XX secolo. 3
Jacqueline Lamba

dalla vertigine
surrealista

al richiamo
della natura

Temperamento ribelle, bellezza abbagliante, intelligenza acuta. Il suo nome era Jacqueline Lamba, artista che è passata da una vita frenetica, al fianco di André Breton, a una dimensione di completa solitudine addolcita dalla sua vera passione: la pittura.

Alba Romano Pace

«Questa giovane donna che era appena entrata era come avvolta da un vapore - vestita da un fuoco?- ogni cosa stingeva, si raggelava accanto a questa tinta sognata su un accordo perfetto di ruggine e verde: […] Era un essere molto giovane, ma tale segno distintivo non s’imponeva tuttavia a prima vista, a causa di questa illusione che ella dava di muoversi in pieno giorno sotto la luce di una lampada»(1).

Il 29 maggio 1934, una misteriosa donna entra al Café de la place Blanche a Parigi mentre André Breton presiede una delle sue riunioni surrealiste. Lo sguardo intenso, i capelli dorati legati alti sulla nuca, un corpo sinuoso: «Questa donna era scandalosamente bella»(2).

Quella stessa notte, lo scrittore e la sconosciuta errano tra le strade di una città incantata, dove alle parole e ai gesti s’intrecciano i sogni e le immagini di una traversata visionaria da Montmartre a Notre-Dame, tra i ponti della Senna, Les Halles e la Tour Saint-Jacques. Undici anni prima, Breton descriveva nel poema inedito Tournesol una viaggiatrice notturna, che attraversava Parigi con il passo leggero di chi «ha l’aria di nuotare». Tutto conferma la magia di un incontro profetico: la donna lavora come ballerina acquatica, ogni notte s’immerge nuda nella vasca trasparente di un cabaret di Pigalle. Tra di loro è amore folle, come indica il titolo dell’omonimo libro (L’Amour fou) che Breton dedica all’incontro con la sua mitica ondina.

In un autoritratto del 1927, l’artista ha uno sguardo di sfida che cela però grandi sofferenze


Ma chi è questa donna misteriosa, della cui presenza sfavillano i poemi di Breton e le immagini di tanti artisti surrealisti?

Al lavoro la soprannominano Quatorze Juillet, 14 luglio, giorno della presa della Bastiglia, evento storico della Rivoluzione francese, ma il suo nome è Jacqueline Lamba, pittrice dalla personalità ribelle, l’intelligenza sagace, la bellezza folgorante. Nasce il 17 novembre 1910 a Saint-Mandé, vicino a Parigi; trascorre l’infanzia al Cairo, dove il padre è ingegnere agronomo. Jacqueline è la sua seconda figlia femmina e «la delusione di non aver avuto un bimbo è tale che decide di chiamarla Jacquot e vestirla come un maschio», asserisce lo psichiatra Salomon Grimberg(3). In un autoritratto del 1927, l’artista ha i capelli corti, gli abiti da ragazzo, uno sguardo di sfida che cela però grandi sofferenze: suo padre muore in un incidente nel 1912, a quindici anni perde la madre, Jane Pinon, ammalatasi di tubercolosi. Iscritta alla Ecole nationale supérieure des Arts Décoratifs, Jacqueline si mantiene lavorando come disegnatrice di tessuti, modella, ballerina. Assetata di giustizia, s’interessa al comunismo, ma vede le sue attese deluse, fin quando suo cugino, lo scrittore André Delons, le consiglia di leggere Breton. Jacqueline Lamba trova allora la risposta alle sue inesauribili domande e ha una sola certezza: vuole conoscere il creatore del surrealismo. La sua amica, la fotografa Dora Maar, le propone allora di introdurla nel gruppo, ma lei rifiuta; è decisa a conquistare da sola l’attenzione di Breton. Avrà ragione. La coppia si sposa il 14 agosto 1934, nel 1935 nasce Aube (Alba, così chiamata in omaggio alla prima luce del giorno).


Autoritratto (1927).

Jacqueline Lamba vive con Breton gli effervescenti anni del surrealismo internazionale: viaggia a Praga, alle Canarie, si reca in Messico per incontrare Trockij (che là spera di sfuggire alla caccia datagli da Stalin) e soggiorna nella Casa Azul di Diego Rivera e Frida Kahlo, con la quale instaura un’intima complicità. «Coloro che incontrano Jacqueline Lamba restano marchiati a fuoco dalla sua presenza», dice Fabrice Maze, regista di un documentario sull’artista(4). È vero. Breton è soggiogato dalla sua immagine: L’amore folle, la raccolta L’aria dell’acqua, le poesie Pleine marge e Fata Morgana s’ispirano a lei. Il suo corpo levigato è immortalato da Claude Cahun, Dora Maar, Man Ray, Picasso o Artaud che le dedica un meraviglioso poema; come dice Suzanne Muzard: «Jacqueline era la donna che meglio rappresentava il surrealismo!»(5).

Ma Jacqueline Lamba non è una musa, è innanzitutto un’artista. Quasi tutta la sua produzione surrealista è, purtroppo, andata perduta: sembrerebbe, in parte, distrutta da un Breton furioso dopo il divorzio, in parte, da lei stessa, in un momento di crisi. Tra le rare opere di quel periodo, vi sono le carte dei Tarocchi surrealisti (Gioco di Marsiglia) creati nel 1941 quando l’artista è in parternza verso gli Stati Uniti. Breton, insieme ad altri artisti quali Ernst, Masson, Lam, Dominguez, Herold, disegna le carte da gioco; Jacqueline Lamba disegna una ruota insanguinata come asso del seme “rivoluzione” e Baudelaire, come figura del “genio” (equivalente del tradizionale cavaliere) del seme “amore”.


Jacqueline Lamba e Frida Kahlo, Messico 1938.


Baudelaire. Genio d’amore, fiamma (1941), dalla serie Tarocchi surrealisti (Gioco di Marsiglia), Marsiglia, Musée Cantini.

Il poeta è rappresentato come una fiamma ed è la figura più geometrica del mazzo. La pittrice, infatti, s’interessa sempre più a quel surrealismo automatico che dal 1939 volge verso l’astrazione e le strutture delle geometrie non euclidee, viste come l’espressione grafica delle emozioni che ardono all’interno dell’animo umano. Forme astratte, cristalli, fasci di luce in continua metamorfosi, creazione e distruzione, in un perenne scambio d’energia, sono i soggetti dei quadri di Jacqueline Lamba: «Il segreto sarà quello di captare sulla tela […] l’esatto istante in cui la luce diventa la forma. Sarebbe come vedere un arcobaleno in piena notte»(6).


Un pastello dai colori delicati, dove è rappresentato un orizzonte oscillante e nello stesso tempo immobile


Giunta a New York scopre un’energia nuova e un unico scopo: dipingere. Nel 1942, si separa da Breton, gli regala allora un pastello dai colori delicati, in cui rappresenta la dimensione del tempo, un orizzonte oscillante e nello stesso tempo immobile. Nell’angolo del disegno, una scritta è incisa su una meridiana: «Per André Breton, disegno per la vita».


Disegno per la vita (1942).

Lo stesso anno incontra lo scultore David Hare, un giovane cresciuto a contatto con gli indiani d’America, allievo del filosofo Gurdjieff, che le fa scoprire la bellezza della natura e l’osmosi dell’uomo con le forze dell’universo. Percorrono insieme il West americano, attraversano l’Arizona, il Montana, il Colorado, il Nuovo Messico, soggiornano nelle riserve indiane, imparano ad ascoltare il rumore del vento quando soffia tra le montagne scuotendo gli imponenti alberi della foresta. Tutto ciò si ritrova nei quadri di Jacqueline Lamba che dopo il 1944, anno della sua prima personale alla Norlyste Gallery di New York (in occasione della quale scrive un Manifesto di pittura), si stacca dal surrealismo, per creare delle tele che riproducono la potenza della natura, le lussureggianti foreste, i fiumi, gli astri risplendenti nel cielo. Nel 1948, nasce Merlin Hare, ma nel 1955, l’artista si separa dallo scultore e rientra in Francia. Prova allora diversi stili di pittura, fin quando scopre nel richiamo della natura il suo soggetto d’elezione. Dal 1962, trascorre lunghi periodi nelle montagne della Provenza, immersa tra ciliegi, mandorli, distese di lavanda e girasoli. 

Si stabilisce in estate a Simiane-la-Rotonde, un piccolo villaggio abbarbicato tra le montagne del Luberon; lì, dipinge gli orizzonti sconfinati che si spiegano alla sua vista: delle onde rocciose che sembrano fendere il cielo. Nel 1967, espone per l’ultima volta al Musée Picasso ad Antibes: paesaggi, sorgenti, disegni all’inchiostro di china, in cui i tocchi rapidi di pennello diventano i segni di un nuovo linguaggio. Nelle sue tele, il sole risplende sull’acqua creando riflessi iridati; la montagna s’innalza in possente metafora dello spirito umano, con cui la pittrice instaura un dialogo quotidiano, fatto di luci cangianti e ombre brunite, secondo l’incessabile susseguirsi delle stagioni.

Jacqueline Lamba capta nell’effimero l’eternità. Nelle vedute dei tetti di Parigi, trasforma la città in una rete di frammenti geometrici, simbolo della diffrazione dell’animo. In ultimo sceglie i più lirici dei soggetti: il mare, il cielo. Le sue tele finali sono di un blu intenso, striate da nubi dense come spuma. Cielo e mare si confondono, risplendono di serenità oppure prendono le tinte scure della solitudine, poiché l’artista conduce una vita sempre più solitaria, fino al 1993, anno della sua morte. Dopo la vertigine surrealista, i viaggi e la sfrenata passione per la vita, Jacqueliene Lamba sceglie il silenzio e un’unica fedele compagna, il suo amore folle: la pittura. «L’arte, la poesia sono il precipitare della bellezza nell’emozione. Non vi sono state che due emozioni motore per l’uomo: l’Amore, la Libertà»(7).


Stagno ovale (1977).

(1) A. Breton, L’amore folle (Parigi 1937), Torino 1974, p. 63.

(2) Ibidem.

(3) S. Grimberg, Jacqueline Lamba From Darkness with Light, in “Women’s Art Journal”, 22 , 1, autunno/inverno 2001, p. 5.

(4) F. Maze, Jacqueline Lamba, l’amour fou d’André Breton/Jacqueline Lamba, la peinture jusqu’au bout du ciel, dvd, VHS, Grenoble 2004.

(5) H. Lamba, Memorie inedite, in A. Romano Pace, Jacqueline Lamba, peintre rebelle, muse de l’Amour fou, Parigi 2010, p. 52.

(6) Jacqueline Lamba, febbraio 1944, in Jacqueline Lamba, catalogo della mostra (New York, Norlyst Gallery, 10 - 30 aprile 1944), New York 1944.

(7) Ivi.

ART E DOSSIER N. 335
ART E DOSSIER N. 335
SETTEMBRE 2016
In questo numero: UNA FANTASTICA REALTA' Piero di Cosimo e il nord; Lamba, pittrice surrealista; Reims incide Bellmer. GRANDE GUERRA Le incisioni di De Groux. IN MOSTRA O'Keeffe a Londra, Il sogno a Marsiglia.Direttore: Philippe Daverio