Grandi mostre. 2
La scultura di Picasso a Parigi

la passione segreta
del “papa”

Non un semplice passatempo ma una vera e propria passione, quella di Picasso per la scultura, durata tutta la vita e rimasta quasi nascosta, insieme alle opere più amate. Una straordinaria mostra a Parigi ne celebra ora la portata innovativa e l’importanza storica.

Gloria Fossi

Il 25 ottobre 1957 Picasso compie settantacinque anni. Ormai è l’indiscusso protagonista, anzi il “pontefice” dell’arte del Novecento, come le riviste più popolari amavano definirlo. A consultare il sobrio, fondamentale catalogo Picasso, 75th Anniversary, uscito per la mostra curata quell’anno da Alfred Barr a New York (MoMA) e a Chicago (Art Institute), salta all’occhio la predominanza di dipinti: duecentoquindici fra quadri e disegni su trentasette sculture. Già nel 1948 Daniel-Henry Kahnweiler, suo gallerista e amico, aveva pubblicato a Parigi il libro Sculptures de Picasso (Éditions du Chêne), con le fotografie di Brassaï. Secondo Kahnweiler la scultura occupava ancora un posto relativamente modesto nell’immensa letteratura su Picasso. Molti, aggiungeva, la consideravano come una specie di «violino d’Ingres», espressione tipicamente francese che indica un semplice, per quanto ben condotto passatempo (con gran talento musicale Ingres aveva dedicato il tempo libero a suonare il violino). In realtà, «la proterva passione» che animava Picasso non avrebbe mai ammesso la pratica di un tranquillo passatempo. Anzi, Picasso fu l’unico, fra i grandi del Novecento, ad aver fatto scultura fin dall’inizio e in ogni fase della carriera: era «l’uomo della forma» per antonomasia, una sorta di mago in grado di plasmare la materia come forse nessun altro pittore della sua epoca. E continuò a scolpire, in infiniti modi diversi e in molte varianti, anche dopo il libro di Kahnweiler, anche dopo la mostra del 1957, anche negli anni Sessanta. 


Picasso accanto alla versione in ferro dipinto di bianco della Donna in giardino, in occasione della mostra Picasso alla Galerie Georges Petit (Parigi 1932), Parigi, Musée National Picasso-Paris, Archives privées de Pablo Picasso.

Bronzi, gessi, varianti in cemento, teste intagliate nel legno, collage con carta, sabbia, cartone e spago, assemblage con i materiali più diversi


Significativo, il cavallino forgiato a Cannes per il nipote, nel 1961, con quattro rotelle e altri elementi di un tavolo da gioco di metallo, tagliati, assemblati e dipinti. Oppure la capra gravida del 1950, il cui pancione, nell’originale in gesso, è costituito da una cesta di vimini raccolta in un sentiero vicino a casa, in Provenza, e assemblata, con magistrale rapidità d’esecuzione tipica di Picasso, a rami di palma, una scatola di conserva, due giare di terracotta (le mammelle). La capra fu modellata nello studio di Vallauris direttamente nel gesso, che secca rapidamente: restano, delle fasi intermedie, alcune fotografie di Robert Picault; poi ne fu eseguita una variante in bronzo, che tre anni dopo fu esposta alla Galleria d’arte moderna di Roma (una fotografia col presidente della Repubblica Luigi Einaudi e la direttrice Palma Bucarelli mostra alcune eleganti signore con un sorrisetto di circostanza che sa tanto d’imbarazzata incomprensione per quel bronzo “bizzarro”). E che dire della Scimmia col piccolo, il cui muso fu ricavato da due modellini di auto nuovissime, una Panard e una Renault, che Kahnweiler aveva portato in dono nel 1950 al piccolo Claude Picasso a Vallauris (l’originale è esposto in mostra accanto a una delle quattro varianti in bronzo). Sono molti gli scatti di grandi o anonimi fotografi che immortalano Picasso mentre posa con orgoglio vicino a una sua opera scolpita: è il trionfo sulla materia, della quale “l’artista-alchimista” aveva sempre avuto piena padronanza. E certo è anche il suo amore per la materia, qualsiasi materia che le sue mani abili erano in grado di forgiare. 

Tuttavia, è un luogo comune difficile da scalfire che la scultura sia stata il «segreto di Picasso meglio custodito di qualunque altro», come ha dichiarato più volte lo storico dell’arte Werner Spies. Prima della morte del grande maestro (1973) pochi esemplari lasciarono i suoi atelier di Parigi o della Costa Azzurra. Non erano però il frutto di un hobby, non erano il violino d’Ingres, anzi, spesso, nel corso della sua carriera, soprattutto nei primi decenni del Novecento, la scultura aveva costituito la fase precedente e fondamentale di una sua opera dipinta. Ma le tenne per sé, c’è chi dice come un feticcio, chi per il desiderio di mantenere il controllo sulla propria opera, quella forse più amata. Certo sul piano emotivo la scultura fu per Picasso ancora più importante della pittura. «L’amava come i suoi figli», dice Spies, «e come non permise mai di vendere i quadri che rappresentavano i figli, le compagne e le mogli, Picasso non ha mai voluto separarsi dalle sue sculture».


Cavallino (Cannes 1961).


Busto di donna (Boisgeloup 1931; prova unica in cemento, primavera 1937), Parigi, Musée National Picasso-Paris.

Donna col cappello (Cannes 1961; variante in latta ritagliata, piegata e dipinta nel 1963), Riehen/Basilea, Fondation Beyeler.


Busto di donna (Boisgeloup 1931; prova unica in bronzo), Parigi, Musée National Picasso-Paris.


Natura morta, busto, coppa e tavolozza (Boisgeloup 1932); Parigi, Musée National Picasso-Paris.

Il bicchierino d’assenzio (Parigi, primavera 1914); New York, MoMA - The Museum of Modern Art;


Donna col fogliame (Boisgeloup 1934).

Oggi, per paradosso, mentre usciamo dall’immensa mostra parigina sulle sue sculture al Musée Picasso, vien quasi da scordarsi che “il papa dell’arte del Novecento” pure dipingesse, tanta è la varietà e l’importanza storica delle opere esposte: non solo gli originali in gesso o in cemento e altri materiali, ma anche le varianti in bronzo; inoltre, le prove uniche di teste intagliate nel legno, i collage con carta, sabbia, cartone, spago, e gli assemblage con i materiali più diversi, comprese le scarpe (come nella deliziosa Giovanetta che salta la corda, che ricorda alla lontana la famosa ballerina di Degas con le scarpette e il tutù vero). E ancora, i piccoli ciottoli raccolti sulla spiaggia e poi incisi, le figure ricavate da filo di ferro contorto, le teste e i corpi nudi di donna ritagliati nella latta e poi dipinti. Spiccano fra le opere esposte i bicchierini di assenzio col cucchiaino vero e la finta zolletta di zucchero, una delle rare serie che non restò nel suo atelier di rue Schoelcher; fu infatti concepita per il gallerista Kahnweiler in sei esemplari tutti derivati e variati da un unico modello in cera. 

Questa bellissima esposizione segna una tappa importante nella vastissima esegesi picassiana, anche perché occupa quasi tutti gli spazi del grande museo parigino, che dopo i lunghi restauri è stato riallestito nel grande palazzo di rue de Thorigny, nel cuore del Marais, poco più di un anno fa. 

Non che le sculture di Picasso fossero misconosciute (negli ultimi decenni si sono moltiplicati gli studi su questa produzione, anche a seguito dell’importante mostra curata da Werner Spies nel 2000 al Centre Pompidou) ma fa impressione vederne così tante, tutte assieme, molte con originali e varianti accostati in un significativo vis-à-vis. A differenza dell’esposizione, altrettanto importante ma diversa organizzata qualche mese fa al MoMA di New York (Picasso Sculpture), più genericamente dedicata a Picasso scultore, la mostra parigina è focalizzata su serie e variazioni: pratica peraltro condivisa da altri artisti dell’epoca, Henri Matisse in testa. 

Per chi abbia la possibilità di visitare la mostra parigina (che si sposterà dal 26 ottobre 2016 al 5 marzo 2017 a Bruxelles, al Palais des Beaux-Arts) o per chi comunque voglia approfondire questi argomenti grazie al catalogo, vale la pena seguire il filo conduttore proposto dagli organizzatori, Cécile Godefroy e Virginie Perdrisot: un percorso giustamente predisposto, in massima parte, secondo un ordine temporale, e per serie, appunto. 

La mostra si sviluppa in diversi piani del museo, e permette di ripercorrere l’eccezionale vena creativa di Picasso, con le sculture sempre in significativo riferimento alle opere dipinte coeve o ai disegni, spesso documentate con fotografie d’epoca.


Figura, proposta per il monumento di Guillaume Apollinaire (Parigi, autunno 1928); Parigi, Musée National Picasso-Paris.

Testa d’uomo (Parigi 1930); Parigi, Musée National Picasso-Paris.


Testa di donna (Boisgeloup 1931-1932; prova unica in cemento); Antibes, Musée Picasso.

Picasso. Sculptures

Parigi, Musée Picasso-Paris
fino al 28 agosto
A cura di Virginie Perdrisot, Cécile Godefroy
Catalogo Musée National Picasso-Paris /
Somogy éditions d’Art / Palais des Beaux-Arts (BOZAR)-Bruxelles
www.musee-picasso.fr

ART E DOSSIER N. 333
ART E DOSSIER N. 333
GIUGNO 2016
In questo numero: DARE FORMA ALL'EMOZIONE La scultura in terracotta di Niccolò dell'Arca, Mazzoni e Begarelli. CAVALLI E ALTRI ANIMALI Fare arte con i batteri; Il circo di Calder; Sculture equestri tra Quattro e Cinquecento. IN MOSTRA Fabre a Firenze, Picasso scultore a Parigi, Vetri e architetti a Venezia.Direttore: Philippe Daverio