Walter SpieS,
paul Citroen, Max ernSt

L’idea di realismo magico prospettata da Roh nel 1925 ha delineato un modello interpretativo ancora condiviso, anche se oggi si tende ad allargare il ventaglio degli artisti riferibili a tale tendenza, tralasciando per converso di considerare come figure significative pittori ai quali originariamente si dava maggior credito, ma secondo la prospettiva attuale più che altro interpreti di un generico neonaturalismo.

Vale però la pena, in conclusione, soffermarsi su tre artisti di particolare rilievo, la cui presenza, nel libro di Roh, è fonte di una certa sorpresa.
Colpisce in primo luogo l’attenzione prestata da Roh a un pittore oggi quasi sconosciuto, Walter Spies, nato a Mosca ma di famiglia tedesca (era figlio di un diplomatico). In Germania, studia pittura a Dresda, dove incontra Dix e Oskar Kokoschka, mentre altri suoi modelli artistici sono Marc Chagall e Paul Klee; nel 1919 si trasferisce a Berlino. Spies è l’ultimo artista cui Roh ricorre nella prima parte dell’apparato illustrativo del suo libro - riproducendone la Casa sul lago (I pattinatori sul ghiaccio) - per anticipare la vera e propria sequenza di tavole destinata a illustrare il concetto di realismo magico.

Oggi Spies è un pittore sostanzialmente ignorato, ma la sua fortuna era considerevole alla metà degli anni Venti, allorché anche in Italia capitava che riproduzioni di suoi dipinti si potessero vedere persino sulla stampa non specialistica. Quando nel 1924 Paolo Monelli manda all’“Illustrazione Italiana” (n. 27) una corrispondenza da Berlino, descrivendone l’effervescente vita culturale e artistica, la rappresenta attraverso le fotografie di cinque quadri: un autoritratto di Liebermann, una Metropoli di Baluschek, figure femminili vestite e nude di Pechstein e Werner e, appunto, una Festa tartara di Spies, «che ha veduto bene, e meglio studiato, certi nostri allegri primitivi, copiandoli nella disposizione, negli atteggiamenti, nei verdi, persino nella mancanza d’aria e di sfondo».

Opere di Spies non risultano conservate nei principali musei pubblici tedeschi e di lui oggi non si parla più, anche se lo si trova ancora commentato e illustrato (con il quadro Congedo) in una Storia della pittura tedesca dal 1900 a oggi pubblicata nel 1958, non a caso scritta proprio da Roh. 

La sua assenza dalla storiografia artistica è un fatto singolare, se si considera che nel libro del 1925 dedicato al realismo magico egli è il più ampiamente rappresentato: infatti, oltre ai già citati Casa sul lago e Congedo, nella serie delle tavole compaiono I Beschidi, Pastore e Giostra, dunque ben cinque opere. I numeri, si è detto, non dicono tutto, ma tale forte presenza è un sicuro indizio del fatto che nel momento del riconoscimento del realismo magico come tendenza dai precisi connotati, Spies ne appaia tra gli interpreti più significativi e caratteristici.

L’oblio di questa singolare figura - era anche musicista e apprezzato danzatore - si spiega principalmente con il suo trasferimento prima a Giava, già nel 1923, dove diventa pianista e direttore d’orchestra alla corte del sultano di Yogyakarta e poi, invitato dal principe Tjokorda Raka Sukawati, a Bali dove si dedica allo studio della musica e della cultura di quei luoghi nonché alla “riforma” della locale pittura. La sua bizzarra casa, costruita in un paradiso tropicale, diventa un punto di riferimento per la vita culturale di Bali, frequentata da artisti, musicisti, scrittori e attori - come Charlie Chaplin - provenienti da tutto il mondo. Scrive, con Beryl de Zoete, il libro Dance & Drama in Bali e muore durante la seconda guerra mondiale, quando il piroscafo su cui si trova, da internato, viene affondato nell’Oceano indiano dall’aviazione giapponese.

La sua maniera pittorica, con un gusto del dettaglio e dell’idillio sognante messi in scena con meticolosa attenzione, presenta affinità con il modello di Rousseau: la luce fredda di notti algidamente rischiarate dalla luna avvolge storie di pattinatori sul ghiaccio che rincorrono le proprie ombre perfettamente stagliate (Casa sul lago), di divertimenti popolari (Giostra), d’innamorati che si lasciano in prospettive stravolte, dove una dimensione fantastica alla Chagall s’intreccia con «il tono di un carillon dei tempi di Mozart, di una melodia argentata che si sente in lontananza» (Congedo). Ne è elemento comune quella «mancanza d’aria e di sfondo» già acutamente rilevata da Monelli, così come un gusto cromatico e compositivo marcatamente primitivista.

Può altresì stupire come nel primo quadro complessivo, fondatamente articolato, del realismo magico compaia la figura di Paul Citroen, un artista olandese di origine tedesca (era nato a Berlino) che aveva fatto parte del movimento Dada ed era subito diventato, nel 1920, direttore della centrale dada di Amsterdam; poi era entrato nel Bauhaus di Weimar e aveva sviluppato la propria formazione sotto la guida di Klee, Kandinskij e Johannes Itten. In tale contesto di ricerca e sperimentazione artistica Citroen realizza la serie di fotomontaggi Metropolis, lo stesso titolo usato da Fritz Lang per il suo capolavoro cinematografico uscito nel 1927.


Paul Citroen, Metropolis (1923).

Le composizioni di Citroen sono costituite dall’assemblaggio di una quantità di ritagli fotografici che rappresentano grattacieli e grandi strutture architettoniche, fittamente e confusamente ammassati a evocare un’inquietante megalopoli del futuro, la stessa che di lì a poco sarà lo scenario della storia raccontata da Lang; una di tali composizioni è scelta da Roh proprio per rimarcare uno specifico aspetto del realismo magico, attraverso il confronto con una veduta di città di Delaunay. I frammenti fotografici di Citroen sono oggettivi, presi uno per uno, ma diventano un’immagine intensamente visionaria nel loro montaggio, che estrae ciascuno di essi dal proprio contesto; un’opera del genere vale da indizio di una nuova inclinazione, di «un nuovo piacere», precisa Roh, «della precisione oggettuale”.

È infine piuttosto spiazzante la presenza di Max Ernst, la cui vicenda artistica profondamente radicata tra il Dada degli inizi e il surrealismo - che di questo tedescofrancese è diventata la chiave di lettura primaria - ne rende piuttosto ostica una collocazione magico-realista. Emerge in questo caso la disdicevole inclinazione a lasciarsi fuorviare da etichette e generalizzazioni che capita non corrispondano ai dati effettivi da considerare. A ben vedere, tutta l’opera di Ernst è più o meno sotterraneamente percorsa da ingredienti tipici del realismo magico, pur atipicamente utilizzati: tra misteriose materializzazioni e analitiche e quasi lenticolari restituzioni di elementi organici e inorganici. Una delle due opere proposte da Roh è un lavoro grafico, più precisamente la riproduzione fotomeccanica di un collage, che fa parte del poema in prosa Les malheurs des immortels, realizzato con Paul Eluard nel 1922. Roh lo descrive, indicando qualche affinità con il lavoro di Citroen (si tratta in entrambi i casi di collage), come «ricalco assai meticoloso dei singoli dettagli in un contesto di pura fantasia». C’è poi soprattutto una sua opera chiave che è La bella giardiniera (ovvero La creazione di Eva), dipinta a Parigi nel 1923. Era stata esposta per la prima volta al Salon des Indépendants del 1924, ma Roh poteva anche averla vista in Germania, a Düsseldorf, nella leggendaria galleria di Johanna Ey, che l’aveva acquistata. Entrò poi nel museo di Düsseldorf dal quale i nazisti l’avrebbero requisita per esporla, nel 1937, nella famigerata mostra monacense di “arte degenerata”. Finì, probabilmente, distrutta.


Max Ernst, La bella giardiniera (La creazione di Eva) (1923).

Nonostante l’indiscutibile sentore dadasurrealista, anche La bella giardiniera, insieme alla Metropolis di Citroen e ai mondi fantastici di Spies, può trovarsi a suo agio tra compagni di viaggio così apparentemente diversi quando se ne colgano - suggerisce Roh - i «tratti classici nuovi nella proiezione del nudo su un calmo paesaggio naturale». In forme diverse, Spies, Citroen ed Ernst, ancor più intensamente di tanti artisti tuttora considerati dei veri realisti magici, fanno magia attraverso una capacità d’inventare che non conosce i confini di stili e tendenze. «La magia», scrive Bontempelli in un breve testo pubblicato nel 1928, ancora in “900”, «non è soltanto stregoneria: qualunque incanto è magia. E il fondo dell’arte non è altro che incanto. Forse è l’arte il solo incantesimo concesso all’uomo: e dell’incanto possiede tutti i caratteri e tutte le specie: essa è evocazione di cose morte, apparizione di cose lontane, profezia di cose future, sovvertimento delle leggi di natura, operati dalla sola immaginazione».

REALISMO MAGICO
REALISMO MAGICO
Antonello Negri
La presente pubblicazione è dedicata al Realismo magico. In sommario: La bibbia del realismo magico; Carrà, De Chirico, ''Valori Plastici''; Passato e presente; Altri italiani e non solo; La magia delle cose, al di là degli stili; Walter Spies, Paul Citroen, Max Ernst. Come tutte le monografie della collana Dossier d'art, una pubblicazione agile, ricca di belle riproduzioni a colori, completa di un utilissimo quadro cronologico e di una ricca bibliografia.