Brancaleone narra le storie cercando di rendere naturalistica l’espressione del volto dei personaggi
La presenza di Brancaleone nel paese è confermata nel 1520 da Francisco Alvarez(2), il cappellano al seguito dell’ambasciata portoghese, che riferisce di aver conosciuto alcuni stranieri residenti da tempo alla corte etiopica tra cui il veneziano Marcoreo che dice di chiamarsi Nicolao Brancaliam. Quando il re Lebna Dengel (regnante fra il 1508 e il 1540) invita il missionario a visitare una chiesa dedicata a san Giorgio, Alvarez nota che le pareti interne sono interamente decorate da pitture mirabilmente eseguite e autografate da Brancaleone.
Il nome del pittore veneziano compare successivamente in uno scritto del gesuita Gaspare Paez che riferisce di aver trovato un dipinto di san Nicola nel monastero di Dabra Pantalewon, nel Tigray. La pittura viene descritta come antica e di buona mano e, inoltre, nel registro in basso riporta un’iscrizione in latino: «Nicolaus Venetus»(3).
Molte furono le opere prodotte da Brancaleone, risultato di una vivace e costante attività che durò oltre quarant’anni. Allo stato attuale delle conoscenze sono stati attribuiti alla sua mano svariati lavori ma, escluse le pitture citate nei racconti dei due missionari e andate disperse, esistono solo tre opere autografe. Nel 1973 la studiosa Diana Spencer(4), impegnata in una ricerca sulle icone di san Luca in Etiopia, trovò un oggetto di grande importanza per la storia della pittura etiopica. Si trattava di un album di miniature recante una cinquantina di illustrazioni. Il libro, conservato nella chiesa di Wafa Iyasus nel Goggiam, era appartenuto a Walatta Dengel, probabilmente la sorella del re Lebna Dengel. Ciò che lo rendeva straordinariamente interessante era che sul foglio venti, in calce all’immagine del battesimo, recava in latino la firma del suo autore: «Opus mevs Nicholavs Brancalew Venetus».
Non lontano da questo luogo di culto, nella chiesa di Getesemane Maryam nel Goggiam, fu ancora Diana Spencer a scoprire un grande trittico raffigurante la Dormizione della Vergine sul pannello centrale e santi cavalieri su quelli laterali. Sul retro della tavola centrale era leggibile un’iscrizione: «NIC BRA».
La sigla, presente anche nel libro di miniature di Wafa Iyasus, era evidentemente l’abbreviazione del nome di Brancaleone. La terza opera autografa del pittore veneziano è un trittico acquistato dall’Institute of Ethiopian Studies di Addis Abeba (IES mus. 4191) nel 1968 con le raffigurazioni delle storie di san Giorgio. Nel pannello centrale campeggia l’immagine del santo nell’atto di uccidere il drago. Nel registro in basso sono ritratti tre santi locali, Takla Haymanot, Ewostatewos e Kiros. I pannelli laterali sono occupati dalle scene del martirio di san Giorgio rappresentate in otto distinti riquadri. La parte superiore della tavola appare maldestramente restaurata, probabilmente nel XVII secolo, per cui la testa e le mani del santo non sono più quelle originali. Il dipinto reca l’iscrizione: «Io, Marqoryos, l’europeo [“afrenĝi”], ho dipinto questa pittura». Recentemente sono state riconosciute come autografe altre due opere del pittore.