La Precisione
deL sogno

Nel 1980, a soli ventun anni, Fabre realizza la sua prima performance negli Stati Uniti, Sea-Salt of the Fields (1980), un omaggio a Marcel Duchamp sul significato materiale e spirituale del sale.

Infatti Sea-Salt of the Fields è la traduzione in inglese - tenendo conto della pronuncia francese - di Mar cel Du champ.

Sempre del 1980 è il primo spettacolo vero e proprio scritto, diretto e scenografato da Fabre: Theater geschreven met een K is een kater (Teatro scritto con una K è un gatto sbronzo) che suscita scandalo già alla prima rappresentazione per via dei nudi, del linguaggio scabroso, dell’inusuale e violenta performance degli interpreti. «Nel corso dello spettacolo si alternano una serie di scene nelle quali l’escalation della violenza raggiunge un crescendo simile a una raffica di adrenalina. Non c’è azione: si tratta di atti violenti che necessitano di essere espressi in un corpo a corpo […] Theater geschreven met een K is een kater assomiglia a una forma di art brut»(15).

Nel 1981 Fabre si chiude in una stanza d’albergo a Leida, in Olanda, per tre giorni e tre notti consecutivi, cioè per settantadue ore, in omaggio alla mitica performance I Like America and America Likes Me di Joseph Beuys alla René Block Gallery di New York. Se Beuys aveva convissuto per settantadue ore con un coyote, animale simbolo dei nativi americani, Fabre convive con se stesso, senza dormire e senza avere contatti con l’esterno.


Ilad of the Bic Art Room, The Bic Art Room (Thinking Model) (1981). L’immagine dell’installazione si riferisce alla mostra Jan Fabre. Kijkdozen en Denkmodellen 1977-2004 (Bruxelles, Vlaams Parlement, gennaio - giugno 2006).

Tutto è bianco in quella stanza, le pareti, il pavimento, il letto e gli abiti dell’artista. La performance s’intitola Ilad of The Bic Art, The Bic Art Room dove Ilad è inteso come contrario di Dalí. L’artista vuole diventare una macchina per disegnare e lo fa ovunque, su qualsiasi superficie a sua disposizione, compresi i vestiti e il suo corpo, sul quale inventa organi inesistenti. In questa installazione vivente la sua ossessione, filmata da una fotocamera, diventa concreta e visibile. Innumerevoli linee s’intrecciano e si fondono in un unico colore vibrante.

In uno dei suoi libri Jean-Henri Fabre aveva parlato di un’ora fra la notte e l’alba in cui gli animali notturni stanno per addormentarsi, ma sono ancora svegli e gli animali diurni, ancora immersi nel sonno, stanno per svegliarsi. È un momento magico in cui tutto sta per accadere e non è ancora accaduto. A Jan Fabre sembra che quell’ora, ancora notturna, ma più chiara, abbia lo stesso colore blu delle linee fitte, ravvicinate, dei suoi disegni. Si rende conto che qualcosa sta maturando nella sua concezione del disegno e dello spazio. Pensa che un grande formato liberi il disegno da una costrizione d’intimità, lo renda autonomo, oggettivo. È una vasta estensione di colore, una tela più grande dello spettatore, nella quale chi guarda possa perdersi facendosi racchiudere nell’opera. Al periodo della serie The Hour Blue (1977- 1992) risale una serie di tele a volte di un formato talmente grande che l’occhio non riesce ad abbracciarle. Può solo fissarne un pezzetto per volta e ricostruirne mentalmente l’intera immagine. «L’occhio divora, ma non accade nulla di spirituale […]


Flying Rooster (1991), dalla serie The Hour Blue (1977-1992); Helsinki, Kiasma - Museum of Contemporary Art. L’immagine dell’installazione qui riprodotta si riferisce alla mostra Jan Fabre. Die Jahre der Blauen Stunde (Vienna, Kunsthistorisches Museum Wien, maggio - agosto 2011).


The Gaze Within (The Hour Blue) (2011-2013), installazione permanente; Bruxelles, Musées Royaux des Beaux-Arts.

Trovo eccitante l’idea che l’occhio possa decidere di scollegarsi. Voglio che l’occhio dello spettatore continui a vagare e che egli perda coscienza di sé. Così verrebbe “assorbito” dentro la mia opera. Riuscirebbe forse a entrare in uno stato di trance e ascoltare il disegno […] così, attraverso le oscure e labirintiche strade del nostro occhio riusciamo a sperimentare un’altra dimensione, quella del tempo e/o dello spazio»(16). «L’arte post moderna», scrive Fabre nel suo “diario notturno”, «testimonia di una tolleranza vile perché difende e propugna il rispetto per ogni sorta di opinioni e di punti di vista, un alibi per non dover prendere posizione con chiarezza»(17). Uno dei suoi primi lavori di carattere sociale è la serie Forgery of the Secret Feast. Risale al 1985. Si tratta di piccoli disegni a biro blu montati su velluto rosso con cornice d’oro in modo che il tema scottante di carattere sociale passi in secondo piano rispetto all’elaborata eleganza del supporto. Il tema è stato ripreso negli anni successivi in una seconda serie di disegni su carta, La falsificazione della festa segreta II (Angsten) (1993-1995) e in una terza, disegni sempre a biro blu su carta fotografica, La falsificazione della festa segreta III (Fumo e fuoco), nel 2005.

Al metodo “blu Bic” appartiene anche Tivoli (1990), l’opera grandiosa con la quale Fabre ha ricoperto con fogli di carta dipinta in penna Bic blu l’intero castello, alle porte di Mechelen/Malines (Belgio). In questo modo la maestosa architettura sembra perdere la sua consistenza, diventare un riflesso, appena più compatto del suo duplicato che si specchia nel laghetto antistante.

Il concetto di ripetizione è un altro punto chiave nell’opera di Jan Fabre, secondo il quale esiste una memoria del corpo diversa da quella della mente. Dagli anni Settanta sino agli anni Duemila Fabre ha prodotto più di venti film da proiettare in “loop”, cioè a ripetizione: «La ripetizione è un terribile tessuto di diversità. La ripetizione è tempo visibile visualmente strutturato(18).

In The Bag (1980) il gesto di mettersi e togliersi dalla testa una busta di plastica viene ripetuto per due volte. In The Fight (1976) l’uomo è afferrato tre volte per le spalle in sei minuti. In Suicide? (1980) l’arma viene puntata per nove volte, molto lentamente, contro la tempia, in cinque minuti. Il minimalismo o l’insignificanza di un gesto acquistano in questo modo la consistenza di un atto irrevocabile: «Il mio metodo di lavoro consiste in primo luogo in una ricerca di varie modalità di ripetizione»(19). Non si tratta di un espediente, ma di un programma per provocare un mutamento: il passaggio da una condizione a un’altra nuova e più alta che non può essere raggiunta se non dopo infinite e sfibranti prove.


Un’opera dalla serie La Falsificazione della festa segreta III (fumo e fuoco) (2005).


Tivoli (1990); Mechelen/Malines (Belgio). Il castello è stato ricoperto con fogli di carta dipinta in penna Bic blu.

(15) L. van den Dries, Théâtre écrit avec un k est un matou flamand, Parigi 2009, pp. 8-9.

(16) J. Fabre, Arti&insetti&teatri, cit., p. 39.

(17) Id., Giornale notturno (1978-1984), a cura di F. Paris, Napoli 2013, 27 dicembre 1982, p. 143.

(18) Ivi, 23 luglio 1982, p. 128.

(19) L. van den Dries, Corpus Jan Fabre. Annotazioni su un processo di creazione, cit., p. 265.

FABRE
FABRE
Jean Blanchaert
La presente pubblicazione è dedicata a Jan Fabre. In sommario: L'imprinting artistico: il mito famigliare e la strada; Gli insetti: i maestri di un sapere iniziatico; La precisione del sogno; Il corpo è tutto. Tutto è corpo; Mount Olympus; Le sculture: testimoni di un'assenza; Il verde dell'Africa; Troubleyn Laboratorium. Come tutte le monografie della collana Dossier d'art, una pubblicazione agile, ricca di belle riproduzioni a colori, completa di un utilissimo quadro cronologico e di una ricca bibliografia.