Grandi mostre. 2
Miró a Milano

la libera lingua
dei segni

La straordinaria varietà del lavoro creativo di Miró è protagonista di una mostra al Mudec di Milano. Un percorso dal quale emerge soprattutto la sua capacità di utilizzare, per le proprie opere, i materiali più disparati.

Francesco Poli

«Bisogna avere il massimo rispetto per la materia. Essa è il punto di partenza. Detta l’opera. La impone». Questa dichiarazione di Joan Miró è di fondamentale importanza per comprendere le radici generative del suo straordinario metodo di esplorazione e scoperta dei territori dell’immaginario. A differenza di molti altri esponenti del movimento surrealista - che si sono ispirati alla letteratura e all’iconografia figurativa del fantastico, e che hanno fatto emergere suggestioni oniriche e fantasmi dell’inconscio con le tecniche dell’automatismo psichico - l’artista catalano ha sempre considerato come stimoli creativi essenziali le potenzialità espressive della realtà concreta dei materiali: non solo quelli pittorici e plastici tradizionali ma anche, in particolare, quelli di ogni genere prelevati dal contesto quotidiano, elaborati attraverso una continua e inesauribile tensione sperimentale. Ed è proprio per mettere in evidenza soprattutto questa dimensione operativa che la mostra al Mudec - Museo delle culture di Milano si intitola La forza della materia.

Con la messa in scena di circa centotrenta opere, tra pitture, disegni, sculture e incisioni (provenienti dalla Fundació Miró di Barcellona e dalla collezione della famiglia), è stato allestito un percorso espositivo che documenta le fasi più significative della ricerca di Miró dalla fine degli anni Trenta agli anni Ottanta del secolo scorso.

Nella parte iniziale viene messa a fuoco l’evoluzione del linguaggio dell’artista che, trasferitosi a Maiorca (era nato a Barcellona nel 1893), cerca di contrastare le preoccupazioni angosciose legate alle tragedie belliche. In contrapposizione al ciclo precedente - quello delle Peintures sauvages (1934-1938), carico di incubi mostruosi e allucinati -, nascono le visioni di immaginifica poeticità che hanno come principali protagonisti aerei e fluttuanti stelle, gli uccelli e le figure femminili, elementi che diventeranno i più tipici del suo vocabolario iconografico.

Ancora un’immagine della mostra al Mudec.


Un’immagine della mostra al Mudec di Milano. Le opere qui raffigurate provengono dalla Fundació Miró di Barcellona.

Miró ha sempre sostenuto che la sua pittura non ha nulla a che fare con l’astrazione


Il passo successivo è costituito dalla serie delle Costellazioni. Nei primi anni Quaranta Miró realizza soprattutto lavori su carta. L’esecuzione è diretta, fluida, con una tensione estetica legata all’espressività spontanea degli interventi: segni e colori. A questo proposito ecco una interessante notazione operativa dell’autore: «Pulire i pennelli impregnati d’olio sulla carta; una volta seccato il colore levigare con carta vetrata e pietra pomice e aggiungere strati di acquerello e pastello». Ed è così che emergono magiche composizioni come Uccelli che attraversano l’orizzonte; Personaggi nella notte, o Donne nella notte, del 1942-1944.

Nella sezione successiva troviamo, realizzate su tela, da un lato molte altre fantasiose variazioni di questi temi, dall’altro, in particolare in opere degli anni Sessanta, delle composizioni che arrivano al limite dell’astrazione, come per esempio dei piccoli e intensamente onirici dipinti intitolati Musica del crepuscolo (1965). Miró ha sempre sostenuto che la sua pittura non ha nulla a che fare con l’astrazione, ma è anche vero che è stato uno dei pittori che hanno maggiormente influenzato le ricerche astratte più libere di matrice “organica”. In effetti, il linguaggio dell’artista è fortemente caratterizzato dalla propensione a creare visivamente e plasticamente, con modalità direttamente generative, inedite figure ed entità “viventi” attraverso la sintonia profonda fra la sua immaginazione e i ritmi e i processi di crescita, evoluzione e trasformazione delle forme naturali (animali, vegetali e minerali). Si tratta di un linguaggio definibile come “biomorfico”, con accentuate connotazioni metamorfiche. Si può anche dire che, pur rimanendo sempre coerente ai suoi presupposti espressivi, l’artista nel dopoguerra ha in qualche modo subito a sua volta il fascino di certi aspetti del gestualismo segnico-materico informale e della pittura zen.


Donna al chiaro di luna (1970).

Tutto questo si evidenzia in termini di impatto più “brutalmente” diretto nelle opere esposte che documentano gli aspetti più radicali del suo sperimentalismo. L’utilizzo di supporti fatti di materiali eterodossi gli consente di superare l’omogeneità dei fondali tradizionali (su carta o tela), che diventano essi stessi parte integrante delle opere come perturbanti generatori di innovativi effetti espressivi, in stretta interazione con gli interventi grafici e le materie cromatiche. Questo vale per esempio nel caso dei supporti di masonite, di carta vetrata o di lastre metalliche usati per certe “pitture selvagge” degli anni Trenta, e in modo ancora più eclatante per i materiali di ogni genere che aveva utilizzato precedentemente per le sue “pitture-oggetti” e negli “assemblages” per «assassinare la pittura», come diceva. Una pratica sviluppata anche nelle elaborazioni sperimentali successive. Ogni tipo di materiale trovato, anche il più negletto (pezzi di legno, cartoni usurati, vecchi tessuti, corde…), può diventare per lui fonte di stimolo e ispirazione per nuove composizioni.


Personaggio, uccello (1976);


Donna nella notte (1973).



Negli anni Settanta l’artista arriva addirittura a usare, come supporti, scadenti dipinti in stile “pompier”, anche intenzionalmente bruciacchiati. Ogni cosa, da ultimo, si trasforma come per incanto in un inconfondibile “Miró”. Di particolare interesse sono qui in mostra le numerose sculture. Sono delle sorprendenti e ben studiate aggregazioni dei più svariati oggetti (un piatto, una bambola, un pezzo di legno o di mattone, un frammento di vaso, un pezzo meccanico, un sasso, un recipiente di latta contorta, un cucchiaio, un imbuto…) che diventano, magari con qualche aggiunta plastica modellata, delle vere e proprie sculture, attraverso un’operazione di calco e poi di fusione in bronzo. Il procedimento è analogo a quello che già Picasso (suo grande amico) aveva utilizzato in precedenza, ma con esiti assolutamente originali. Questi “assemblages” bronzificati si “metamorfizzano” diventando per esempio un Uccello sull’albero, una Donna con un bel cappello, un Personaggio, un Progetto per un monumento oppure, con uno squillante intervento di colori giallo, blu e rosso, un’imponente e grottesca Donna con uccello. La sezione finale della mostra è dedicata a una selezione delle sue migliori grandi acqueforti, in cui il suo immaginifico mondo poetico è rappresentato a trecentosessanta gradi.

Joan Miró. La forza della materia

a cura di Rosa Maria Malet
Mudec - Museo delle culture, via Tortona 56, Milano
fino all’11 settembre 2016;
orario lunedì 14.30-19.30,
martedì, mercoledì, venerdì, domenica 9.30-19.30,
giovedì e sabato 9.30-22.30
Info: 02-54917; www.mudec.it

ART E DOSSIER N. 334
ART E DOSSIER N. 334
LUGLIO-AGOSTO 2016
In questo numero: MOSTRE D'ESTATE Pittori collezionisti a Londra; Moholy-Nagy a New York; Bacon a Montecarlo; La misura del tempo a Roma; Mirà a Milano; Le collezioni: Guggenheim a Firenze e Cini a Venezia. LE VITE DEGLI ALTRI L'occhio indiscreto di Edward Hopper.Direttore: Philippe Daverio