Grandi mostre. 1 
Dall'oggi al domani a Roma

l’eternità
dura un giorno

Intorno alla variabile tempo si sono cimentati artisti di ogni epoca: al Macro una galleria di opere moderne e contemporanee, che spaziano dalla pittura alle installazioni, dai contributi audio e video fino al digitale, offre interessanti spunti di riflessione sul suo inesorabile fluire.

Michela Santoro

«Il settimo giorno non ha sera, non ha tramonto» (Agostino, Le confessioni, libro V). Se il tempo della divinità è eterno, il tempo dell’uomo è al contrario definito da un rigoroso e implacabile computo di secondi, minuti, ore, giornate, mesi, anni, che esorcizza l’“horror vacui” e afferma l’essere “qui e ora” di ciascuno di noi.

Questo segno così squisitamente umano del passaggio nel mondo è il filo rosso che percorre in filigrana l’intera mostra Dall’oggi al domani. 24 ore nell’arte contemporanea, in corso fino al 2 ottobre al museo Macro - Museo d’arte contemporanea Roma. Il tema nasce dal felice incontro di due curatrici e di due esperienze attigue e differenti: da una parte quella di Maria Grazia Tolomeo, testimone diretta della mostra Tempo! Viaggio nell’idea e nella rappresentazione del tempo allestita sedici anni fa al Palazzo delle esposizioni di Roma; dall’altra quella di Antonella Sbrilli che dal 1994 traccia e rintraccia la cadenza calendariale nell’espressione artistica.

La scelta degli autori, italiani e stranieri, storicizzati e contemporanei, tocca tutto il percorso del Novecento


L’esposizione si dirama in percorsi tematici: “Ritmi”, “Giornate di lavoro”, “Date”, “Calendari”, “Diari”, “24 ore”, “Oggi e domani”.
La scelta degli autori, italiani e stranieri, storicizzati e contemporanei, tocca tutto il percorso del Novecento con alcuni “scavallamenti” significativi nel nuovo millennio: dall’Arte povera al Concettuale, le tecniche passano dalla pittura su tela alle installazioni, a contributi audio e video fino al digitale. Si tratta in ogni caso di uno spaccato della storia dell’arte dove non ci si accontenta più di ritrarre il tempo come “memento mori” ma piuttosto come un sì alla vita.


Eliseo Mattiacci, Alba Giorno Tramonto Notte (1975-1976), Roma, Gnam - Galleria nazionale d'arte moderna e contemporanea.

C’è il tempo “calpestabile” di Oggi Domani Giorno Notte (1972) di Mario Ceroli, un tempo raffigurato con lastre messe a terra in orizzontale di cui metaforicamente possiamo appropriarci camminando intorno ai momenti chiave del ciclo vitale. Lo stesso accade con Eliseo Mattiacci, Alba Giorno Tramonto Notte (1975- 1976) - in questo caso le lastre sono posizionate in verticale -, dove il visitatore può scegliere se soffermarsi davanti alla lastra grigia in acciaio dell’Alba, specchiarsi in quella bianca in cristallo del Giorno, riflettersi romanticamente nella lastra in rame del Tramonto o lasciarsi assorbire dalla lastra in ferro della Notte(1).

Il tempo quotidiano si dilata fino a esplodere silenziosamente in uno spazio che trattiene il fiato come nell’installazione site-specific di Manfredi Beninati (2016), una stanza “qualunque” dove gli oggetti pendono dal soffitto tenuti da fili trasparenti: un’assenza di gravità (e di giudizio) che ricorda l’esplosione al rallentatore nella storica scena finale di Zabriskie Point (1970), ma sottratta del senso apocalittico che invece permea il film di Antonioni.
C’è il tempo che la “hybris” umana vuole testardamente congelare e controllare, con la pretesa di definire l'infinito, contando ogni giorno che passa. è il caso dell'artista polacco Roman Opalka, autore di un progetto durato tutta una vita e di cui uno stralcio è presente in mostra: OPALKA 1965/1-∞, opera formata da tele di dimensioni sempre uguali (ognuna dal titolo Détail) su cui l’autore annota in ordine crescente i numeri interi dall’1 all’infinito. Ma l’illusione di fermare il tempo è frantumata dagli autoritratti fotografici (abbinati dall’artista a ogni Détail a partire dal 1972) che documentano l’invecchiamento progressivo del volto dell’autore.
A volte gli strumenti stessi deputati al computo del tempo che passa diventano opere d’arte: l’orologio di dechirichiana memoria trionfa in Belvedere (2006) di Giulio Paolini. I calendari segnano l’unico spazio che abitiamo, cioè l’oggi, nella Grammatica quotidiana (1989) di Cattelan; mentre nella foto Evidenziatore di Renato Mambor su calendario di Claudio Abbate (1972), il curioso oggetto prensile metallico ideato da Mambor negli anni Settanta sembra pescare un giorno fra tanti o per rubarlo o per renderlo speciale.

Un po’ alla Wittgenstein, l’unico modo per dire qualcosa del mondo è muoversi all’interno dei giochi del linguaggio: questo accade in Alighiero Boetti con il “quadrato magico” Dall’oggi al domani (1988), dove il titolo dell’opera (da cui trae ispirazione il titolo all’attuale mostra romana) perde la sua ovvietà nella disposizione rimaneggiata delle lettere che la compongono, mentre Enrico Benetta trasforma letteralmente il tempo in linguaggio sostituendo la sabbia della clessidra con lettere di metallo in carattere Bodoni (Tempo sospeso, 2015)(2). Il percorso del tempo umano è quello dell’affermazione dell’io: I Got Up (1977) del giapponese On Kawara, Sono stata io. Diario 1900-1999 di Daniela Comani (un diario di avvenimenti del XX secolo raccontati tutti in prima persona); è quello dell’io che si riappropria del tempo come per esempio l’opera di Albert Mayr, Time Design Bureau, che mira alla riqualificazione delle nostre giornate, o la performance Dieci giorni di Chiara Camoni, che simbolicamente acquista e ridistribuisce i dieci giorni eliminati dal calendario con la riforma gregoriana del 1582. Il gruppo AOS - Art is Open Source trasferisce le ricerche nello spazio virtuale: Ghost Writer (2016) interpreta e traccia i segni che lasciamo quotidianamente sul web, creando una memoria interconnessa individuale e collettiva al tempo stesso.


On Kawara, I Got Up (1977).

Fino a quando si può calcolare lo scorrere delle ore si può giocare la partita a scacchi


Profondamente personale è invece la memoria messa in scena in Diarios de Navegación, dello spagnolo Pablo Rubio: i fogli dei diari della madre, trattati con acido nitrico e appesi alla parete, nel corso dei mesi soccomberanno all’azione chimica e si decomporranno, lasciando macerie di ricordi a terra.

Osservando i contributi site-specific di Giuseppe Caccavale e di Luca Maria Patella, così come l’allestimento di Claudio Adami (un grande rotolo di tela segnato da sottili strisce bianche, simboleggianti il riposo, e nere, corrispondenti alle ore di lavoro) e le tele di Federico Pietrella (un “pointillisme” eseguito con timbri da ufficio) entriamo nel territorio per così dire “esiodeo” delle Opere e i giorni, del lavoro quotidiano come riscatto dell’uomo dalla sua decadenza: «Labor vincit omnia!». 


Con Caccavale (Libro d’ore, 2016) e Patella (Tempus/templum/cum patella/tempo d’istante, 2016) siamo proprio in presenza di un “cantiere”, dove emerge la trasmissione di una tradizione: più ieratica nel primo caso, più morbida e rinascimentale nel secondo. Da un lato abbiamo il volto bizantino segnato dai versi di Rilke, dall’altro il giorno che nasce da una conchiglia come Venere dalle acque, in una soffusa luce rosata su fondo blu elettrico(3). «Il sole compie ancora il suo alto arco nel cielo», dice Antonius Blok in Il settimo sigillo; il cavaliere protagonista del celebre film di Ingmar Bergman del 1957, impunemente sfida a scacchi la Morte su una spiaggia scandinava: fino a quando si può calcolare lo scorrere delle ore si può, e si deve, giocare la partita. L’eternità dura un giorno.


Due immagini di Giuseppe Caccavale, Libro d'ore (2016), Macro - Museo d'arte contemporanea Roma



Due immagini di Luca Maria Patella, Tempus/templum/cum patella/tempo d'istante (2016), Macro - Museo d'arte contemporanea Roma.

(1) La registrazione dei mutamenti all’interno di una giornata o distribuiti nello scorrere delle stagioni si ritrova nella canicola romana resa magnificamente dalla pittura trasudante di Alessandra Giovannoni (Villa Borghese, Ferragosto ore 13, 2009), nei cieli di febbraio e di luglio di Luigi Ghirri (Infinito, 1974), nei Quattro minuti di Mezzogiorno, installazione video-audio di Elaine Shemilt e Stephen Partridge (2010), e spinge Darren Almond a fotografare minuto dopo minuto, per un'intera giornata il suo studio: un totale di 1440 scatti (tanti sono i minuti in 24 ore) che registrano tutti i mutamenti di luce e atmosfera della stanza in un giorno (Tuesday, 1440 minutes, 1996), portando alle estreme conseguenze l’operazione concettuale di Monet e della sua Cattedrale di Rouen dipinta in diverse ore e diverse stagioni.

(2) Il gioco serve anche a esorcizzare: Gino de Dominicis esegue un manifesto funebre di se stesso senza data, che di fatto lo consegna all’immortalità, Lino Fois confeziona scatole che come dice il titolo Contiene 365 giorni di felicità rinnovabili a ogni Capodanno (2010), Bertozzi & Casoni dissimulano il "memento mori" con la delicatezza della ceramica policroma (Compleanno, 2015).

(3) Ve ne mostriamo in esclusiva alcuni scatti tratti dalla documentazione fotografica di Giorgio Coen Cagli, giovane promettente artista/fotografo.

Dall'oggi al domani. 24 ore nell'arte contemporanea

a cura di Antonella Sbrilli e Maria Grazia Tolomeo
Macro - Museo di arte moderna e contemporanea Roma via Nizza, 138
fino al 2 ottobre
orario 10.30 - 19.30, chiuso lunedì

catalogo Manfredi Edizioni
www.museomacro.org

ART E DOSSIER N. 334
ART E DOSSIER N. 334
LUGLIO-AGOSTO 2016
In questo numero: MOSTRE D'ESTATE Pittori collezionisti a Londra; Moholy-Nagy a New York; Bacon a Montecarlo; La misura del tempo a Roma; Mirà a Milano; Le collezioni: Guggenheim a Firenze e Cini a Venezia. LE VITE DEGLI ALTRI L'occhio indiscreto di Edward Hopper.Direttore: Philippe Daverio