Studi e riscoperte. 1
Dall’invenzione dei caratteri grafici ai calligrammi

in bella scrittura

Un certo grado di dotazione estetica è da sempre connaturato alla scrittura. L’invenzione del calligramma ha aggiunto una connotazione di poesia visiva che lo ha reso autonomo dalla semplice attività scrittoria. Ce ne parla qui uno dei nostri autori che è a sua volta, tra l’altro, autore di calligrammi.

Jean Blanchaert

La scrittura è stata bella sin dall’inizio. Le prime lettere, i primi caratteri degli alfabeti antichi, avevano in sé una sorta di bellezza inconsapevole e di meraviglia, un’aura comune a tutte le grandi invenzioni dell’umanità. A parte le incisioni rupestri che risalgono addirittura a quarantamila anni orsono, in un’ampia zona archeologica del Vicino Oriente, sono stati trovati e conservati, nel corso degli ultimi centocinquant’anni, migliaia di gettoni in argilla ascrivibili al IX millennio a.C., di varie forme geometriche, ognuna delle quali designava un prodotto agricolo, oggetto di scambio. 

L’ipotesi dell’archeologa Denise Shmandt-Besserat(*) è che questo sistema di registrazione contenesse già, in nuce, la prima forma riconosciuta di scrittura, cioè quella sumera cuneiforme. Dal IV millennio a.C. infatti, questi gettoni cominciarono a essere messi in sfere di argilla, a mo’ di salvadanaio-archivio, perché non fossero dispersi. I loro simboli grafici venivano incisi sullo strato esterno di queste palle in terracotta affinché si potesse sapere cosa contenevano. A questo punto, il passo da superficie curva a superficie piana è breve e infatti, proprio in quel periodo, nel cuore della medesima area archeologica, a Uruk, a duecentotrenta chilometri a sud-est di Baghdad, scavi a cura dell’Istituto archeologico germanico portarono alla luce, fra il 1928 e il 1976, più di cinquemila tavolette in scrittura cuneiforme, così chiamata perché i caratteri hanno forma di cuneo.


Esempio di calligramma di Guillaume Apollinaire: Cavallo, La colomba pugnalata e Il getto d'acqua, pubblicati nel 1918.


Esempio di calligramma di Guillaume Apollinaire: Cavallo, La colomba pugnalata e Il getto d'acqua, pubblicati nel 1918.

(*) D. Shmandt-Besserat, An archeological recording system and the origin of writing, in “Syro-Mesopothamian Studies”, 1-2, 1977.

Una composizione poetica visuale
fatta per essere guardata,
oltre che per essere letta


Quasi coeva è la nascita in Egitto di quei segni che verranno chiamati geroglifici (dal greco “ieròs”, sacro, e “glyphèin”, incidere). Intorno al XIX secolo a.C. maestranze fenicie che lavoravano nella regione del Sinai e non comprendevano i geroglifici - prerogativa dei sacerdoti egizi - inventarono dei segni convenzionali per poter tracciare le loro iscrizioni. Decisero di usare ventidue fra i più di duemila geroglifici, di adottarne la forma grafica e di farla corrispondere al suono della prima lettera del nome fenicio di quell’immagine. Per esempio, bue o toro, in fenicio, lingua semitica, si dice ‘Alpu, ragione per cui, ancora oggi, la nostra A non è altro che l’ideogramma egizio del bue che guarda in alto, con tanto di corna rivolte verso il basso, a cui i fenici avevano abbinato il suono A. 

Tramite migliaia di geroglifici ci si poteva certamente esprimere con più sfumature e quindi maggiore precisione; ma l’alfabeto fonetico fenicio, con le sue ventidue lettere, consentiva una diffusione molto più ampia della scrittura. 

Le lettere fenicie sono state adottate dalle lingue più diverse, sia semitiche sia indoeuropee. Da una parte la scrittura aramaica, da cui derivano quella ebraica e quella araba; dall’altra, l’alfabeto greco che darà origine ai caratteri latini, gotici e cirillici. Quando scriveva Cicerone, l’alfabeto latino era nato da soltanto tre secoli. Ciò spiega l’incredibile accelerazione del pensiero umano dopo l’avvento delle lettere. Il desiderio d’apprendimento e la capacità di elaborazione si sono lanciati in avanti come fanno i cavalli in pista all’inizio della gara, quando si aprono i cancelli delle gabbie. 

Sia in ambito sumero con il cuneiforme, sia in quello egizio con i geroglifici, sia, più tardi, a partire dal 1200 a.C., in Cina, Corea, in Giappone con gli ideogrammi, la “bella pagina” è quasi sempre presente e spesso la sua composizione misteriosa piena di immagini e di simboli, corrisponde a ciò che qualche millennio dopo sarebbe stato chiamato “calligramma” (dal greco “kalòs”, bello, e “gramma”, lettera), cioè una composizione poetica visuale fatta per essere guardata, oltre che per essere letta, con lo scopo di accrescerne il valore espressivo. 

In ambito semita, partendo dal fenicio e passando dall’aramaico, si arriva all’ebraico e all’arabo; lingue che, anche grazie ai dettami delle loro religioni aniconiche, se a volte sono giunte a delle raffigurazioni è stato per via indiretta, tramite la calligrafia.


Un esempio di Basmala (primo verso di ogni sura del Corano) araba (rifacimento di scrittura del VII secolo).


Akhenaton, Nefertiti e i figli, arte egizia (secolo XIV a.C.), Il Cairo, Museo egizio.


Tavoletta sumera con incisioni cuneiformi (inizi del III millennio a.C.).

Alcuni artisti contemporanei tracciano spesso segni volutamente illeggibili


In Turchia, Persia e India, dal XVII secolo in poi, furono molto popolari i calligrammi zoomorfi, composti con le lettere della Basmala («In nome di Dio, Clemente, Misericordioso»), la formula araba con cui si aprono tutte le sure del Corano. Il calligramma arabo contemporaneo più conosciuto è il logo dell’emittente televisiva del Qatar, Al Jazeera. Significa “penisola” e cerca di imitare la forma geografica dell’emirato. 

In area greco-ellenistica, nel IV secolo a.C., il poeta e filologo Simmia di Rodi, ci ha lasciato tre calligrammi molto simili a quelli di Guillaume Apollinaire dell’inizio del XX secolo, ben duemilatrecento anni dopo. E proprio Apollinaire, padre del calligramma moderno, scrisse: «Per me un calligramma è un insieme di segno, disegno e pensiero. Esso rappresenta la via più breve per esprimere un concetto in termini materiali e per costringere l’occhio ad accettare una visione globale della parola scritta». 

Ma il più famoso calligramma di tutte le epoche è una poesia esoterica che elogia i magici poteri del vino. Si chiama La dive bouteille (“La bottiglia divina”). François Rabelais l’ha scritta in forma di bottiglia. Venne pubblicata nel quinto e ultimo libro del suo Gargantua e Pantagruel ben undici anni dopo la sua morte, nel 1564. 

I calligrafi e i calligrammisti di oggi - per citare alcuni tra i più riconosciuti, Seb Lester, Brody Neuenschwander, Thomas Ingmire e Monica Dengo - sono influenzati da alcune tendenze artistiche contemporanee e tracciano spesso segni volutamente illeggibili che rendono la loro pagina simile a un quadro astratto. Come accadeva con le parole dell’arabo preislamico, la principale intenzione è quella di comunicare uno stato d’animo. Altre volte, invece, sanno far ricorso a una formula figurativa più tradizionale. 

A metà strada tra poesia, illustrazione e grafica, il calligramma non è più soltanto sulla pagina, lo troviamo anche nel cinema, nella pubblicità, nella moda e in architettura.


François Rabelais, La dive bouteille, dall’edizione 1564 di Gargantua e Pantagruel.

Il logo di Al Jazeera.


Monica Dengo, Vorrei che entrassi nel labirinto (monotratto, 2015).


Jean Blanchaert San Francesco dÕAssisi (2012).

ART E DOSSIER N. 329
ART E DOSSIER N. 329
FEBBRAIO 2016
In questo numero: LA PAROLA E LE ARTI Dagli ipertesti medievali ai calligrammi, dal lettrismo a Boetti. BOSCH 500 Gli eventi del quinto centenario del più visionario tra i pittori. IN MOSTRA Hayez, Fattori.Direttore: Philippe Daverio