a Rovigo, Zandomeneghi a Padova, Impressionismo a Treviso, il Seicento di Vermeer all'Aja. CINQUANT'ANNI FA L'ALLUVIONE Firenze restaurata. FAVOLE ANTICHE Il paradiso di Bosch, le cacce dell'imperatore. Direttore: Philippe Daverio.