Gli insetti:
i maestri di un
sapere iniziatico

È del 1978-1979 l’opera The Nose (Project for Nocturnal Territory).

Il progetto si compone di tre aste con un lenzuolo gettato sopra, di una scrivania bassa, di una cartella in cuoio blu, di alcune bottiglie contenenti tinture e insetti e di un microscopio. All’interno c’è appena spazio per una persona. La tenda si trasforma presto in un piccolo studio che per lungo tempo gli serve anche da stanza da letto, laboratorio, luogo di ritiro e universo privato. Jan Fabre costruisce nel giardino dei genitori questa tenda a forma di doppio naso come allusione al più intuitivo di tutti i sensi che più sottilmente di ogni altro decodifica le sensazioni prima che giungano alla coscienza. Alla tenda arrivano, attratti dalla luce, molti insetti e piccole creature notturne che il giovane Jan sottopone a strane operazioni, mutilazioni, innesti, con uno slancio creativo, conoscitivo, ludico e infantilmente non privo di sadismo: «Estraevo dalla terra dei vermi, poi prendevo delle mosche, gli strappavo le ali e le inserivo nel corpo dei vermi. Mi sembrava così di creare una nuova vita. Mi comportavo come un giovane dottor Frankenstein»(10). Gli insetti vengono collezionati, disegnati, attaccati sulla carta e sui dipinti, sezionati e infine trasformati. Lo zio Jaak, incuriosito dai traffici del nipote ormai diciannovenne, va a trovarlo nel suo laboratorio-tenda, gli fa sapere che nella loro famiglia c’è un famoso entomologo, Jean-Henri Fabre, e lo introduce alla sua opera regalandogli alcuni suoi libri. Come le stelle, gli insetti possono essere capiti soltanto attraverso le leggi che li governano o resi familiari mediante l’imitazione delle loro forme favolose. Jan Fabre li dipinge anche dal vero. Il suo amico Jan Hoet sosteneva che li annusasse per poterne convertire l’odore in un’immagine e per conservarne almeno una traccia di vita. Altre volte li “sovradisegna” mettendo il foglio sopra il precedente disegno di Jean-Henri Fabre. Altre volte ancora, li inventa prestando la sua immaginazione all’immaginazione della natura dove tutto è plausibile.

Nel mondo di Jan Fabre il demone della scienza è giunto inaspettatamente a contendere la sua anima all’arte. E non è meno esigente. Nella prefazione di Fabre’s Book of Insects(11) l’artista scrive: «Senza maestri, senza guide, spesso senza libri io sono andato avanti con un solo obiettivo, aggiungere alcune pagine alla storia degli insetti». Non lo fa come semplice scienziato, ma come artista, cercando di addentrarsi in quelle magie ingegneristiche che sembrano prodotte in serie, nel mistero di quegli esseri che con i loro comportamenti immutati da milioni di anni, sono testimonianze della preistoria rimaste fra noi. Ci sono dieci milioni di cellule nel nostro cervello e soltanto diecimila nel loro, eppure gli insetti svolgono operazioni d’incredibile e complicata raffinatezza, prodotto di un’intelligenza esterna, la stessa che regola l’equilibrio dell’universo. 

I ragni, gli scarabei, le mosche, le farfalle, le libellule vivono al di fuori del nostro tempo, del nostro spazio e delle nostre categorie psichiche. Sono forze primordiali della vita che interroghiamo senza ottenere una risposta. Come sostiene Jan Fabre, «gli scarabei sono i computer più antichi del mondo. Nel loro scheletro si addensa una memoria di milioni di anni»(12). Per la precisione gli scarabei esistevano già nel Cretaceo superiore, databile a centoquarantacinque milioni di anni fa. In The Grave of the Unkonwn Computer (1994- 1995), fra i tanti nomi scritti sulle croci colorate in blu Bic, quello più ricorrente è “schrijverkebeetle”, lo scarabeo scrittore che diffonde messaggi fra gli uomini. Presso gli egizi, lo scarabeo accompagnava le anime proteggendole dai pericoli disseminati lungo il cammino nel viaggio notturno del mondo dei morti, per farli arrivare fino al regno della luce.

Nel libro del suo avo, Les merveilles de l’instinct chez les insects, Fabre apprende i loro comportamenti più imprevedibili, registra e riflette sulle loro strutture più strane. Nelle sue opere farà dello scheletro esterno dell’insetto l’involucro di un corpo spirituale. In Mur de la montée des anges e nei Monaci apicoltori la corazza indistruttibile fatta di frammenti di ossa animali e umane raccoglierà il vuoto, il nulla irrappresentabile dello spirito.

Nella mostra Gisants (I giacenti) alla Galerie Templon di Parigi, nel 2013, Jan Fabre rende omaggio alla neurologa americana Elizabeth Caroline Crosby (1918-1983) e a Konrad Lorenz (1903-1989) raffigurandoli come un re e una regina giacenti in un monumento funebre, in marmo bianco statuario, secondo la tradizione classica. La scultura dedicata a Elizabeth Carol Crosby cita letteralmente il Cristo velato di Giuseppe Sanmartino (1753) che si trova alla Cappella Sansevero di Napoli ed è una delle creazioni in marmo più suggestive di tutti i tempi. Attorno a ciascuno dei due corpi sono disposte, come un tempo le piangenti, sette sculture a forma di cervello, un’allusione a una fraternità fra gli uomini che perseguono la conoscenza. In questa fraternità spirituale, Jan Fabre ha voluto dare al volto dei due scienziati le sembianze dei suoi genitori. 


Phantasy-insectssculptures (1976-1979); Anversa, M HKA - Museum van Hedendaagse Kunst Antwerpen.


Mur de la montée des anges (1993); Anversa, M HKA - Museum van Hedendaagse Kunst Antwerpen. L’immagine dell’opera, qui riprodotta, realizzata con scarabei e filo di ferro, si riferisce alla mostra Jan Fabre. Passage (Anversa, M HKA - Museum van Hedendaagse Kunst Antwerpen, settembre - novembre 1997.

La presenza d’insetti nella camera funeraria crea un’atmosfera sospesa. Scarabei e farfalle sono posati sui corpi, altri insetti sulle sculture di cervello e subiscono strane metamorfosi. Titoli come: Accettazione della morte nel cammino verso la luce, Lotta fra la vita e la morte, Il ponte fra la vita e la morte stanno a significare che in natura ciò che muore rinasce in una forma diversa, cioè che bisogna passare attraverso la morte per potersi rinnovare. Metaforicamente gli insetti sono guide in questo passaggio. «La sola cosa che si possa fare come artisti è darsi la morte. Tutta la mia opera è una preparazione a questa sparizione. Socialmente io sono morto»(13). La metamorfosi di cui è simbolo il travestimento è la resurrezione del corpo sotto una nuova apparenza. Nel film A Meeting (1997) Jan Fabre, travestito da scarabeo, e il performer russo Ilya Kabakov, travestito da moscone, discutono dall’alto di un condominio newyorkese sui sistemi sociali rivoluzionari degli scarabei e delle mosche. Nel film Consilience (2000), girato nel Museo di storia naturale di Londra, quattro scienziati travestiti da farfalla, da vespa e da due specie di mosche illustrano i comportamenti degli insetti dal punto di vista degli insetti. Sono metafore di un futuro inconoscibile, ma che si fonda sul radicamento nella natura: «Il mio lavoro anela al potenziale dell’uomo rigenerato. La mia ossessione è che voglio realizzarlo, pur sapendo che è impossibile»(14).

(10) Jan Fabre. Stigmata, cit., p. 165.

(11) J. Fabre, Fabre’s Book of Insects, Gent 1999.

(12) In L. van den Dries, Corpus Jan Fabre. Annotazioni su un processo di creazione, Milano 2008.

(13) In J. Sans, For intérieur, Arles 2005, pp. 39-41.

(14) In L. van den Dries, op. cit., p. 50.

FABRE
FABRE
Jean Blanchaert
La presente pubblicazione è dedicata a Jan Fabre. In sommario: L'imprinting artistico: il mito famigliare e la strada; Gli insetti: i maestri di un sapere iniziatico; La precisione del sogno; Il corpo è tutto. Tutto è corpo; Mount Olympus; Le sculture: testimoni di un'assenza; Il verde dell'Africa; Troubleyn Laboratorium. Come tutte le monografie della collana Dossier d'art, una pubblicazione agile, ricca di belle riproduzioni a colori, completa di un utilissimo quadro cronologico e di una ricca bibliografia.