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di Daniele Liberanome

Il talento di Christopher Wool ha tardato a farsi strada nella consapevolezza di mercanti, collezionisti, galleristi. Alla fine, qualcuno si è dovuto ricredere.

Con prezzi in crescita inarrestabile da tempo e al galoppo sfrenato nel 2015, Christopher Wool (1955) sta rendendo felici i suoi collezionisti e il Guggenheim Museum, ma molto meno chi, pur esperto come i curatori del MoMA, non aveva creduto fino in fondo al suo successo. L’artista, insofferente a qualsiasi etichetta, aveva abbandonato la nativa Chicago, e poi l’accademia in cui si stava formando, per immergersi nel mondo underground di New York. Dalla fine degli anni Ottanta il suo percorso artistico cominciò a prendere una forma definita: lui stesso racconta che un passaggio fondamentale sia stato osservare il cassone bianco di un camion nuovo di zecca, su cui un graffittaro aveva scritto in slang di periferia «sex luv». Da allora, buona parte dei suoi lavori consistono di uno sfondo monocromo bianco, su cui traccia parole o frasi che richiedono tempo per essere decifrate, e che rimandano a un mondo di violenza e di difficoltà. La dimensione perfetta delle lettere, creata meccanicamente, rimanda a un senso di tranquillità e di ordine, ma non riesce a nascondere le grida della società che ci circonda, così come non lo potevano fare le star della Pop Art. La dimensione eccessiva delle lettere, poi, ingigantisce il senso di oppressione, tanto che fin dai primi anni Novanta Wool contava non pochi estimatori. Che il suo Apocalypse Now del 1988, in particolare, fosse un pezzo importante era abbastanza comprensibile fin da allora, anche perché il messaggio è forte e coinvolgente: sulla tela campeggia «Sell House sell car sell kids» (vendi casa, vendi macchina, vendi figli) ossia un richiamo alla frase che nell’omonimo film di Francis Ford Coppola il capitano Kurtz (impersonato da Marlon Brando), militare americano che ha tagliato tutti i ponti con la sua patria e vive fuori da ogni controllo in mezzo alla jungla, scrive alla moglie annunciandole che non sarebbe più tornato indietro. Il riferimento alla guerra del Vietnam viene amplificato eliminando gli articoli che precedevano ogni sostantivo nella frase originale, spostando l’attenzione da una guerra antica ai disagi contemporanei delle giungle urbane. Anche Werner Dennheiser e la moglie Elaine, grandi collezionisti - prima di Picasso e degli impressionisti e poi di arte contemporanea -, rimasero colpiti da Apocalypse Now e lo comprarono a inizio anni Novanta per qualche decina di migliaia di euro. Nel 1996 Elaine, rimasta vedova, decise di lasciare in eredità l’opera al Museum of Modern Art di New York insieme al resto della collezione; ma - primo colpo di scena - il MoMA pensò di non averne bisogno, gli bastava il Wool che già aveva in collezione. Elaine Dennheiser consegnò allora l’opera a Christie’s, stimandola circa 50mila euro: dimostrando di apprezzarla sì, ma non troppo. Prima che venisse presentata in sala, Per Skarsted, uno scaltro dealer, la acquistò privatamente per una cifra compresa fra gli 80 e i 120mila euro; in cambio affidò a Christie’s un altro Wool assai meno importante, dal titolo Fool, che alla fine venne aggiudicato per 330mila euro contro una stima iniziale di 30mila. Si dice che la Dennheiser, presente in sala, sia rimasta scioccata. Skarsted vendette poi Apocalypse Now a Bryant, fondatore della linea di abbigliamento Gap, per circa 350mila euro; l’acquirente, resosi poi conto del messaggio sovversivo del dipinto, lo cedette presto a François Pinault, proprietario di Gucci e di Christie’s, più o meno per quanto l’aveva acquistato. Ma anche Pinault non si rese conto fino in fondo del tesoro che aveva in casa. Visto che possedeva un solo Wool e che di solito, quando sceglie un artista, ne compra diverse opere, lo cedette nel 2005 a David Ganek, esperto di finanza e non solo, per circa 1,6 milioni; Pinault fu felice della plusvalenza, ma solo fino a quando seppe che Ganek aveva rivenduto Apocalypse Now per un multiplo di quanto l’aveva pagato e che il nuovo proprietario il 12 novembre 2013 l’aveva fatto rivenduto da Christie’s per 19,5 milioni, intascando un guadagno “monstre”. Bryant, Pinault e il MoMA potevano ancora giustificarsi sostenendo allora che si trattava di un prezzo elevatissimo, inatteso, che gli altri Wool si vendevano al massimo per 7 milioni. Ma dal 2013 a oggi la situazione di mercato è del tutto cambiata, complice anche una riuscitissima personale dell’artista al Guggenheim, che per l’occasione ha riaffermato il suo ruolo di pietra angolare del sistema dell’arte contemporanea. Il 13 maggio 2014 Christie’s ha aggiudicato If You per oltre 17 milioni di euro e poi il 2015 è stato un susseguirsi incredibile di risultati, record incluso: Riot è stato venduto da Sotheby’s a New York lo scorso 5 maggio per 26,6 milioni. Un’ascesa così impetuosa nelle quotazioni ha trascinato anche altri lavori di Wool più legati all’espressionismo astratto, creati dipingendo fiori sullo sfondo monocromo e poi subito aggiungendo della tinta spalmandola, togliendola, spostandola. Così ha fatto con un Untitled, in bianco e nero e poche aggiunte, aggiudicato da Christie’s a New York il 12 novembre 2014 per 7,1 milioni, o con un altro Untitled con cui ha coperto i fiori con una forte colore giallo e che Christie’s di Londra ha aggiudicato lo scorso 14 ottobre per 6,6 milioni. Le stime, come sempre, sono state polverizzate. Per il mercato di Wool, insomma, sembra che non ci siano limiti di crescita e Pinault e Bryant possono mangiarsi il cappello.


Apocalypse Now (1988).


Riot (1990).

ART E DOSSIER N. 329
ART E DOSSIER N. 329
FEBBRAIO 2016
In questo numero: LA PAROLA E LE ARTI Dagli ipertesti medievali ai calligrammi, dal lettrismo a Boetti. BOSCH 500 Gli eventi del quinto centenario del più visionario tra i pittori. IN MOSTRA Hayez, Fattori.Direttore: Philippe Daverio