CATALOGHI E LIBRI

FEBBRAIO 2016

NON GLI HO DETTO DEL QUADRO DI OXFORD

La zona di Londra fra lo Strand ed Embankment, quasi in faccia alla ruota di London Eye e poco distante da Trafalgar Square, oggi pullula di negozi, ristoranti, treni e metro. Nel Seicento due residenze con splendidi giardini ospitavano le collezioni di due personaggi che più diversi fra loro non potevano essere. Thomas Howard, conte di Arundel (1585- 1646), immortalato da Van Dyck in un austero ritratto (1620, Getty Museum), abitava nello Strand, in una proprietà demolita nel 1678, nota da incisioni e dai dipinti di Daniel Mytens (ora in Arundel Castle). Il conte, educato alla Westminster School e a Cambridge, fu figura di spicco alla corte di Giacomo I e del figlio Carlo: collezionista d’arte e archeologia, protettore di Rubens, Van Dyck, Inigo Jones, era riservatissimo. Tutto il contrario del duca di Buckingam, al secolo George Villiers, affascinante, spregiudicato e tanto intimo di re Giorgio da esser stato, a quanto si dice, il suo amante, per poi divenire braccio destro del figlio.
Della sua casa sul fiume c’è ancora un suggestivo arco all’italiana, che per le trasformazioni urbanistiche non è più sul Tamigi. Anche lui amico di Van Dyck, che lo ritrasse nudo in veste di Adone con la moglie, possedeva un dipinto del maestro fiammingo con la Continenza di Scipione. A lungo si è pensato che fosse quello conservato alla Christ Church Gallery di Oxford, che invece, come hanno dimostrato prima l’olandese Bert Meijer e poi con dovizia di argomentazioni, Anchise Tempestini e Salvatore Settis (Van Dyck Rubens Van Dyck, Ediart, Todi 2009) fu dipinto da Rubens e non è quello che sembra. La vera Continenza di Scipione di Van Dyck è di un collezionista fiorentino, che per anni si è battuto per la giusta attribuzione. Questi, in sintesi, gli antefatti del trascinante romanzo di Titomanlio, che con nomi fittizi ma assolutamente riconoscibili, ci conduce in una fiction piena di rimandi reali nei meandri di uno dei tanti scandali del mondo dei musei (e di storici dell’arte talvolta non proprio corretti, diciamo così).

Carlo Titomanlio La Casa Usher, Lucca 2015 265 pp.; 8 tavv. f. t. a colori € 17

LA TAVOLA DI DIO

Il contenuto di questo libro, divertente e attendibile, si spiega in parte nel sottotitolo: «L’Ultima cena. Che cosa mangiarono Gesù e gli apostoli e che cosa gli hanno fatto mangiare i pittori di tutti tempi. Quadri, ricette, inferno e paradiso». Dunque, seguendo la formula di “domanda e risposta”, Lauretta Colonnelli illustra in modo originale un tema iconografico fra i più amati e complessi dell’Occidente cristiano: l’Ultima cena. Per incuriosire, qui riportiamo alcune fra le tante domande, ma non forniamo le soluzioni (a molti dei quesiti francamente non avremmo saputo rispondere). Allora, fra le tante, in ordine sparso: «Chi pagò il conto dell’Ultima cena di Gesù?». Veniamo così a sapere che gli ebrei forniscono una ricostruzione molto umoristica. «Quale pittore inserì le donne nella scena dell’Ultima cena?». «Chi ha riprodotto la Cena di Leonardo in sciroppo di cioccolato? ». Oltre l’apparenza “leggera”, il libro indaga un’iconografia dagli innumerevoli risvolti teologici e sociali. E anche gastronomici.


Lauretta Colonnelli Edizioni Clichy, Firenze 2015 240 pp., 50 ill. b.n e colore € 29

CACCIATORI D'ARTE

I mercanti di ieri e di oggi
Yann Kerlau è un distinto signore che abita in un’antica dimora in Provenza, circondato da giardini ben curati e con una formidabile biblioteca di famiglia. Un uomo amabile, si direbbe d’altri tempi, nonostante la non tarda età. Prima di dedicarsi alla scrittura (fra gli altri libri usciti in Francia, una monografia su Cromwell), è stato avvocato a New York e Parigi, poi direttore generale di Gucci. Questo suo libro sui mercanti d’arte c’è parso subito un gioiello, non solo per la ricchezza d’informazioni e l’attendibilità delle fonti, ma anche per l’intelligente composizione, tutt’altro che scontata, vista la vastità degli argomenti trattati in otto saggi, ciascuno di poche decine di pagine. Kerlau non solo si è avventurato a descrivere, con una scrittura vivace e impeccabile, le vicende dei pionieri del mercato internazionale dell’arte, ma con padronanza, e anche un pacato ma inappellabile giudizio critico, ha ritratto alcune fra le più note figure di galleristi oggi settantenni, dalla fama acclarata ma anche discussa e discutibile: l’algida Ann Freedman della Knoedler di New York, galleria di proprietà degli Hammer, coinvolta in un clamoroso scandalo di falsi (di Pollock e Rothko, per intendersi), venduti a ignari finanzieri a prezzi da capogiro; il geniale e spregiudicato pubblicitario Charles Saatchi, che assieme a Larry Gagosian («lo squalo dalla scia d’oro»), fa ancora il bello e il cattivo tempo nel mercato plurimiliardario degli artisti di oggi. Sono loro, nel bene e nel male, gli eredi di storiche figure, certamente più preparate culturalmente, come Durand-Ruel, più «amatore illuminato» che mercante; Vollard, ritratto dal Picasso cubista, Kahnweiler, che con alterne fortune fu considerato il padre del cubismo. E ancora l’appassionata Peggy Guggenheim, e lo sfortunato Théodore Duret, al quale gli impressionisti devono la conoscenza dell’arte giapponese, e i giapponesi l’incontro con gli impressionisti. Un libro colto e avvincente, alla portata di tutti, dove le vicende individuali s’intrecciano alla Storia.

Yann Kerlau traduzione dal francese di Ximena Rodríguez Bradford Johan & Levi editore, Monza 2015 252 pp.; 8 ill. b.n. € 25,00

GILLO DORFLES GLI ARTISTI CHE HO INCONTRATO

Ormai è un luogo comune insistere sulla longevità di Gillo Dorfles e sulla sorprendente lucidità della sua mente. Resta però doveroso, per i pochi che non lo sanno, ricordare che il venerando, magnifico critico d’arte, nato a Trieste nel 1910, è ancora sulla breccia. Elegante e acuto come sempre (mentre scriviamo è in corso al Museo MACRO di Roma una retrospettiva sui suoi dipinti, fino al 3 marzo). Non solo filosofo e saggista, Dorfles è infatti artista lui stesso, e nel 1948 è stato cofondatore, con Bruno Munari e altri, del movimento Arte concreta. Qui preme tornare alla sua prolifica attività di critico, testimoniata da un volume monumentale con i suoi scritti dagli anni Trenta a oggi: un libro che piacevolmente quasi si confonde con l’aspetto amabile dei libroni arancioni Einaudi (senza ovviamente le illustrazioni, data la quantità degli articoli ripubblicati). Escludendo le interviste e i testi generali sulle arti visive, il curatore si è concentrato sui saggi a carattere monografico: un panorama così vasto è senza paragoni nella critica d’arte contemporanea, e nessuno al mondo può vantare di aver scritto dal 1930 ai giorni presenti. Il primo articolo qui pubblicato, su una mostra futurista alla mitica galleria Pesaro di Milano, esce su “Italia letteraria” nel 1931, quando Dorfles ha solo ventun anni, ma già un piglio e un’attitudine critica spiccata. L’ultimo scritto è su due artisti piacentini di fama non acclamata, ispirati alla filosofia zen. Da Carrà a Matisse, da Picasso a Campigli, da Utrillo a Isgrò a decine di altri maestri e movimenti, più o meno noti, italiani e stranieri, il mondo dell’arte e dell’architettura studiato dal critico è tanto vario quanto lo sono le testate (oltre ai cataloghi di mostre) per le quali ha collaborato: “Italia letteraria” (poi divenuta “La Fiera letteraria”), il “Mondo” di Giorgio Bonsanti (poi “Mondo europeo”), “Domus” di Gio Ponti, e molte altre. Un libro da tenere sul comodino, senza stancarsi di leggerlo e consultarlo con ammirazione.


A cura di Luigi Sansone Skira, Ginevra - Milano 2015 864 pp. € 42

ART E DOSSIER N. 329
ART E DOSSIER N. 329
FEBBRAIO 2016
In questo numero: LA PAROLA E LE ARTI Dagli ipertesti medievali ai calligrammi, dal lettrismo a Boetti. BOSCH 500 Gli eventi del quinto centenario del più visionario tra i pittori. IN MOSTRA Hayez, Fattori.Direttore: Philippe Daverio