Primi esempi evidenti di questo nuovo approccio furono i progetti realizzati in Italia dalla Unimark International, una multinazionale del design fondata a Chicago nel 1965 per iniziativa di Massimo Vignelli (1931-2014). Per Unimark lavoreranno molti grafici italiani fra cui spiccano le figure di Heinz Waibl (1931) e Salvatore Gregorietti (1941). Gli uffici di Milano furono guidati a lungo dal designer olandese Bob Noorda (1927-2010), che mise a punto i primi manuali per clienti come Dreher (tra il 1966 e il 1967) e Agip (1971-1974), in cui venivano codificate le regole di impiego di elementi come il logotipo, i caratteri tipografici, i colori di bandiera e le griglie di impaginazione.
Noorda era allora già autore di un progetto pionieristico: il sistema di segnaletica per la Linea 1 della metropolitana di Milano, realizzato in stretta collaborazione con gli architetti Franco Albini e Franca Helg. Tale lavoro, che costituisce ancora oggi un modello di riferimento nel settore del design dell’informazione per i sistemi di trasporto pubblico, fu premiato nel 1964 con il Compasso d’oro e aprì la strada a una serie di interventi che Noorda stesso portò a termine con Unimark per le metropolitane di New York (a partire dal 1966) e di San Paolo del Brasile (dal 1973). Alla fine degli anni Sessanta, anche la Fiat si dotò di un’immagine rigorosa a opera di Giovanni Brunazzi (1938), mentre sistemi di identità visiva ipercodificati, realizzati con il contributo di progettisti provenienti dall’esperienza della Hochschule für Gestaltung di Ulm, venivano sperimentati sia alla Rinascente-Upim (1967- 1969), con la regia di Tomás Maldonado (1922), sia in Olivetti (1971-1977).
Parallelamente il metodo del progetto coordinato veniva applicato anche nel campo dell’editoria dove vari progettisti grafici avevano trovato spazio di azione già nell’immediato dopoguerra. Editori come Giulio Einaudi hanno legato molto presto il proprio nome alla ricerca di qualità anche nella grafica. Dopo le prime collaborazioni con Steiner e Huber, tra il 1956 e il 1958, grazie alla mediazione del responsabile editoriale Oreste Molina, la casa editrice torinese aveva avviato la progettazione di un carattere tipografico specifico per le proprie edizioni: una versione del Garamond che prese il nome dall’azienda bolognese che lo produsse: Simoncini. Tale esperimento restò pressoché isolato nel panorama italiano e il lavoro dei professionisti della grafica si concentrò prevalentemente sull’identità visiva delle collane. Per Einaudi negli anni Sessanta fu Munari a curare l’immagine di collezioni memorabili come “Piccola Biblioteca”, “Nuovo Politecnico” o “Nuova Universale”. A un editore più “generalista” come Mondadori si legarono figure come Anita Klintz (1925-2013), che diede un contributo fondamentale anche alla nascita di Il Saggiatore, e Bruno Binosi (1922) , ideatore della grafica degli “Oscar” nel 1965.
Sulla scia di esempi internazionali come i tascabili dell’inglese Penguin, che negli anni Sessanta furono affidati alla direzione artistica dell’italiano Germano Facetti (1926-2006), l’intervento dei designer contribuì fortemente a trasformare il libro in un prodotto moderno dell’industria culturale. Sostituendo definitivamente la neutralità dell’impostazione tipografica classica, il progetto visivo mirava a garantire riconoscibilità alle collane e, nello stesso tempo, a fornire in copertina un assaggio dei contenuti specifici di ogni singolo titolo.
I grafici italiani riuscirono a tenere in equilibrio questa duplice esigenza, a volte puntando unicamente sull’articolazione visiva della tipografia - è il caso, per esempio, di “I Gabbiani” impostati da Anita Klinz per Il Saggiatore -, altre volte optando per la ripetizione di elementi grafici costanti con leggere variazioni cromatiche o compositive in ogni volume. Il tema della sequenza cinetica fu esplorato per la “Universale Scientifica” Boringhieri da Enzo Mari, che ebbe un ruolo anche nella prima impostazione dei “Classici” Adelphi. In molte altre occasioni, i grafici si affidarono al montaggio e all’elaborazione dell’immagine fotografica, ricercando una capacità di evocazione più immediata. Due esempi per tutti: i tascabili Vallecchi progettati da Mimmo Castellano e la coraggiosa collana Feltrinelli “I franchi narratori”, con il design di Silvio Coppola (1920-1985). Infine, un contributo fondamentale lo diedero anche illustratori come Ferenc Pinter o designer che sono ricorsi frequentemente all’illustrazione come Fulvio Bianconi (1915-1996) e Mario Dagrada (1934).