Nel 1910, Hugo Max, insegnante alla “Fachschule” per il design e la lavorazione del vetro di Steinschönau, mette a punto l’elaborata tecnica del “bronzit” che consente alle forme decorative di emergere, brillanti e nere su fondo opaco. Hoffman fa ampio uso di questa tecnica per meravigliosi oggetti caratterizzati da motivi geometrici realizzati per la vetreria J&L Lobmeyr di Vienna. Il vetro viennese che può essere spesso e opaco, o anche leggerissimo e trasparente, a volte assume la compattezza brillante di una ceramica a lustro, grazie a un procedimento messo a punto da Carl Goldberg a Haida. Otto Prutscher realizza per Lobmeyr la serie Lapislazuli utilizzando la cosiddetta riduzione dell’argento per produrre un vetro scuro e opaco con sfumature irregolari; Oscar Strnad e Oswald Haerdtl, sempre per la Lobmeyr, disegnano una serie di leggerissimi, sottili, trasparenti e incorporei vasi incolori creati con la tecnica del vetro “mussolina”.
Nel 1914, alla mostra del Werkbund, a Colonia, nel padiglione austriaco progettato da Josef Hoffmann, sono presentate tutte le novità avveniristiche nel campo vetrario della decorazione. Nel 1915 il Ministero dei Lavori pubblici commissiona all’imperiale-regio Österreichisches Museum für Kunst und Industrie di Vienna una mostra sull’arte austriaca e sul vetro da esportazione per sostenere l’industria del vetro fortemente sotto pressione a causa della prima guerra mondiale. Alla fine del conflitto le vetrerie sono sempre in Boemia, che però nel frattempo è diventata parte della Cecoslovacchia. L’Esposizione universale di Parigi del 1925 premia cinquant’anni di sforzi per aggiornare e migliorare le stile del vetro viennese.
La ditta J&L Lobmeyr e i suoi architetti progettisti ottengono il Grand Prix della mostra confermando che i loro prodotti non soltanto sono passati dal classicismo all’Art Nouveau, ma sono già pronti per l’Art Déco che l’esposizione di Parigi ha avviato.
La distanza fra Vienna e le vetrerie boeme è la stessa che intercorre fra Milano e Murano, circa 270 chilometri. Un viaggio, quest’ultimo, diventato mitico da quando fu intrapreso, negli anni Venti, dall’avvocato Paolo Venini che divenne, grazie alle sue capacità artistiche e imprenditoriali, il nuovo “doge” di Venezia.
Il matrimonio fra le idee nuove e le antiche tecniche di vetreria da lui celebrato in Laguna, è in perfetta sintonia con l’evoluzione del vetro viennese.
Scrive Adolf Loos: «È ora che il nostro artigianato si affidi alle proprie forze e si scrolli di dosso qualsiasi guida non richiesta. Chi intende collaborare sia il benvenuto. Chi di fronte al tornio ronzante con indosso il grembiule di lavoro, chi davanti alla fornace rovente, a torso nudo, voglia collaborare, abbia lode. Quei dilettanti, però, che stanno nel loro comodo atelier d’artisti, pretendendo di prescrivere e preordinare, per chi crea, ciò che egli deve creare, costoro sono pregati di mantenersi nel limite del loro campo, che è l’arte grafica»(4).