La certosa assolve a una multipla funzione museale
È grazie all’intervento di Giuseppe Fiorelli, soprintendente generale degli Scavi di antichità, figura chiave per la tutela del patrimonio culturale campano, che nel 1866 la certosa scampa al pericolo di un’ulteriore destinazione d’uso che ne avrebbe compromesso la qualità artistica, in quanto viene inserita nell’elenco degli Edifici monumentali del Regno d’Italia e acquisita come sezione staccata del Museo nazionale (l’attuale Museo archeologico), dove ospitare la biblioteca (oggi presso la Biblioteca nazionale a Palazzo reale), la pinacoteca (che invece andrà al museo di Capodimonte nel 1957) e i «monumentali ricordi» che avrebbero ricostruito la storia della città.
La certosa assolve così a una multipla funzione museale, valida ancora oggi, come luogo storico della vita dei certosini e testimonianza dello sviluppo artistico manifestatosi a Napoli dal XIV al XVIII secolo, ma anche come museo “della città”, intendendo uno spazio che ospita la memoria della storia del capoluogo campano fino all’Ottocento borbonico, dagli stemmi ai cimeli, alle navi, carrozze, ceramiche, fino ai presepi, esempi pregiati di una manifattura artistica e protoindustriale.
Nella successione degli allestimenti novecenteschi, la ricca raccolta di sculture ed epigrafi si è spostata di livello, passando dalle sale del lato nord del Chiostro grande e del noviziato ai sotterranei (a opera di Bruno Molajoli nel secondo dopoguerra), restaurati con un contributo del Rotary nel 1986. Qui hanno trovato sede i portali catalani (XV-XVI secolo) in tufo e piperno scampati alle demolizioni del “risanamento” del 1884 (operazione di riqualificazione urbana di fine Ottocento - per certi aspetti speculativa - volta a contrastare i numerosi episodi di colera nei quartieri del centro antico e del porto), ricomposti per anastilosi, cioè rimontando i pezzi originali.
Il restauro dell’intero complesso monumentale, diretto da Adele Pezzullo, inizia nel 1993 e si conclude nel 2000 con l’apertura della chiesa - uno scrigno barocco dove si scatena il meglio della cultura sei-settecentesca meridionale con gli affreschi di Giovanni Lanfranco, i dipinti della scuola napoletana dal protocaravaggesco Battistello Caracciolo, fino a Massimo Stanzione, Ribera, alle invenzioni di Francesco Solimena e Giuseppe Sanmartino, tutto all’interno della struttura gotica dalle volte a crociera del coro, della sacrestia e della sala del Tesoro nuovo con il Trionfo di Giuditta di Luca Giordano. Si aprono inoltre le sezioni dedicate alle immagini e memorie della città, le collezioni di arti decorative, teatrali, le vedute, il Museo dell’opera, il Quarto del priore, la spezieria, la sezione navale con la lancia a ventiquattro remi di Carlo di Borbone e il caicco del sultano Selim III donato a Ferdinando IV.
Lo splendido allestimento dei sotterranei è stato completato nel 2000, anno del nuovo ordinamento del museo, ma l’apertura al pubblico è stata possibile solo dal 24 gennaio 2015 in quanto per lungo tempo si è cercato un investitore per gli ambienti antistanti alla sezione espositiva destinati nel progetto alla ristorazione e attualmente ancora non assegnati.
La possente struttura è un susseguirsi di pilastri e volte ogivali di sostegno alla certosa, strutture sulle quali insistono le ali nord-est e del noviziato e che compongono il basamento lungo le pendici della collina: questa parte trecentesca deve aver inglobato la struttura difensiva del castello medievale di Belforte, trasformato nel più moderno Castel Sant’Elmo dal vicerè Pedro de Toledo (1538-1546).