Il gusto dell'arte 


m’ ‘o ffaceva suLomammà

di Ludovica Sebregondi

Un viaggio nel Bel paese alla scoperta delle tradizioni culturali e sociali che legano arte e cucina regionale. Terza tappa: Campania

La vita nei vicoli, nelle piazze o sul mare caratterizza tradizionalmente il mondo napoletano e campano in genere: una vita corale e collettiva che investe anche il cibo, dall’acquisto alla preparazione e al consumo. Come di consueto nei paesi del Sud, le materie prime, ma anche le preparazioni pronte per essere mangiate, sono esposte all’aria aperta: lo attestano già mosaici e rilievi del mondo antico, ma è abitudine ancora attuale. Oggi è cambiato il contesto, come testimonia un particolare del dipinto attribuito ad Ascanio Luciani - artista partenopeo di cui si hanno notizie dal 1621 al 1706 - di una veduta della Vicaria, quartiere napoletano, che mostra sì i venditori che esibiscono la merce, ma dal Palazzo di Giustizia, che fa da sfondo al mercato, stanno uscendo i condannati al patibolo: vita e morte strettamente unite. 

Sulle assi sostenute da caprette di legno sono in vendita sia il pesce del golfo, che si diceva migliore grazie ad alghe dal particolare sapore di iodio, sia formaggi quali caciocavalli e mozzarelle. Non appaiono nel dipinto, ma la dispensa napoletana è anche ricca di verdura sapidissima (tra cui la scarola, utilizzata in tante preparazioni) e frutta profumata, arance, fichi d’India e meloni che, appesi a una trave, maturano a Natale divenendo dorati. E dolci, e non solo i più noti, come le sfogliatelle ricce, gli struffoli, le zeppole, la pastiera.


Ascanio Luciani (attribuito), Il palazzo della Vicaria al tempo di Masaniello (metà del XVII secolo), particolare, Napoli, Museo nazionale di San Martino.

È impareggiabile anche il sedere a tavola all’aperto, godendo del mare e dell’aria partenopei. Un pranzo che doveva apparire un sogno a Giuseppe De Nittis, nato a Barletta nel 1846 che a Napoli aveva vissuto, iniziato a studiare all’Accademia e lavorato, prima di trasferirsi in Francia dove aveva ottenuto un successo clamoroso all’Esposizione universale del 1878. All’apice della fama torna nel capoluogo campano e prende in affitto una villa a Posillipo: nasce il miracolo di un’atmosfera che unisce colori, profumi ed eleganze di Parigi e Napoli. Al tramonto, davanti al mare di Don’Anna, la tavola è ormai sparecchiata, restano dei piatti, un calice di spumante e bicchieri colmi di vino rosso appoggiati sulla tovaglia insieme a un bouquet di rose. Al centro l’elegante e bella moglie Léontine cattura l’attenzione degli amici del periodo giovanile, c’è chi fuma un sigaro e non manca l’accompagnamento musicale di una chitarra e due voci. Un clima conviviale e intimo, esaltato dall’impareggiabile contesto. 

Contrastano con la levità della scena gli odori forti delle lunghe preparazioni della cucina campana: soprattutto olio fritto e ragù. Quel ragù cotto in un tegame di coccio che richiede cura, lungo lavoro e particolare sapienza, a cui Eduardo De Filippo ha dedicato la poesia O rraù per esaltare quello che «m’ ‘o ffaceva sulo mammà», non una banale «carne c’ ‘a pummarola». Un condimento per la pasta che - insieme alla pizza - è simbolo oggi indiscusso di cucina italiana. Certo, il Nuovo mondo ci ha messo il suo con il contributo del pomodoro: l’oro rosso che esalta ogni preparazione e che è diventato “l’oro di Napoli” in cucina.


Giuseppe De Nittis, Pranzo a Posillipo (1879), Milano, Galleria d’arte moderna.

ART E DOSSIER N. 332
ART E DOSSIER N. 332
MAGGIO 2016
In questo numero: LA VERTIGINE DELL'ACCUMULO Wunderkammer e collezionismi seriali. LA CUCINA E' ARTE?. BENI CULTURALI: il punto sulla riforma. EROINE E CONCUBINE: il mondo di Delacroix in mostra a Londra. IN MOSTRA Boccioni a Milano, Imagine a Venezia, Dimitrijevic a Torino.Direttore: Philippe Daverio