Scriverà però alla crocerossina Franca Vivaldi Pasqua, con cui mantenne un costante carteggio: «Non sono un disegnatore di grandissimo gusto e di finezza speciale, ma un dilettante che provvede con trucchi a quanto gli manca di tecnica; non ho il senso del modernissimo, per autentica insensibilità, ma sono costretto a rifugiarmi in formule già consumate». Considerando la modestia, il disinteresse per il denaro e il fatto che non amava inchinarsi, è facile capire come, nonostante il talento, Dominioni non sia oggi noto al grande pubblico. Anche se una serie di accurate mostre diffuse, realizzate lo scorso anno in prestigiose sedi a Trieste e Gorizia, nei cui pressi visse i suoi ultimi trent’anni, gli hanno reso giustizia, culminando a Bruxelles: sede prescelta per l’internazionalità del personaggio, che ebbe studio al Cairo e operò, oltre che in Europa, in Asia, Africa e Australia; ma anche per creare un ponte di conoscenza, partendo da Dominioni, tra il fronte italiano dell’Isonzo e quello belga dell’Yser nella Grande guerra, tuttora non molto noto. Non a caso il ciclo espositivo si concluderà simbolicamente tra novembre 2016 e gennaio prossimo alla Biblioteca statale Stelio Crise di Trieste e alla Biblioteca statale isontina di Gorizia con una mostra di fumetti ispirati ai suoi disegni sul primo conflitto mondiale, realizzati da giovani belgi e francesi, divisi cent’anni fa dalla guerra da altri giovani europei, riuniti oggi, attraverso l’arte, nel segno della pace.
Progettista di costruzioni stradali, minerarie, dell’Ambasciata italiana ad Ankara, di monumenti (Duca d’Aosta a Gorizia, Paracadutista a Viterbo ecc.), e sacrari, tra cui il citato El Alamein e Murchison (in Australia), disegnatore di dighe; razionale e neoromantico, raffinato e spartano, colto e pragmatico, la sua figura ha attirato nelle rassegne a lui dedicate un pubblico di giovani, interessati e sorpresi da tanto talento, e visitatori di nicchia, giunti apposta da lontano quasi in pellegrinaggio, perché dal 1948, per quattordici anni, con i suoi fedeli del Genio e gli àscari(*), aveva riesumato nel deserto, rischiando la vita, le salme italiane, poi accolte nel sacrario di El Alamein, e degli ex nemici, cercando di ricostruirne l’identità con un senso di “pietas” che lo ha reso indimenticabile.
Tra le due guerre aveva realizzato progetti secondo uno stile razionalista in linea con le tendenze d’avanguardia dell’epoca che con Pagano Pogatschnig guardavano fortemente al concetto di forma-funzione, preminente anche nel coevo Bauhaus; successivamente aveva restaurato nel Goriziano, seguendo un “concept” colto e filologico, importanti castelli come Formentini (a San Floriano) e Lantieri (solo progetto). Antesignano, anche nel rispetto dell’ambiente, inserì nella grande pineta a Riva dei Tessali (Taranto) un importante villaggio turistico, senza violarne un ramo. Modernissimo, come fu anche nei rapporti sociali, trattò àscari e soldati con semplice umanità.
Si spense all’Ospedale militare del Celio a Roma nel 1992 (era nato nel 1896 a Nerviano, Milano), serenamente, così come, nonostante le tempeste del deserto, aveva vissuto.