XX secolo
I giocattoli di Calder

la magia
del circo

Alexander Calder, protagonista dell’Arte cinetica e autore delle sculture in movimento chiamate “mobiles”, aveva una passione per i giocattoli. Il Calder’s Circus, per esempio, fu realizzato con materiale di recupero, e si colloca tra arte, gioco e invenzione fantastica.

Agnese Morano

«Mi divertiva moltissimo vederlo lavorare, vedere queste cose, così leggere, colorate, inventate, vederle uscire fuori da questi forbicioni da lattoniere, e vederlo mentre prendeva l’equilibrio fra un peso e l’altro con le stecche di filo di zinco. E poi vederlo vivere. Oltre che vederlo lavorare». Con queste parole il fotografo italiano Ugo Mulas (1928-1973) descrive le sue sensazioni ed emozioni nell’essere di fronte non solo ad Alexander Calder artista ma anche all’uomo. 

Quella di Calder (1898-1976) fu una carriera artistica intrapresa quasi per divertimento, e una simpatica ironia del destino lo porterà ad amare talmente tanto quei balocchi con cui aveva giocato da bambino da sentire il bisogno di progettarli e realizzarli in età adulta.


André Kertész, Alexander Calder con il suo Calder’s Circus (1926-1931) nel 1929, Washington, Smithsonian National Portrait Gallery.

Un teatro attivo di opere colorate in continuo movimento


È lo stesso artista ad ammettere che, pur avendo avuto molti giocattoli, non era mai stato pienamente soddisfatto della loro fattura e proprio per questo li aveva modificati con nuovi accessori fatti di fil di ferro, rame, cuoio, tessuto, legno e altri materiali. 

Per comprendere la sua produzione di giocattoli è opportuno analizzare il contributo innovativo della sua opera. L’uso di materiali non convenzionali e la reinterpretazione dello spazio attraverso forme astratte e cangianti in completo e totale movimento: sono questi gli aspetti che trasformano lo spazio in un teatro attivo di opere colorate in continuo movimento. 

La scultura si libera dalla forza di gravità, volteggia nell’aria e lo spettatore viene catturato da tanta leggiadria e flessuosità. La danza delle sue sculture si manifesta concretamente con una folata di vento, con un soffio d’aria improvviso che le fa volteggiare e prendere vita come giocattoli che si animano tra le mani di un bambino. Sarà il suo temperamento, unito agli studi di ingegneria meccanica, a influire sulla sua particolare e vivace ricerca artistica: Alexander inizia a interessarsi non solo alla realizzazione pratica di un oggetto dal punto di vista estetico, ma anche, e soprattutto, alla posizione che l’oggetto occupa nello spazio. 

Proprio per questo motivo la caratteristica precipua delle sue opere diventa quella di essere, contemporaneamente, in movimento e in equilibrio e sarà questo aspetto a illuminare Duchamp nell’attribuire alle creazioni di Alexander l’appellativo di “mobile”. 

Tutti questi aspetti sono già presenti nel celeberrimo Calder’s Circus, oggi di proprietà del Whitney Museum di New York, che fu realizzato tra il 1926 e il 1931. L’opera, che esteriormente potrebbe sembrare un giocattolo, è formata da piccole sculture di figure umane e animaletti tutti costruiti con spago, filo metallico, bottoni, tappi di bottiglia, stracci, gomma e altri oggetti di recupero.

I protagonisti del Calder’s Circus si muovono in una scena estremamente semplice costituita da elementi di legno e tendaggi. I personaggi realizzati dall’artista nel corso di quel quinquennio sono davvero numerosi: oltre ai classici e immancabili animali c’è l’altrettanto insostituibile direttore del circo ma ci sono anche acrobati, una danzatrice del ventre, il lanciatore di coltelli con la sua valletta intercambiabile, il mangiatore di spade e tanti altri. Lo spettacolo anticipa per certi aspetti la pratica della performance giacché lo stesso artista allestisce il circo, lo anima interpretando tutti i ruoli, cambiando il tono della voce in base al personaggio con cui si immedesima e commenta lo spettacolo come un esperto presentatore. I numeri vengono scanditi da Calder stesso tramite il suono di un fischietto e sono accompagnati da una colonna sonora di cui si occupa la moglie Louisa. 

L’artista muove i piccoli ingranaggi tramite la messa in azione di sofisticati e delicati meccanismi che danno vita, come per magia, allo spettacolo. Quest’ultimo sembra improvvisato, in realtà è accuratamente studiato in ogni minimo dettaglio: persino gli inconvenienti e gli infortuni sono pianificati dall’artista per rendere ancor più appassionante e realistica l’intera azione. Gli animali sporcano la pista con i loro bisogni e Calder si affretta a ripulire, il lanciatore di coltelli trafigge la sua sfortunata e malcapitata partner e subito arrivano i barellieri a soccorrerla e, contemporaneamente, entra in sostituzione una nuova signorina pronta a cimentarsi nel medesimo numero. E poi, a grande richiesta, si torna a fare il bis e le repliche si succedono più e più volte: tutti sono attratti e incuriositi dal suo circo e per entrare nel suo studio si fa la fila, proprio come accade con gli spettacoli che attirano una quantità sempre maggiore di spettatori. I vari pezzi che compongono il circo sono stati ideati per essere contenuti e trasportati all’interno di valigie, in ossequio al carattere itinerante degli spettacoli circensi.


Immagine del Calder’s Circus (1926-1931), New York, Whitney Museum of American Art.


Immagine del Calder’s Circus (1926-1931), New York, Whitney Museum of American Art.

Immagine del Calder’s Circus (1926-1931), New York, Whitney Museum of American Art.

Piccole sculture di figure umane e animaletti tutti costruiti con spago, filo metallico, bottoni, tappi di bottiglia, stracci, gomma


Quest’opera celeberrima, nota anche come il Circo in valigia, è un’opera d’arte totale che fa stupire gli spettatori in modo assai infantile: aprire le sue cinque valigie vuol dire schiudere un contenitore di cui ignoriamo il contenuto e ci meravigliamo profondamente nello scoprire ciò che si trova all’interno. 

Dopo la morte dell’artista il “suo” giocattolo non è stato più messo in funzione: il Calder’s Circus ha definitivamente chiuso i battenti dopo la scomparsa del suo factotum. Ma, fortunatamente per noi, la tecnologia ci offre la possibilità di poter continuare ad ammirare Calder mentre dà vita al suo spettacolo circense grazie ad alcuni filmati (visibili su YouTube) che riproducono la sua meravigliosa e divertente performance. 

Ed è tutta qui la magica particolarità dell’arte di Calder: egli vuole stabilire un rapporto intimo e sincero tra l’arte e noi spettatori in una dimensione che, muovendo da un aspetto ludico-artistico, arriva ad abbracciare una profondità antropologica. Partendo proprio dalla visione semplicistica e sincera che i bambini hanno della vita si può reinventare la realtà analizzandola in un modo che sembra essere ingenuo. Nell’opera di Calder il tema del gioco assume un significato assai più pregnante: il gioco circense diventa metafora della vita stessa, di una vita che dovremmo spendere per cercare di raggiungere cose solo apparentemente impossibili ma che, se ci abbandoniamo alla fantasia, possono condurci alla felicità.


Il domatore di leoni del Calder’s Circus (1926-1931), New York, Whitney Museum of American Art.


Alexander Calder, Luna gialla (1966), Venezia, Peggy Guggenheim Collection.

IN MOSTRA

L’arte europea e americana realizzata tra gli anni Venti e gli anni Sessanta del secolo scorso è ospitata fino al 24 luglio nelle sale di palazzo Strozzi a Firenze (orario 10-20, giovedì 10-23, telefono 055-2645155; www.palazzostrozzi.org). Da Kandinsky a Pollock. La grande arte dei Guggenheim, a cura di Luca Massimo Barbero, presenta, con oltre cento opere, un confronto tra le raccolte di Peggy Guggenheim e di Solomon, suo zio. Tra i protagonisti del percorso espositivo Duchamp, Max Ernst, Burri, Vedova, Fontana, Rothko, Lichtenstein, Twombly e Calder con cinque grandi “mobiles”. La scelta del luogo per l’allestimento di questa mostra è particolarmente significativa visto che proprio qui Peggy nel 1949 esibisce la collezione che avrà poi a Venezia la sua definitiva dimora. Catalogo Marsilio.


Peggy Guggenheim a palazzo Venier dei Leoni a Venezia nei primi anni Cinquanta con Arco di petali (1941), di Alexander Calder, e alle spalle Scarpa azzurra rovesciata con due tacchi sotto una volta nera (1925), di Jean Arp. Entrambe le opere sono conservate alla Peggy Guggenheim Collection di Venezia.

ART E DOSSIER N. 333
ART E DOSSIER N. 333
GIUGNO 2016
In questo numero: DARE FORMA ALL'EMOZIONE La scultura in terracotta di Niccolò dell'Arca, Mazzoni e Begarelli. CAVALLI E ALTRI ANIMALI Fare arte con i batteri; Il circo di Calder; Sculture equestri tra Quattro e Cinquecento. IN MOSTRA Fabre a Firenze, Picasso scultore a Parigi, Vetri e architetti a Venezia.Direttore: Philippe Daverio