Fra pubblica utilità
e postmodernismo
(1973-1989)

La crisi petrolifera del 1973 e il generale momento di stagnazione economica nel paese segnarono un crollo definitivo

di quella fiducia nel futuro che aveva caratterizzato l’ascesa della grafica come linguaggio della modernità. 

Gli anni Settanta furono attraversati da spinte sociali e politiche spesso anche violente, ma parallelamente videro l’esplosione creativa, nella scena underground, di una miriade di riviste e pubblicazioni autoprodotte, volantini, ciclostilati, giornali murali. Temi e simboli visivi della controcultura - dai nuovi linguaggi del fumetto e dell’illustrazione fino alle questioni di genere e alla rivoluzione sessuale - invasero persino la comunicazione aziendale, come si vede negli house organ “Caleidoscopio” e “Humus”, che Sassi e il suo socio Albergoni curarono per Busnelli e Iris Ceramiche nello stesso periodo in cui fondavano la casa discografica Cramps. 

In questo periodo, crebbe anche la presenza delle donne attive nella professione che tuttavia, nonostante i cambiamenti in corso, continuarono a incontrare difficoltà di riconoscimento: fra le altre, Adelaide Acerbi Astori (1946-2009), Simonetta Ferrante (1930), e Titti Fabiani (1939). 

Contemporaneamente in Italia si avviava il passaggio verso una società postindustriale, cui corrispondeva una fase di ripiegamento della grande impresa, stretta fra le difficoltà economiche e l’inasprirsi delle lotte sindacali. A diventare sempre più un punto di riferimento per i grafici furono le aziende medie e piccole del made in Italy, che consolidavano in quegli anni il proprio mercato, anche sull’onda del successo internazionale del design italiano, consacrato nel 1972 dalla mostra Italy: the New Domestic Landscape al MoMA di New York. Come si è detto, la collaborazione dei professionisti della grafica con le imprese del design era cominciata già nel dopoguerra: fra i tanti esempi eccellenti, Iliprandi per Arflex, Confalonieri e Negri per Boffi e Tecno, Coppola per Bernini e Tovaglia per Flos(14).


La città allo specchio. Quindici anni di comunicazione murale del Comune di Pesaro nei manifesti di Massimo Dolcini, 1971-1985 (1985), copertina del catalogo a cura di Gaddo Morpurgo.

(14) La grafica del made in Italy, cit.

Gianni Sassi, Arbeit macht frei (1973), copertina del disco degli Area pubblicato con etichetta Cramps Records.


Giancarlo Iliprandi, Design (1970), manifesto per Arflex.

In un periodo di grande fermento sociale, alcuni grafici italiani trovarono nuovo spazio nella comunicazione politica. Nel dopoguerra le uniche esperienze di rilievo legate ai partiti avevano riguardato il Partito comunista italiano, che oltre a collaborare assiduamente con Steiner, si dotò di un ufficio grafico interno(15). A introdurre l’immagine coordinata nel territorio della politica furono due progettisti attivi a Roma: Michele Spera (1937), che mise a punto per il Partito repubblicano italiano un’identità visiva caratterizzata da una sobria sperimentazione formale, corrispondente al profilo degli elettori del Pri ed Ettore Vitale (1936), che nel 1973 avviò una collaborazione più che ventennale con il Partito socialista italiano, reinterpretandone in chiave moderna tutta la simbologia politica, dal pugno chiuso al garofano, fino allo stesso emblema del partito. L’onda lunga del Sessantotto investì tutto l’universo della comunicazione politica e se molti partiti in quegli anni provarono ad appropriarsi dei nuovi linguaggi che nascevano dalla strada(16), “Il manifesto”, che esordì come quotidiano nel 1971, affidò la sua veste grafica prima a Giuseppe Trevisani (1924-1973) e successivamente a Piergiorgio Maoloni (1938-2005), progettista che ha dedicato gran parte della sua carriera all’informazione nella stampa quotidiana.


Michele Spera, Partito repubblicano italiano (1981), manifesti.

Manuale di applicazione del nuovo simbolo del Partito socialista italiano (1979).

(15) B. Magno, Vedere a sinistra, Roma 1991.
(16) W. Gambetta, I muri del lungo ’68, Roma 2014.

L’impegno e la partecipazione caratterizzarono anche la stagione nota come «grafica di pubblica utilità» fra la metà degli anni Settanta e il decennio successivo. Fu Steiner, poco prima della sua scomparsa, avvenuta nel 1974, a coniare l’espressione con l’intento di indirizzare le nuove generazioni verso «le attività di propaganda e diffusione culturale» operate da enti pubblici e istituzioni(17). Sebbene l’origine del fenomeno sia legata a uno dei maggiori protagonisti della scena milanese, l’emergere della nuova committenza di Comuni ed enti locali determinò, in realtà, un primo consistente decentramento dei protagonisti della professione grafica. Furono le Marche a ospitare le prime esperienze significative, che finirono per incarnare due modelli alternativi negli sviluppi successivi della grafica di pubblica utilità: un progetto per il centro storico di Urbino realizzato da Steiner nel 1969 con i suoi allievi dell’ISIA e la felice collaborazione che Massimo Dolcini (1945-2005) instaurò con il Comune di Pesaro. Da un lato, si estendeva il metodo della comunicazione coordinata a un’istituzione pubblica locale e si metteva l’accento sulla segnaletica per i cittadini e i visitatori. Dall’altro, si imponeva l’idea del grafico come “narratore urbano”, che attraverso una lunga serie di manifesti realizzati con un linguaggio immediato e popolare, raccontava sui muri della città iniziative municipali come l’offerta di alloggi pubblici, i consultori familiari o varie iniziative culturali e sportive. 

Dall’esempio di Urbino discende tutta una serie di interventi successivi nel campo dell’immagine coordinata istituzionale, concentrati spesso sulla ricerca di segni originari nel territorio - come avvenne già nel 1974 per la Regione Lombardia a opera di Munari, Noorda, Sambonet e Tovaglia - o sulla ridefinizione della simbologia araldica, tema sul quale si sono cimentati numerosi grafici fino a oggi(18). A questo filone si possono ricondurre anche una serie di importanti esperienze nel campo della segnaletica come quelle di Giulio Cittato (1936-1986) per l’azienda di trasporti pubblici Actv di Venezia e di Mimmo Castellano per il comprensorio turistico delle isole Eolie, entrambe avviate nel 1976. 

Al lavoro di Dolcini è invece accostabile quello di molti altri grafici che si allontanarono dall’approccio modernista affermatosi nel primo dopoguerra, per abbracciare modalità più vicine all’“altra grafica”, recuperando tecniche di produzione artigianali e soluzioni stilistiche maggiormente dense, che richiedevano tempi di lettura più lenti. Fra gli altri, rispondono a queste caratteristiche il lavoro di Franco Balan (1934-2013) in Val d’Aosta, di Mario Cresci (1942) a Matera e dello Studio Graphiti di Andrea Rauch (1948) e Stefano Rovai (1958) a Firenze. Queste e molte altre vicende della pubblica utilità, da Napoli a Modena, da Ravenna a Venezia, furono presentate e discusse in occasione della I Biennale della grafica di Cattolica nel 1984 e di una grande mostra tenutasi al Centre Pompidou di Parigi (Images d'Utilité Publique, 1988). Tuttavia, proprio nel momento di massima affermazione e notorietà internazionale, in cui si provava a fare il bilancio di un’intera stagione, si avvertivano i primi segnali di crisi, dovuti soprattutto alla difficoltà sempre più evidente di tracciare una linea di confine netta fra comunicazione commerciale e pubblica, politica o sociale.


Enzo Mari, Un exemple de design italien (1973), manifesto per Danese.


Franco Balan, Foire d’Eté de l’Artisanat Typique Valdôtain Région Autonome Vallée d’Aoste (1992), bozzetto del manifesto.

(17) A. Steiner, La grafica degli Enti Pubblici, in “Linea Grafica”, 1 (gennaio-febbraio), 2 (marzo-aprile), 3 (maggio-giugno), 1973.
(18) Disegnare le città, a cura di A. Rauch, G. Sinni, Milano 2009.

Con l’approssimarsi degli anni Ottanta, il clima culturale e gli orientamenti estetici stavano mutando rapidamente e anche nella grafica si facevano sempre più evidenti i sintomi dell’incrinarsi delle certezze del movimento moderno. Già nel decennio precedente si era diffuso un ritorno a modalità e strumenti di espressione più personali che sostituivano spesso la fotografia e la tipografia con l’illustrazione e il lettering disegnato. L’eclettismo ironico di una realtà come il Push Pin Studios di New York, in grado di attingere liberamente a una grande varietà di ispirazioni, ebbe una forte influenza nel nostro paese attraverso i lavori italiani di Milton Glaser e soprattutto di John Alcorn (1935-1992), che nei primi anni Settanta instaurò una duratura collaborazione con “BUR” di Rizzoli(19)

Il recupero e la stratificazione di motivi decorativi e la contaminazione di segni del passato con elementi contemporanei si ritrovano - in chiave più esplicitamente postmoderna - nel primo lavoro di Studio Tapiro (1979) per la Biennale di Venezia, con cui nel 1984 Enrico Camplani (1953-2013) e Gianluigi Pescolderung (1953) avviarono un lungo sodalizio. Come accadeva parallelamente nell’arte, nell’architettura e nel design, si assisteva un po’ ovunque nella grafica a una generale insofferenza verso le formule più ortodosse del modernismo. Tuttavia, in Italia - a differenza di ciò che accadde in ambito internazionale - ciò non si tradusse in una messa in discussione netta dei fondamenti della professione. I grafici formatisi nell’ambito della cultura milanese operarono piuttosto un recupero meditato di elementi tratti dalla tradizione tipografica o dell’opera dei primi maestri del moderno. Lo si può vedere, pur con modi e linguaggi molto differenti, nel lavoro di Bruno Monguzzi (1941), ultimo svizzero a collaborare con Boggeri, di Armando Milani (1940), dal 1977 attivo con il fratello Maurizio (1955) anche a New York, di Italo Lupi (1934), progettista che ha ridefinito l’immagine della Triennale e ha legato il suo nome a riviste come “Domus” e “Abitare”, e di Pier Luigi Cerri (1939) anch’egli proveniente da una formazione architettonica e molto attivo nel campo degli allestimenti e dell’editoria. Un’esperienza peculiare è poi quella del grafico-editore Franco Maria Ricci (1937), che con i suoi libri e il mensile “FMR” è riuscito a rigenerare lo spirito e la lettera del neoclassicismo bodoniano.


Stefano Rovai (Graphiti), L’arte dei sogni. Parola, musica e materiali nel Teatro Ragazzi (1989), Comune di Grosseto, manifesto.


Studio Tapiro, XLI Esposizione Internazionale d’Arte: Biennale di Venezia (1984), manifesto. Fu Paolo Portoghesi l’interlocutore di Tapiro in questo lavoro che ben esprime nella grafica la svolta culturale del postmodernismo.

(19) M. Sironi, John Alcorn, Evolution by design, Milano 2013

Italo Lupi (con Steven Guarnaccia), Domus il design rivelato (1988), manifesto per “Domus”.


Christoph Radl, Maria Marta Rey Rosa, Sottsass Associati, Cataloghi Memphis (1982-1987), copertine.

Francesco Messina, La voce del padrone (1981), copertina del disco di Franco Battiato pubblicato con etichetta Emi.


Pier Giorgio Meloni, “Il Manifesto” (1988), prima pagina.


Bruno Monguzzi, Processo per il Museo-Brera (1977), manifesto.

Una rottura delle regole del “buon progetto” si intravede maggiormente in vicende laterali rispetto alla cultura del design grafico. Lo stilista Elio Fiorucci (1935-2015), per esempio, nel costruire un immaginario mutevole e caleidoscopico per il suo marchio, ha messo in crisi, fra anni Settanta e Ottanta, ogni concezione “hard” dell’identità visiva, mostrando come flessibilità, incoerenza e pastiche possano rivelarsi di grande efficacia comunicativa. Una logica simile, di recupero ironico del kitsch e di celebrazione dell’ambiguità, seguirono in modo più intenzionale le manifestazioni grafiche del nuovo design italiano degli anni Ottanta: Alchimia e Memphis. Infine, rientrano a tutti gli effetti nelle espressioni grafiche del postmodernismo l’estetica ibrida introdotta da Mario Convertino (1948-1996) nella trasmissione tv Mister Fantasy e le culture visive alternative del Movimento del ’77, legate ad ambiti come il fumetto, la musica punk e new wave, fra cui la rivista “Frigidaire”, con progetto grafico di Stefano Tamburini(20)

Già nella seconda metà del decennio, tuttavia, diventava evidente come a stravolgere radicalmente i fondamenti della professione del grafico sarebbe stata - più che l’estetica del postmoderno - l’adozione sempre più diffusa del computer e dei software per la progettazione. La tecnologia digitale - vista ora come opportunità ora come minaccia - è stata inevitabilmente al centro della scena nella pratica e nel dibattito recente sulla grafica italiana.


Vittorio Spaggiari, Fiorucci (1976), manifesto.

(20) C. Branzaglia, Marginali. Iconografie delle culture alternative, Roma, 2004.

Franco Maria Ricci, Giulio Confalonieri, “FMR” (n. 1, marzo 1982), copertina.


Stefano Tamburini, “Frigidaire” (n. 1, 1980), copertina.


Pierluigi Cerri, Futurismo & Futurismi (1986), manifesto.

GRAFICA ITALIANA DAL 1945 A OGGI
GRAFICA ITALIANA DAL 1945 A OGGI
Carlo Vinti
Un dossier dedicato alla grafica italiana dal 1945 a oggi. In sommario: La nascita della grafica moderna in Italia; La ''terza via'' della grafica italiana (1945-1961); Dall'immagine coordinata all'''altra grafica'' (1961-1973); Fra pubblica utilità e postmodernismo (1973-1989); L'era digitale: dal 1989 a oggi. Come tutte le monografie della collana Dossier d'art, una pubblicazione agile, ricca di belle riproduzioni a colori, completa di un utilissimo quadro cronologico e di una ricca bibliografia.