La “terza via”
deLLa grafica itaLiana
(1945-1961)

La vicenda della grafica italiana si è sviluppata nei primi due decenni del dopoguerra prevalentemente nel Nord del paese.

Non mancarono esperienze significative a Genova e a Torino, le altre due città dell’allora triangolo industriale, ma il polo principale fu ancora Milano, che divenne in quegli anni un grande centro di attrazione per designer provenienti da altre zone d’Italia e dall’Europa. 

All’uscita dal conflitto bellico, i grafici che avevano esordito durante il fascismo ripresero a lavorare in una Milano semidistrutta, che tuttavia si avviava a vivere un momento di grande vitalità economica e culturale. Alcuni di loro avevano partecipato alla Resistenza, progettando fra l’altro materiali per la stampa clandestina e lavorarono negli anni della ricostruzione animati da un forte impegno civile e politico. 

Emblematico da questo punto di vista è il caso di Albe Steiner (1913-1974) che, partigiano in val d’Ossola, nel 1945 fu con Gabriele Mucchi il regista delle mostre della Liberazione e della Ricostruzione e - nel corso della sua intensa carriera, condotta sempre insieme alla moglie Lica Covo (1914-2008) - collaborò assiduamente con il Partito comunista italiano. Il suo lavoro con Elio Vittorini per il periodico “Il Politecnico”, pubblicato da Einaudi tra il 1945 e il 1947, fu la prima di una lunga serie di collaborazioni fra intellettuali e grafici, animata da una forte istanza di democratizzazione della cultura.


Max Huber, Gran Premio dell’autodromo di Monza (1948), manifesto.


Albe Steiner, Mostra della ricostruzione. I C.N.L. al lavoro (1945), manifesto.

Con Steiner in quegli anni lavorò frequentemente Max Huber (1919-1992), che - formatosi alla Kunstgewerbeschule di Zurigo - dopo un primo soggiorno presso lo Studio Boggeri nel 1940, nel dopoguerra si fermò stabilmente a Milano. I suoi progetti, dall’immagine dell’VIII Triennale di Milano del 1948 alla celebre serie di manifesti per l’Autodromo di Monza, combinavano una gestione misurata e tecnicamente impeccabile degli strumenti tipografici con effetti spettacolari di tensione spaziale, dinamismo e moltiplicazione cromatica. 

Tale sintesi fra rigore progettuale e libertà di sperimentazione divenne presto un tratto caratterizzante della grafica italiana. La scuola di progettisti che si formò a Milano nell’immediato dopoguerra fu alimentata da costanti contatti con l’ambiente della grafica europea e in particolare con la Svizzera. Dopo Huber, arrivano in Italia - quasi sempre passando per lo Studio Boggeri - molti altri designer elvetici fra cui Aldo Calabresi (1930), Lora Lamm (1928), Walter Ballmer (1923-2011) e, per un breve periodo, anche Carlo Vivarelli (1919-1986), che fu in seguito fra i maggiori esponenti della Neue Grafik elvetica(5). Tuttavia, la grafica italiana ha sempre mostrato una visibile distanza dagli orientamenti maturi della scuola svizzera, caratterizzati da una tenace ricerca di neutralità e chiarezza informativa e dall’uso di griglie modulari costruite su base matematica. 

Il risultato dell’incontro fra i grafici milanesi e la cultura progettuale d’oltralpe fu un modernismo atipico, aperto a influenze eclettiche e fatto di più voci, ognuna con una forte autonomia e riconoscibilità. Una sorta di “terza via”(6) tra la linea austera e funzionale di matrice svizzera e modelli più legati all’immediatezza espressiva, alla manualità del disegno o a soluzioni surreali e umoristiche, presenti in quegli anni, per esempio, nella grafica polacca, francese e in alcune declinazioni di quella statunitense. 

Il carattere aperto e non dogmatico di quello che è stato definito anche Milanese Style(7), in parte deriva dall’assenza in Italia di istituzioni didattiche consolidate, come quelle su cui potevano contare i grafici svizzeri. Più che totalmente autodidatti, tuttavia, i maggiori esponenti della grafica italiana del dopoguerra provenivano da esperienze formative diverse: scuole di arti e mestieri, accademie di belle arti, corsi di architettura ecc. I grafici italiani, d’altra parte, sentirono presto il bisogno di trasmettere attraverso la didattica il bagaglio di conoscenze che acquisirono rapidamente. Oltre che insegnare alla Scuola del libro dell’Umanitaria di Milano, molti di loro parteciparono ai primi tentativi di elevare il livello della formazione oltre le competenze tecnico-professionali nel settore della stampa: nel Corso superiore di disegno industriale di Venezia (1960- 1972) e allo CSAG - Corso superiore di arte grafica di Urbino (1962, poi ISIA). 

Negli anni Cinquanta, in effetti, si allentò progressivamente il legame con i tipografi e con la cultura tipografica, che avevano rappresentato il punto di partenza per figure come Muratore, una delle personalità più versatili del dopoguerra, autore della prima immagine del Piccolo teatro di Milano. La rivista “Linea Grafica”, che iniziò le sue pubblicazioni nel 1945 con la direzione di Attilio Rossi, raccoglieva idealmente l’eredità di “Campo Grafico”, ma si distaccò sempre più dall’ambiente degli stampatori per diventare vetrina e arena di dibattito dedicata alla nuova professione del graphic design, riconosciuta ormai a livello internazionale.


Albe Steiner, “Il Politecnico” (1945), prima pagina. Il tentativo di Steiner fu di facilitare l’accesso ai contenuti attraverso l’articolazione visiva degli elementi grafici e l’impiego massiccio della fotografia.


Aldo Calabresi (Studio Boggeri), Prodotti Roche (1960), annuncio.

(5) R. Hollis, Swiss Graphic Design, New Haven 2006.
(6) La definizione è di Bruno Alfieri in “Pagina”, 6, gennaio 1965.
(7) R. Hollis, Graphic Design, Londra 1994.

Bruno Munari, “Linea Grafica”, (n. 7-8, 1954), copertina.


Franco Grignani, Alfieri & Lacroix (1957 e 1958), annunci. L’opera di Grignani si caratterizza per la ricerca di effetti ottici attraverso distorsioni, dilatazioni e sovrapposizioni. In questi annunci Grignani inseriva, anche nei testi, riferimenti all’evoluzione moderna della comunicazione grafica.

Aldo Novarese, Specimen del carattere Recta (1958) copertina.


Giovanni Pellizzari, Condensatori (1953), annuncio.

La cultura tipografica continuò a svilupparsi lungo proprie direttrici, ma i contatti diretti con i protagonisti del design grafico milanese furono sporadici e non sempre felici. È il caso, per esempio, della rilevante e prolifica produzione di Aldo Novarese (1920-1995), dal 1952 alla guida dello Studio artistico della fonderia Nebiolo di Torino. Sue serie di caratteri come il Recta (1958), l’Estro (1961) o l’Eurostile (1962) - e i successivi Magister (1966) e Stop (1970) - hanno connotato fortemente il paesaggio quotidiano dell’Italia moderna. Ancora più distante dalla grafica prodotta a Milano fu l’eccellente editoria artigianale di un maestro tipografo come Giovanni Mardersteig (1892-1977), avviata già nel 1927. Per contro, alcuni esponenti dell’industria grafica come Franco Bassoli, Achille Lucini e Felice Nava diventarono un punto di riferimento importante per i grafici milanesi. Il lungo sodalizio con Alfieri & Lacroix, per esempio, consentì a Franco Grignani (1908-1999) di sviluppare la sua sperimentazione foto-grafica, che - per l’attenzione precoce verso i fenomeni della percezione visiva - è stata spesso associata all’Optical Art. 

L’affermazione della grafica italiana negli anni Cinquanta è fortemente legata a ciò che Giovanni Anceschi ha definito il «protagonismo della committenza»(8). Tre furono gli interlocutori privilegiati dei grafici: i maggiori editori del paese (di cui si parlerà nel prossimo capitolo); i grandi gruppi imprenditoriali che guidarono il decollo industriale del paese; infine, gli architetti e gli esponenti della nascente cultura del design. Tali soggetti non si limitarono a offrire ai professionisti della grafica opportunità di lavoro stimolanti, ma contribuirono sensibilmente a formarne l’orizzonte culturale. Ciò è vero sicuramente nel caso dell’Olivetti, il cui Ufficio pubblicità milanese era stato fin dagli anni Trenta un punto di riferimento per la grafica razionalista. L’etica imprenditoriale e lo slancio visionario di un industriale illuminato come Adriano Olivetti (1901- 1960) permearono fortemente l’ambiente in cui lavorò per più di trent’anni Giovanni Pintori (1912-1999). Le sue creazioni alludevano con mirabile capacità di sintesi alle complesse operazioni di scrittura e di calcolo delle macchine prodotte dall’azienda, dando un’impronta grafica inconfondibile allo stile Olivetti, che ottenne allora molti riconoscimenti internazionali.


Giovanni Pintori, Olivetti Elettrosumma 22 (1957), manifesto.

(8) G. Anceschi, op. cit.

Giovanni Pintori, Lettera 22 (1954), manifesto.


Erberto Carboni, Pasta all’uovo Barilla (1953), manifesto.

Fra gli anni Trenta e gli anni Cinquanta, altri progettisti come Costantino Nivola (1911-1988), Egidio Bonfante (1922-2004), Franco Bassi (1920-2006) e Marcello Nizzoli (1887-1969) furono coinvolti insieme ad architetti e scrittori nella costruzione di un’immagine d’impresa volta a comprendere ogni aspetto: dagli interni dei negozi ai manuali di istruzioni. 

Sulla scorta di tale modello, molte altre aziende italiane come Pirelli, Eni, Finmeccanica, Cornigliano-Italsider e Montecatini nel dopoguerra cominciarono a rivolgersi ai grafici non soltanto per pubblicizzare propri prodotti, ma anche per costruirsi un’immagine pubblica con un forte profilo culturale. Ciò emerge chiaramente da una serie di periodici aziendali - tra i più rilevanti “Civiltà delle Macchine”, “Pirelli” e “Rivista Italsider” - cui collaborarono note firme della letteratura, della critica e del giornalismo(9). Accanto a loro, i grafici in quegli anni furono coinvolti in un’opera di mediazione verso il grande pubblico della civiltà industriale e focalizzarono spesso il proprio sguardo sugli ingranaggi, i meccanismi, i processi di lavorazione, la tecnica. Lo si vede chiaramente nelle sofisticate invenzioni pubblicitarie di Antonio Pellizzari (1883-1955), insieme grafico e dirigente di impresa progressista; nei bianchi e neri vivi, ottenuti con effetti fotografici da Pino Tovaglia (1923- 1977), Giulio Confalonieri (1926-1972) e Ilio Negri (1926-1974) per Finmeccanica, Pirelli e altre aziende; e ancora nel vasto inventario di soluzioni cui diede vita per la Rai Erberto Carboni (1899-1984), che traduceva in spettacolari montaggi tipofotografici il miracolo tecnico dell’inizio delle trasmissioni televisive nel 1954. Lo stesso Carboni per Barilla costruì un immaginario memorabile intorno a un prodotto di largo consumo come la pasta, ideando anche il design delle confezioni. 

In questi anni i grandi uffici pubblicitari interni alle imprese - spesso guidati da appassionati uomini di formazione umanistica come Leonardo Sinisgalli (Pirelli, Finmeccanica, Alitalia, Eni), Ignazio Weiss e Riccardo Musatti (Olivetti), Arrigo Castellani (Pirelli), Gianni Bordoli (La Rinascente) - furono tra i più importanti centri di reclutamento dei grafici, cui offrivano ottime opportunità economiche e una relativa libertà di sperimentare. Un caso emblematico è quello dell’Ufficio pubblicità della Rinascente, che - dopo la prima collaborazione con Steiner e con Huber, autore del celebre monogramma lR ancora oggi in uso - si affidò a Lora Lamm, che oltre a ricorrere alle sue inconfondibili illustrazioni a tempera, fu in grado di gestire in modo brillante tecniche grafiche disparate e di dare un indirizzo preciso al lavoro dei giovani progettisti che lavoravano al suo fianco. 

Alla Rinascente, la grafica fu funzionale a un’opera di educazione ai consumi moderni nei settori della moda e della casa. I grandi magazzini milanesi contribuirono in modo significativo all’affermazione del disegno industriale in Italia, con l’istituzione nel 1954 del premio Compasso d’oro e una serie di iniziative cui i grafici parteciparono attivamente. Contemporaneamente, istituzioni come la Triennale di Milano e vari periodici di architettura e design fornivano ai nomi più importanti della grafica continue opportunità di collaborazione. Michele Provinciali (1923-2009), per esempio, nel 1954 allestì la Mostra dell’Industrial Design alla X Triennale e cominciò a impaginare “Stile industria”, la prima rivista interamente dedicata al design in Italia. Lontano più di altri dall’ortodossia modernista, negli stessi anni Provinciali lavorava per l’azienda Kartell con un approccio che ha influenzato tutta la grafica successiva del made in Italy(10).


Erberto Carboni, La televisione inizia in Italia il suo regolare servizio (1954), annuncio.


Sopra Max Huber, lR, la Rinascente (1950), manifesto. Nel monogramma di Huber, l’accostamento fra un carattere neoclassico come il Bodoni e un carattere geometrico come il Futura ben rappresenta l’idea di sintesi fra tradizione e modernitˆ.


Lora Lamm, Estate e mare (1957), manifesto.

(9) Cfr. www.houseorgan.net
(10) La grafica del made in Italy, a cura di M. Piazza, Milano 2010.

La cultura del design manteneva però in questo periodo un legame forte anche con l’ambiente della pubblicità. Molti grafici risultavano infatti iscritti sia all’ADI, l’Associazione per il disegno industriale fondata a Milano nel 1956, sia all’AIAP, nata nel 1955 come Associazione italiana artisti pubblicitari e ancora oggi maggiore organo rappresentativo dei professionisti della grafica(11)

Se figure come Munari, Nizzoli, Enzo Mari (1932) o Roberto Sambonet (1924- 1995) furono in grado di passare disinvoltamente dalla grafica al design di prodotto, più chiaramente spostati sul versante della pubblicità furono autori come Dante Bighi (1926-1994), Carlo Benedetti (detto Benca; 1920-1977), Carmelo Cremonesi (1919), Franco Mosca (1910-2003) e certamente Armando Testa (1917-1992), il quale, proveniente da una formazione tipografica, negli anni Cinquanta trasformò il suo studio torinese in una struttura destinata a diventare una delle principali agenzie di pubblicità italiane. Testa è stato un raffinato continuatore della tradizione cartellonistica europea, ora con i suoi celebri personaggiprodotto ora con la straordinaria capacità di condensazione simbolica che si può ammirare in un manifesto come Punt e Mes

Per molti grafici, infine, un terreno di confronto interdisciplinare con architetti e designer fu quello degli allestimenti espositivi. Le architetture effimere e multimediali con cui aziende come Breda, Montecatini o Rai si presentavano alla Fiera campionaria di Milano mettevano in scena, per il grande pubblico, la conquistata modernità del paese. È significativo che a Torino nel 1961, la realizzazione delle sale della grande esposizione di celebrazione dei cento anni dell’Unità d’Italia vedesse la partecipazione di quasi tutte le firme più importanti del graphic design italiano. Si era nel pieno del miracolo economico, che i grafici avevano contribuito a costruire e a raccontare visivamente. L’affermazione definitiva della civiltà dei consumi avrebbe posto di lì a poco la grafica italiana di fronte a temi e problemi nuovi.


Armando Testa, Punt e Mes, Carpano (1960), manifesto.

(11) L’AIAP attualmente si autodefinisce come Associazione italiana design della comunicazione visiva. http://www.aiap.it

Bob Noorda, Rolle (1959), manifesto.


Danilo Nubioli, Italia ’61 (1961), manifesto ufficiale.

GRAFICA ITALIANA DAL 1945 A OGGI
GRAFICA ITALIANA DAL 1945 A OGGI
Carlo Vinti
Un dossier dedicato alla grafica italiana dal 1945 a oggi. In sommario: La nascita della grafica moderna in Italia; La ''terza via'' della grafica italiana (1945-1961); Dall'immagine coordinata all'''altra grafica'' (1961-1973); Fra pubblica utilità e postmodernismo (1973-1989); L'era digitale: dal 1989 a oggi. Come tutte le monografie della collana Dossier d'art, una pubblicazione agile, ricca di belle riproduzioni a colori, completa di un utilissimo quadro cronologico e di una ricca bibliografia.