Grandi mostre. 3
Il vetro degli architetti a Venezia

un incontro
fortunato

Nel centro nevralgico della creatività europea prima della Grande guerra, a Vienna, gli artisti e gli architetti più innovativi scelgono il vetro dell’artigianato boemo come materiale d’elezione per produrre oggetti dall’estremo rigore, con decorazioni sperimentali già tese verso l’Art Déco.

Jean Blanchaert

Nella Vienna dei primi decenni del XX secolo, terza metropoli d’Europa e con una popolazione in rapidissima ascesa (in pochi anni da quattrocentomila a due milioni di persone), si afferma una creatività senza uguali. Nel campo della letteratura, dell’arte, della scienza, fiorisce di tutto: da Freud a Schnitzler, da Karl Kraus a Musil, da Schönberg ad Adolf Loos. 

In questo mondo alcuni giovani artisti e architetti, impregnati di un idealismo positivo tutto teso verso il fare, si pongono il problema di che cosa significhino arte e creatività, e assumono entrambe come armi per sovvertire il tranquillo ordine esistente all’interno delle istituzioni conservatrici della loro professione. 

Tra i protagonisti della mostra Il vetro degli architetti alla Fondazione Cini di Venezia ci sono coloro che, insieme a molti altri, si dissociano dalla Wiener Kunsthaus, dove impera l’imitazione delle forme del passato. Costoro si ricollegano ad Arts and Crafts, il movimento nato in Inghilterra nella metà dell’Ottocento che ha istituito un rapporto fra creatività e tradizione, credendo nella potenzialità inventiva presente in ogni attività umana, prima fra tutte l’artigianato. 

II 3 aprile 1897 Gustav Klimt (pittore), Koloman Moser (pittore), Josef Hoffmann (architetto), Joseph Maria Olbrich (architetto) e altri ancora fondano la Secessione viennese.


Urban Janke, Ludwig Heinrich Jungnickel, contenitori (1912). Se non altrimenti indicato, tutte le opere in questo articolo sono conservate a Vienna, MAK - Museum für angewandte Kunst.

Il vetro suggerisce l’idea di una continua metamorfosi e si presta alla sperimentazione


Al gruppo si unisce, l’anno seguente, il direttore della Kunstgewerbeschule, l’architetto Otto Wagner. Questi artisti e architetti si propongono di rinnovare l’arte e l’artigianato in tutti i campi, attraverso l’uso di ogni materiale. Tra i tantissimi media possibili, il vetro sembra che si adatti più di ogni altra cosa al nuovo, nella sua capacità di incorporare la realtà e di renderla, attraverso i fenomeni di rifrazione della luce, in mille modi diversi. Il vetro suggerisce l’idea di una continua metamorfosi e si presta a una sperimentazione che è sempre stata in atto, non soltanto nei luoghi tradizionali della lavorazione, come Venezia o la Boemia, ma anche, a partire dal 1850, in Inghilterra e negli Stati Uniti. A Vienna, nell’ultimo decennio del XIX secolo, avviene un incontro fortunato tra gli architetti e il vetro come se, da sempre, fra tutti quelli a loro disposizione avessero aspettato di scoprire proprio questo materiale, modellabile e prezioso, perfetto per incarnare l’idea di un artigianato colto, di élite, ma al tempo stesso popolare, perché gli artigiani sono sempre provenuti dal popolo. 

Nell’impero austroungarico, la manifattura del vetro e del cristallo ha la propria sede d’eccellenza in Boemia, dove lavorano da secoli artigiani armati di cannule e di punte di diamante, di nozioni di chimica e della loro esperienza e bravura. «Questa perizia è il risultato della ricerca paziente di molte generazioni, a partire dagli antenati di ceppo celtico, stanziatisi nel IV secolo a.C. nella regione corrispondente alla Boemia e alla Moravia e, contemporaneamente, nell’Italia settentrionale e in parte in quella centrale dove hanno appreso l’arte vetraria dai romani»(1)

La lavorazione del vetro è praticata nelle abbazie benedettine, nei laboratori famigliari, più tardi negli opifici e nelle botteghe artigiane. «La ricetta è ancora quella del monaco benedettino Teofilo, autore del De diversis artibus (XII secolo), che raccomanda di unire a una parte di sabbia silicea, due parti di ceneri di faggio»(2). A metà del Trecento i vetrai di Praga e di Brno sono già famosi. 

Cent’anni dopo, i vetri boemi sono molto ricercati sul mercato tedesco, ma fino al Seicento il vetro di più elevata qualità è quello veneziano dell’isola di Murano. Il momento di svolta nella storia del vetro boemo avviene fra la fine del Cinquecento e gli inizi del Seicento, quando l’imperatore Rodolfo II d’Asburgo invita a Praga artisti provenienti da tutta Europa. Fra loro sono numerosi gli intagliatori di vetro e di pietre preziose. Nel Settecento, maestranze boeme emigrate in Inghilterra portano con sé un bagaglio culturale e tecnico di prim’ordine. Anche la tecnica del “taglio inglese” è farina del loro sacco.


Josef Hoffmann, bicchiere da champagne, bronzit nero serie “C” (post 1912).


Josef Hoffmann, “bonbonnière” con coperchio (post 1916).

(1) A. Langhamer, Arte del cristallo in Cecoslovacchia, Roma 1999, pp. 13-14.
(2) Ivi, p. 16.

Josef Hoffmann, servizio di bicchieri, bronzit nero serie “B”, (1911-1912), Vienna, Archivio J. & L. Lobmeyr.


“Fachschule” per l’industria del vetro di Haida, vaso “Werknummer 2651 Oertel” (ante 1916).

L’architettura, secondo Otto Wagner, «si è assunta il compito di trascinare l’artigianato artistico»


Alla fine degli anni Trenta dell’Ottocento, il vetro boemo ha pienamente conquistato il mercato europeo e mondiale. Il chimico boemo Leo Patocek inventa per la vetreria Zlatno un vetro con iridescenze. 

Questa tecnica affascinante verrà perfezionata e brevettata nel 1895 dal barone Max Ritter von Spaun proprietario della vetreria Johann Loetz Witwe. L’architettura, secondo Otto Wagner, «si è assunta il compito di trascinare l’artigianato artistico»(3). Non c’è fabbrica importante del vetro che, nell’ultimo decennio dell’Ottocento, non abbia guardato a ciò che avveniva a Vienna nel campo del design e delle soluzioni figurative. 

Già prima della Secessione le istituzioni viennesi avevano cominciato a sentire l’influenza della ventata di cambiamento proveniente dall’Inghilterra, dalla Francia e dal Belgio. Felician von Myrbach, direttore dal 1892 della Kunstgewerbeschule, chiama a insegnare nella scuola da lui diretta architetti e artisti della Secessione fra cui Moser e Hoffmann. Nel 1900 si reca in Gran Bretagna per vedere da vicino la Glasgow School of Art. In quest’occasione Josef Hoffmann, suo compagno di viaggio, stringe rapporti di amicizia con Charles R. Mackintosh, architetto e artista scozzese grande innovatore del design. Nel 1903, nasce la Wiener Werkstätte, celeberrimo laboratorio viennese che nei suoi trent’anni di vita non si occuperà soltanto di vetro, ma anche di legno, di metalli, di carta, di rilegatura di libri e di tessuti. Le “Fachschulen” (scuole di specializzazione) nate nei centri boemi di arte vetraria di Haida e Steinschönau si diffondono anche nelle altre province austriache. Per queste scuole Arthur von Scala, direttore dal 1897 dell’Österreichisches Museum für Kunst und Industrie, organizza pedagogiche mostre itineranti degli oggetti da lui portati dalla Gran Bretagna. Artisti e architetti come Koloman Moser, Leopold Bauer e Otto Prutscher s’interessano direttamente al processo produttivo compiendo viaggi in Boemia e soggiornando a lungo in vetreria per meglio comprendere le potenzialità del vetro.


Josef Hoffmann, bicchieri a fondo piatto del periodo bellico (ante 1916).


Koloman Moser, vaso (1900).

(3) O. Wagner, Architettura moderna, Bologna 1980, p. 99.

Nel 1910, Hugo Max, insegnante alla “Fachschule” per il design e la lavorazione del vetro di Steinschönau, mette a punto l’elaborata tecnica del “bronzit” che consente alle forme decorative di emergere, brillanti e nere su fondo opaco. Hoffman fa ampio uso di questa tecnica per meravigliosi oggetti caratterizzati da motivi geometrici realizzati per la vetreria J&L Lobmeyr di Vienna. Il vetro viennese che può essere spesso e opaco, o anche leggerissimo e trasparente, a volte assume la compattezza brillante di una ceramica a lustro, grazie a un procedimento messo a punto da Carl Goldberg a Haida. Otto Prutscher realizza per Lobmeyr la serie Lapislazuli utilizzando la cosiddetta riduzione dell’argento per produrre un vetro scuro e opaco con sfumature irregolari; Oscar Strnad e Oswald Haerdtl, sempre per la Lobmeyr, disegnano una serie di leggerissimi, sottili, trasparenti e incorporei vasi incolori creati con la tecnica del vetro “mussolina”. 

Nel 1914, alla mostra del Werkbund, a Colonia, nel padiglione austriaco progettato da Josef Hoffmann, sono presentate tutte le novità avveniristiche nel campo vetrario della decorazione. Nel 1915 il Ministero dei Lavori pubblici commissiona all’imperiale-regio Österreichisches Museum für Kunst und Industrie di Vienna una mostra sull’arte austriaca e sul vetro da esportazione per sostenere l’industria del vetro fortemente sotto pressione a causa della prima guerra mondiale. Alla fine del conflitto le vetrerie sono sempre in Boemia, che però nel frattempo è diventata parte della Cecoslovacchia. L’Esposizione universale di Parigi del 1925 premia cinquant’anni di sforzi per aggiornare e migliorare le stile del vetro viennese. 

La ditta J&L Lobmeyr e i suoi architetti progettisti ottengono il Grand Prix della mostra confermando che i loro prodotti non soltanto sono passati dal classicismo all’Art Nouveau, ma sono già pronti per l’Art Déco che l’esposizione di Parigi ha avviato. 

La distanza fra Vienna e le vetrerie boeme è la stessa che intercorre fra Milano e Murano, circa 270 chilometri. Un viaggio, quest’ultimo, diventato mitico da quando fu intrapreso, negli anni Venti, dall’avvocato Paolo Venini che divenne, grazie alle sue capacità artistiche e imprenditoriali, il nuovo “doge” di Venezia. 

Il matrimonio fra le idee nuove e le antiche tecniche di vetreria da lui celebrato in Laguna, è in perfetta sintonia con l’evoluzione del vetro viennese. 

Scrive Adolf Loos: «È ora che il nostro artigianato si affidi alle proprie forze e si scrolli di dosso qualsiasi guida non richiesta. Chi intende collaborare sia il benvenuto. Chi di fronte al tornio ronzante con indosso il grembiule di lavoro, chi davanti alla fornace rovente, a torso nudo, voglia collaborare, abbia lode. Quei dilettanti, però, che stanno nel loro comodo atelier d’artisti, pretendendo di prescrivere e preordinare, per chi crea, ciò che egli deve creare, costoro sono pregati di mantenersi nel limite del loro campo, che è l’arte grafica»(4).


Josef Hoffmann, bicchiere a fondo piatto del periodo bellico (1915).


Josef Hoffmann, calici (1922-1923).

(4) A. Loos, Parole nel vuoto, Milano 1992, p. 45.

Il vetro degli architetti. Vienna 1900-1937

Venezia, Fondazione Giorgio Cini
isola di San Giorgio Maggiore
fino al 31 luglio
A cura di Rainald Franz
Catalogo Skira
www.lestanzedelvetro.org, www.cini.it

ART E DOSSIER N. 333
ART E DOSSIER N. 333
GIUGNO 2016
In questo numero: DARE FORMA ALL'EMOZIONE La scultura in terracotta di Niccolò dell'Arca, Mazzoni e Begarelli. CAVALLI E ALTRI ANIMALI Fare arte con i batteri; Il circo di Calder; Sculture equestri tra Quattro e Cinquecento. IN MOSTRA Fabre a Firenze, Picasso scultore a Parigi, Vetri e architetti a Venezia.Direttore: Philippe Daverio