C’è il tempo “calpestabile” di Oggi Domani Giorno Notte (1972) di Mario Ceroli, un tempo raffigurato con lastre messe a terra in orizzontale di cui metaforicamente possiamo appropriarci camminando intorno ai momenti chiave del ciclo vitale. Lo stesso accade con Eliseo Mattiacci, Alba Giorno Tramonto Notte (1975- 1976) - in questo caso le lastre sono posizionate in verticale -, dove il visitatore può scegliere se soffermarsi davanti alla lastra grigia in acciaio dell’Alba, specchiarsi in quella bianca in cristallo del Giorno, riflettersi romanticamente nella lastra in rame del Tramonto o lasciarsi assorbire dalla lastra in ferro della Notte(1).
Il tempo quotidiano si dilata fino a esplodere silenziosamente in uno spazio che trattiene il fiato come nell’installazione site-specific di Manfredi Beninati (2016), una stanza “qualunque” dove gli oggetti pendono dal soffitto tenuti da fili trasparenti: un’assenza di gravità (e di giudizio) che ricorda l’esplosione al rallentatore nella storica scena finale di Zabriskie Point (1970), ma sottratta del senso apocalittico che invece permea il film di Antonioni.
C’è il tempo che la “hybris” umana vuole testardamente congelare e controllare, con la pretesa di definire l'infinito, contando ogni giorno che passa. è il caso dell'artista polacco Roman Opalka, autore di un progetto durato tutta una vita e di cui uno stralcio è presente in mostra: OPALKA 1965/1-∞, opera formata da tele di dimensioni sempre uguali (ognuna dal titolo Détail) su cui l’autore annota in ordine crescente i numeri interi dall’1 all’infinito. Ma l’illusione di fermare il tempo è frantumata dagli autoritratti fotografici (abbinati dall’artista a ogni Détail a partire dal 1972) che documentano l’invecchiamento progressivo del volto dell’autore.
A volte gli strumenti stessi deputati al computo del tempo che passa diventano opere d’arte: l’orologio di dechirichiana memoria trionfa in Belvedere (2006) di Giulio Paolini. I calendari segnano l’unico spazio che abitiamo, cioè l’oggi, nella Grammatica quotidiana (1989) di Cattelan; mentre nella foto Evidenziatore di Renato Mambor su calendario di Claudio Abbate (1972), il curioso oggetto prensile metallico ideato da Mambor negli anni Settanta sembra pescare un giorno fra tanti o per rubarlo o per renderlo speciale.