La magia deLLe cose,
aL di Là degLi stiLi

Con gli italiani, che giocano senza dubbio il ruolo di anticipatori e iniziatori della tendenza, grandi protagonisti sono dunque anche i tedeschi.

È vero che i numeri non sono tutto, ma non si può fare a meno di osservare come siano loro gli artisti più abbondantemente documentati nel libro di Roh, esemplificando bene attraverso le proprie opere le diverse sfumature dell’idea originaria di realismo magico.

Il pittore meglio rappresentato, da ben cinque quadri, è Walter Spies; su di lui si ritornerà più avanti. Hanno poi quattro pezzi ciascuno Carlo Mense, Georg Schrimpf, Alexander Kanoldt e Othon Coubine, tre tedeschi e un pittore dell’École de Paris: Ottokar Kubin era sì nato in Moravia, sotto l’impero austro-ungarico, ma si era trasferito a Parigi nel 1912, francesizzando nome e cognome. Proprio del 1925 è la sua affermazione parigina con una mostra personale nella Galerie Guiot; Roh ne rimarca la dolce musicalità, presentandolo con un quadro (Pastore) e tre incisioni di malinconica intonazione.


José de Togores, Giovane addormentata (1923); Barcellona, Museu Nacional d’Art de Catalunya.

Carlo Mense, Il pittore Davringhausen (1922); Colonia, Museum Ludwig.


Georg Schrimpf, Ritratto di donna (1922); Monaco, Städtische Galerie im Lenbachhaus.


Otte Sköld, Ritratto del professore di disegno G. A. Nordlander (1919 circa); Stoccolma, Moderna Museet.

Seguono, con tre opere riprodotte, de Chirico, Otto Dix e Heinrich Maria Davringhausen, mentre Bortnyik, Carrà, Derain, Grosz, Scholz, Max Ernst, Tsuguharu Foujita, Huber, Kars e Demetrius Galanis ne hanno due ciascuno. Tra gli artisti illustrati con almeno un’opera, Auguste Herbin, Moïse Kisling, Joan Miró, Kay Nebel, Räderscheidt, Togores, Max Beckmann, Heise e Hubbuch si aggiungono ai già incontrati Funi, Severini, Metzinger, Picasso e Walterowna zur-Mühlen. Insieme a tedeschi e italiani, i nuclei più consistenti sono dunque quelli dei francesi e dei pittori dell’École de Paris, cioè dei pittori di provenienza internazionale operanti a Parigi; la Spagna è rappresentata dai tre catalani appena citati (Picasso, Miró, Togores), poi ci sono gli svedesi Dardel, Hilding Linnqvist e Otte Sköld, i cecoslovacchi Kars e Justitz e gli ungheresi Bortnyik e Benedek.

Tale elenco conferma la grande varietà di stili - e contenuti - sottintesi dalla definizione di realismo magico.


Carlo Mense, Nudo nel paesaggio (1924); Kassel, Sammlung und Archiv für Künstler der ehemaligen Breslauer Akademie.

Hilding Linnqvist, Ritratto di donna (1922); Stoccolma, Moderna Museet.


Heinrich Maria Davringhausen, L’affarista (1920-1921); Düsseldorf, Stiftung Museum Kunstpalast.


Georg Schrimpf, Natura morta con gatto (1923); Monaco, Pinakothek der Moderne.

Se pittori nordici come Sköld e Linnqvist possono esser fatti rientrare, almeno nella ritrattistica, nella pur composita galassia dei tedeschi, i tre catalani esemplificano ciascuno indirizzi non facilmente riconducibili a un denominatore comune. Tralasciando Picasso, per definizione unico, il senso della carne rappresentata quasi nella sua oggettiva consistenza e rotondità da José de Togores, con chiaroscuri accuratamente studiati, appare del tutto opposto alla fantastica analiticità di Miró: le cose che si vedono nella sua Fattoria si configurano come singole unità chiuse, idealizzate, trattate come monadi cariche, ciascuna, di un significato riposto, e costitutive, nel loro insieme, di una specie di sistema di geroglifici tutto da decifrare. Roh descrive il suo quadro come «piacevole e molteplice rappresentazione di particelle costruite nell’immediata vicinanza del reale», suggerendo una chiave di lettura del realismo magico di ben più ampia applicazione, identificabile nell’irraggiungibilità di un reale solo in apparenza a portata di mano.

Mense, Schrimpf e Kanoldt sono la triade che in quel 1925 restituisce lo spirito più profondo del realismo magico tedesco costituendo, al tempo stesso, il nocciolo duro dell’ala neoclassicista della Nuova oggettività. Per il ritratto e il paesaggio, è esemplare lo stile netto e preciso di Mense nel raffigurare - secondo le parole di Roh - una «nuova umanità» e nel riprendere una certa «articolazione postmedievale della profondità». Schrimpf, anch’egli ritrattista dalle tipiche riprese neonazarene, nella natura morta fa prevalere «la continuità della melodia» sui ritmi spezzati della tradizione espressionista.

Alla maniera di Mense e Schrimpf - al quale Carrà dedica una piccola monografia nel 1924, importante testimonianza di vivaci scambi di idee tra tedeschi e italiani - può essere apparentata quella di Heinrich Maria Davringhausen: rigida e tagliente, caratterizzata da una semplificazione delle forme talvolta al limite del caricaturale e da colori freddi. Roh la descrive come «magicamente scintillante», non priva di «una punta di veleno».


André Derain, Tavola (1921-1922); Troyes, Musée d’Art Moderne.

Anche Kanoldt appartiene alla linea neonaturalista metafisicamente oggettiva configuratasi intorno al 1920 nell’ambiente artistico monacense; ma nel suo stile, dal marcato senso della solidità saldamente strutturata delle forme, si avverte a differenza degli altri una precisa derivazione cubista. Paesaggi con architetture - spesso italiani - e nature morte sono i suoi soggetti preferiti, nei quali meglio si esprime una sapiente compostezza compositiva con qualche compiacimento accademico.

Ricordi cubisti riveduti in chiave purista affiorano esplicitamente anche nelle nature morte del russo Ivan Babij; assai meno nelle nature morte di Derain, un artista comunque da considerarsi tra gli antesignani del realismo magico per l’intima passione di penetrare la vita delle cose alla ricerca di perduti segreti già in certe pitture di oggetti, paesaggi e figure dei primi anni Dieci quali La tavola (1911) del Metropolitan Museum di New York, le vedute di Vers o Il suonatore di cornamusa (1910-1911) del Minneapolis Institute of Arts.

Nel contesto francese, la sintassi cubista costituisce un passato ormai trascorso per tanti pittori, per esempio Metzinger. Roh era ricorso a una sua natura morta - messa a confronto con un analogo soggetto di Schrimpf - per spiegare la differenza tra vecchio e nuovo stile. Ma adesso, con opere quali la Cavallerizza, lo stesso Metzinger diventa uno dei protagonisti francesi della nuova tendenza, alla stessa maniera di Auguste Herbin, nonostante la fase magico-realista di quest’ultimo sia una parentesi di assai breve durata, dal 1922 al 1926, tra il cubismo degli anni Dieci e l’astrattismo geometrico che ha poi soprattutto contraddistinto la sua pittura. Quanto all’École de Paris, sono soprattutto da ricordare, nella nostra ottica, gli autoritratti e i ritratti del giapponese Tsuguharu Foujita, originale e raffinato traduttore dei candori di Rousseau.


Ivan Babij, Natura morta con pallottoliere (1924 circa); Mannheim, Städtische Kunsthalle.

Jean Metzinger, Cavallerizza (1924).


Tsuguharu Foujita, Ritratto di un collezionista (1922).

Auguste Herbin, Giocatori di bocce (1923); Parigi, Musée National d’Art Moderne, Centre Georges Pompidou.


Tsuguharu Foujita, Nudo sdraiato con “toile de Jouy” (1922); Parigi, Musée d’Art Moderne de la Ville.

REALISMO MAGICO
REALISMO MAGICO
Antonello Negri
La presente pubblicazione è dedicata al Realismo magico. In sommario: La bibbia del realismo magico; Carrà, De Chirico, ''Valori Plastici''; Passato e presente; Altri italiani e non solo; La magia delle cose, al di là degli stili; Walter Spies, Paul Citroen, Max Ernst. Come tutte le monografie della collana Dossier d'art, una pubblicazione agile, ricca di belle riproduzioni a colori, completa di un utilissimo quadro cronologico e di una ricca bibliografia.