Studi e riscoperte. 1
L’influsso della pittura veneziana in Etiopia

uno stranieroalla corte del re

Nel XV secolo diversi pittori europei raggiungono l’Etiopia. Tra questi il veneziano Nicolò Brancaleone che ebbe un’influenza fondamentale sull’arte del paese africano, dove lavorò per più di quarant’anni.
In base agli studi sino a ora condotti molte sono le opere attribuite a lui o al suo atelier, ma pochissime autografe.

Lorenza Mazzei

Lo sviluppo delle relazioni tra l’Etiopia e l’Occidente nel XV secolo ha avuto profonde ripercussioni sull’arte etiopica che di questi ripetuti contatti porta evidenti segni in tutta la sua produzione. L’Etiopia diventa cristiana nel IV secolo e inizia a rifornirsi dei propri oggetti liturgici in Egitto e a Gerusalemme. I veneziani vantano una secolare attività marinara e grazie alla loro presenza a Creta, luogo di produzione di icone destinate alle comunità cristiane orientali, sono nella posizione migliore per entrare in contatto con gli etiopi. 

La storia ha conservato poche tracce dei pittori europei che si sono messi in cammino verso l’Etiopia. Molti di loro non hanno mai raggiunto la destinazione a causa delle condizioni estreme del viaggio; altri, che vi sono arrivati, non hanno fatto più ritorno nella terra d’origine poiché era usanza che il re d’Etiopia, un po’ per comprensibile sospetto verso gli stranieri e un po’ per necessità di artigiani qualificati, dopo averli ricompensati con ricchezze e privilegi, non li lasciasse più ripartire. 

Nel 1480 giunge alla corte del re Eskender (1478- 1494) «Miser Nicolo Branchalion venetiano» (Nicolò Brancaleone) assieme ad altri quattro compagni, secondo la testimonianza di Giovanni Battista da Imola che lo incontra durante un viaggio in Etiopia nel 1482-1483(1).


Le opere illustrate in questo articolo sono state realizzate da Nicolò Brancaleone tra il 1480 e il 1520. Crocifissione, da un album di miniature, Goggiam, chiesa di Wafa Iyasus.

(1) O. G. S. Crawford, Ethiopian Itineraries circa 1400-1524, Cambridge 1958; S. Tedeschi, “La première description de l’Éthiopie imprimée en Occident”, in Études éthiopiennes. Actes de la Xe conférence internationale des études éthiopiennes, a cura di C. Lepage, vol. 1, Parigi 1994, p. 155.

Brancaleone narra le storie cercando di rendere naturalistica l’espressione del volto dei personaggi


La presenza di Brancaleone nel paese è confermata nel 1520 da Francisco Alvarez(2), il cappellano al seguito dell’ambasciata portoghese, che riferisce di aver conosciuto alcuni stranieri residenti da tempo alla corte etiopica tra cui il veneziano Marcoreo che dice di chiamarsi Nicolao Brancaliam. Quando il re Lebna Dengel (regnante fra il 1508 e il 1540) invita il missionario a visitare una chiesa dedicata a san Giorgio, Alvarez nota che le pareti interne sono interamente decorate da pitture mirabilmente eseguite e autografate da Brancaleone. 

Il nome del pittore veneziano compare successivamente in uno scritto del gesuita Gaspare Paez che riferisce di aver trovato un dipinto di san Nicola nel monastero di Dabra Pantalewon, nel Tigray. La pittura viene descritta come antica e di buona mano e, inoltre, nel registro in basso riporta un’iscrizione in latino: «Nicolaus Venetus»(3)

Molte furono le opere prodotte da Brancaleone, risultato di una vivace e costante attività che durò oltre quarant’anni. Allo stato attuale delle conoscenze sono stati attribuiti alla sua mano svariati lavori ma, escluse le pitture citate nei racconti dei due missionari e andate disperse, esistono solo tre opere autografe. Nel 1973 la studiosa Diana Spencer(4), impegnata in una ricerca sulle icone di san Luca in Etiopia, trovò un oggetto di grande importanza per la storia della pittura etiopica. Si trattava di un album di miniature recante una cinquantina di illustrazioni. Il libro, conservato nella chiesa di Wafa Iyasus nel Goggiam, era appartenuto a Walatta Dengel, probabilmente la sorella del re Lebna Dengel. Ciò che lo rendeva straordinariamente interessante era che sul foglio venti, in calce all’immagine del battesimo, recava in latino la firma del suo autore: «Opus mevs Nicholavs Brancalew Venetus». 

Non lontano da questo luogo di culto, nella chiesa di Getesemane Maryam nel Goggiam, fu ancora Diana Spencer a scoprire un grande trittico raffigurante la Dormizione della Vergine sul pannello centrale e santi cavalieri su quelli laterali. Sul retro della tavola centrale era leggibile un’iscrizione: «NIC BRA». 

La sigla, presente anche nel libro di miniature di Wafa Iyasus, era evidentemente l’abbreviazione del nome di Brancaleone. La terza opera autografa del pittore veneziano è un trittico acquistato dall’Institute of Ethiopian Studies di Addis Abeba (IES mus. 4191) nel 1968 con le raffigurazioni delle storie di san Giorgio. Nel pannello centrale campeggia l’immagine del santo nell’atto di uccidere il drago. Nel registro in basso sono ritratti tre santi locali, Takla Haymanot, Ewostatewos e Kiros. I pannelli laterali sono occupati dalle scene del martirio di san Giorgio rappresentate in otto distinti riquadri. La parte superiore della tavola appare maldestramente restaurata, probabilmente nel XVII secolo, per cui la testa e le mani del santo non sono più quelle originali. Il dipinto reca l’iscrizione: «Io, Marqoryos, l’europeo [“afrenĝi”], ho dipinto questa pittura». Recentemente sono state riconosciute come autografe altre due opere del pittore.


Arresto di Gesù. Da un album di miniature, Goggiam, chiesa di Wafa Iyasus.


Trittico con la Dormizione della Vergine, apostoli e santi cavalieri, intero, Goggiam, chiesa di Getesemane Maryam.

(2) F. Alvares, The Prester John of the Indies: a True Relation of the Lands of the Prester John, Being the Narrative of the Portuguese Embassy to Ethiopia in 1520, Cambridge 1961.
(3) G. Paez, Lettera annua di Ethiopia del mese di Luglio dell’anno 1625 insino a quello 1626, Roma 1628, pp. 194-195.
(4) D. Spencer, Travels in Gojjam: St. Luke Ikons and Brancaleon Re-discovered, in “Journal of Ethiopian Studies”, 12/2 (1974), pp. 201-220; Ead., The Discovery of Brancaleon’s Painting, in Proceedings of the First International Conference on the History of Ethiopian Art, October 21-22, 1986, Londra 1989, pp. 53-55, 152-153.

Rivolgo un particolare ringraziamento alla professoressa Ewa Balicka-Witakowska dell’Università di Uppsala per il prezioso e raro materiale di documentazione fotografica proveniente dal suo archivio personale. Va inoltre un doveroso ringraziamento al professor Gianfrancesco Lusini dell’Università L’Orientale di Napoli per la revisione dei dati linguistici.

Trittico con la Dormizione della Vergine, apostoli e santi cavalieri, particolare, Goggiam, chiesa di Getesemane Maryam.


Trittico con la Dormizione della Vergine, apostoli e santi cavalieri, particolare, Goggiam, chiesa di Getesemane Maryam.

La prima è un dittico trovato da Diana Spencer nella chiesa di Getesemane Maryam nel Goggiam e conservato oggi nel museo dell’Institute of Ethiopian Studies. Sul pannello di sinistra è raffigurata la Vergine col Bambino e arcangeli; su quello di destra i dodici apostoli frontalmente appaiati in due file parallele. Sul retro è stata identificata l’iscrizione, in latino e in greco, del nome di Brancaleone. L’altra opera è ancora un dittico che fa parte attualmente della collezione Sam Fogg (Londra). Vi sono rappresentati Maria col Bambino su una tavola, e gli apostoli sull’altra. Il retro appare siglato con l’abbreviazione «NIC VE». Lo studio delle opere autografe ha permesso, per evidente prossimità iconografica e stilistica, l’attribuzione a Brancaleone, o quantomeno al suo atelier, anche dei lavori che non recano la firma dell’autore. Tra questi, a titolo di esempio delle novità introdotte dal pittore veneziano nell’iconografia etiopica, meritano di essere presi in esame due pannelli dipinti trovati da Diana Spencer nella chiesa di Getesemane Maryam nel Goggiam. L’opera di Brancaleone era servita in questo caso a decorare internamente i battenti della scatola in cui era, ed è custodita ancora oggi, l’icona di Maria, Se’ela Sergut, ritenuta dipinta da san Luca e portata, secondo la tradizione, dal re Dawit (1379/1380-1413) dall’Egitto. Sul pannello di destra sono raffigurate scene di Crocifissione, Deposizione e Flagellazione. La Deposizione in particolare è rappresentata secondo la tradizione ortodossa ma con il corpo del Cristo nelle braccia della Madre, alla maniera occidentale. Più simile a una Lamentazione che a una Deposizione (vedi Giotto, Compianto sul Cristo morto, Padova, cappella degli Scrovegni) è chiaramente ispirata ai dipinti dei pittori veneziani e italo-cretesi di cui sicuramente Brancaleone era a conoscenza. La rappresentazione di Maria con il capo scoperto e i lunghi capelli sciolti sulla schiena è inusuale nella pittura etiopica ma sembra essere l’iconografia della Vergine preferita da Brancaleone. La raffigurazione della Flagellazione è assente nelle miniature dei manoscritti etiopici più antichi e fa la sua comparsa proprio nel XV secolo. Brancaleone fu tra i primi a introdurre questo tema nella pittura etiopica, in particolare nella tipologia che mostra Cristo legato a una colonna. Nel pannello a sinistra dell’icona sono raffigurate scene della Resurrezione, Cristo portacroce e Fuga in Egitto. La Resurrezione è rappresentata alla maniera orientale con Cristo che scende nel limbo. Il vessillo che regge nella mano destra, simbolo della vittoria sulla morte, divenne un caratteristico attributo di Cristo nell’iconografia etiopica della Resurrezione. Il particolare disegno, con una croce rossa in campo bianco, ricorda gli stendardi in uso a Venezia. Nella salita al Calvario i soldati che accompagnano Cristo indossano caratteristici copricapi probabilmente ispirati ad analoghi accessori indossati all’epoca di Brancaleone dai veneziani. La Fuga in Egitto è raffigurata invece secondo la tradizione etiopica con Maria non a cavallo dell’asino ma a piedi con il Bambino in braccio, Giuseppe e Salomè.


Trittico con San Giorgio, Abuna Takla Haymanot, Abuna Ewostatewos, Abba Kiros e immagini del martirio di san Giorgio, Addis Abeba, Museo dell’Institute of Ethiopian Studies.

L’istanza naturalistica si manifesta nell’uso del chiaroscuro e nell’intenzione di dare dinamicità e volume alle immagini


L’esame delle opere, autografe e attribuite, ha messo in evidenza che il lavoro del pittore veneziano, nonostante non sia sempre di uniforme qualità, presenta alcune riconoscibili costanti stilistiche. Seguendo una tendenza ereditata dall’arte occidentale, Brancaleone narra le storie attraverso l’uso della linea e del colore cercando di rendere naturalistica l’espressione del volto dei personaggi e la loro gestualità. In questo si coglie una sostanziale differenza rispetto alla pittura tradizionale etiopica in cui è la sola presenza di un personaggio a dare significato alla scena raffigurata. L’istanza naturalistica della pittura di Brancaleone si manifesta soprattutto nell’uso del chiaroscuro e nell’intenzione di dare dinamicità e volume alle immagini attraverso l’elaborato disegno delle vesti indossate dai personaggi. 

Brancaleone presta particolare attenzione al disegno dei copricapi realizzati in una grande varietà di forme che probabilmente rispecchiavano la moda veneziana dell’epoca. In questo senso nei suoi dipinti sembrano essere scarsi i riferimenti al contesto etiopico rispetto alla rappresentazione di personaggi e attributi di derivazione occidentale: anche i santi locali sono abbigliati in sontuosi abiti veneziani e indossano cappelli che ricordano il copricapo ufficiale del doge.
Giudicata in base agli standard europei, la sua pittura non va oltre l’opera di un modesto artigiano. Limitate qualità e probabilmente scarso, o nullo, apprendistato artistico prima della partenza per l’Etiopia sono le cause di un’evidente mediocrità tecnica che sembra non corrispondere alla riconosciuta notorietà che il pittore acquisì in Etiopia. Tuttavia l’impatto di Brancaleone sulla pittura tradizionale etiopica fu significativo e durevole. Alcuni temi iconografici ricevettero il suo contributo e altri furono creati dal pittore in maniera assolutamente originale. In questo senso il contributo di Brancaleone alla storia dell’arte etiopica è fondamentale e i suoi modelli iconografici sono stati a lungo ripetuti e tramandati all’interno di una tradizione che nel suo continuo rinnovarsi, attraverso fertili contaminazioni esterne, ha mantenuto vivi i suoi più autentici caratteri di originalità.


Pannelli della scatola contenente l’icona sacra della Vergine (Se’ela Sergut): pannello di destra, Resurrezione, particolare, Goggiam, chiesa di Getesemane Maryam.


Pannelli della scatola contenente l’icona sacra della Vergine (Se’ela Sergut): pannello di sinistra, Deposizione, particolare (attribuiti a Brancaleone), Goggiam, chiesa di Getesemane Maryam.

ART E DOSSIER N. 330
ART E DOSSIER N. 330
MARZO 2016
In questo numero: VENEZIA DOCET Un pittore per il re d'Etiopia; La maniera veneta; Il libro e la pittura; L'oriente di Zecchin. PALMIRA I ritratti sopravvissuti allo scempio. IN MOSTRA Schiavone, Manuzio, Giardini, Art Brut.Direttore: Philippe Daverio