Il museo immaginario

LA BARONESSA A cui duchAmp
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Un viaggio alternativo nell’arte del Novecento, alla scoperta dei grandi artisti, di opere e storie spesso dimenticate: Elsa von Freytag- Loringhoven, artista, performer e poetessa dada

Il Museo Immaginario
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questa è una storia di quelle che sembrano scritte dall’autore un po’ tamarro di romanzi d’appendice. Ma è vera e narra le gesta, gli eccessi e i talenti della baronessa Elsa von Freytag-Loringhoven (12 luglio 1874 - 15 dicembre 1927), protagonista dell’avanguardia dadaista e modernista internazionale. Artista visiva, performer e poetessa, che ha lavorato per diversi anni nel Greenwich Village, a New York, anticipando di cinquant’anni mode e tendenze. Nata in realtà povera, Elsa ha vissuto come un pendolo tra agi e disastri con una vita avventurosa e caotica che aspetta solo di diventare un film. Prima di morire, in totale miseria a Parigi, per un incidente domestico mai chiarito.
Le sue poesie, visionarie e provocatorie sono state pubblicate postume nel 2011 e il “New York Times” non ha esitato molto a inserire il libro nella lista dei più importanti volumi dell’anno. E le sue intuizioni nell’ambito dell’arte, per quanto probabilmente dettate da traumi e da uno stato borderline, non sono state ancora del tutto studiate. Tanto che potrebbe essere stata proprio lei a influenzare alcune radicalizzazioni del movimento Dada, orinatoio di Duchamp compreso. Ma partiamo dagli inizi, come si addice a una narrazione - vedrete - ricca di colpi di scena.
La nobildonna Freytag-Loringhoven nasce in realtà con il nome di Hildegard Else Plötz in Pomerania. Suo padre è un muratore violento e alcolizzato che la maltratta e che probabilmente abusa sessualmente di lei sin dall’infanzia, accusato di aver trasmesso alla madre la sifilide e di averne causato la follia. Per altre ragazze sarebbe stata una via senza uscita. Non per Elsa. Nonostante l’ambiente gretto e violento, scappa giovanissima di casa, si mantiene come può, mentre studia come attrice per poi debuttare come performer vaudeville a Berlino. Non è una bellezza classica, ma è sensuale e sfacciata e guarda ogni maschio del pubblico negli occhi, dando la sensazione di danzare solo per lui. Cambia compagnia e parte per un tour che la poterà adesibirsi anche a Monaco e in Italia, caratterizzandosi per una vita sessuale intensa, vissuta nella piena bisessualità.
Attratta dall’arte, studia arti visive a Dachau, vicino a Monaco. E sono proprio gli studi accademici, che affianca alla vita bohémienne, quelli che le permettono di frequentare ambienti borghesi sino ad allora inaccessibili. A Berlino conosce così il noto architetto art nouveau August Endell. Ricco, affascinante, impotente. Con il quale si sposerà nel 1901. Elsa viaggia in tutta Europa e frequenta la buona società, intrecciando un rapporto a tre con un amico di August, il poeta e traduttore Felix Paul Greve. Nel luglio del 1910, proprio mentre è in viaggio con loro in Italia, sulla strada per Palermo, decide di abbandonare in maniera definitiva il marito e di fare di Greve il suo solo uomo.
Anche Greve, accerchiato dai creditori, vorrebbe ricominciare una nuova vita. L’idea che elaborano è folle e radicale come le loro stesse vite: inscenare, con la complicità di Elsa, il finto suicidio di lui, per poi partire insieme alla volta degli Stati Uniti. E così fanno. Elsa denuncia rispondendo in maniera convincente alla polizia che cerca di fare chiarezza sulla sparizione. Poi, dopo aver sbrigato le formalità di rito lo raggiunge. Lui ha una nuova identità, quella di Frederick Philip Grove. Si trasferiscono quindi insieme in una fattoria a Sparta, Kentucky dove lui inizia a fare il coltivatore. The end? Quando mai.
Grove, quindici mesi dopo, stanco della vita da bifolco, nel 1911 la lascia per andare a cercare l’oro e riscattare i diritti di una miniera. E poi, per tornare a inseguire la fama, come intellettuale maledetto, raggiungendo negli anni a venire, ampia fama.
Elsa questa volta non lo segue. Si rimbocca le maniche, si dimentica di quel bellimbusto e non smette di pensare in grande. Inizia così a modellare e dipingere, legandosi agli artisti di Cincinnati per poi tentare il grande salto: New York. Ovviamente, non ha un dollaro. Nella Grande Mela si mantiene lavorando in una fabbrica di sigarette, ma dice ai conoscenti che frequenta la sera nei locali bohémien del Greenwich Village di essere modella per artisti come Louis Bouché, George Biddle e Man Ray e finisce per farsi prendere sul serio anche dagli stessi interessati.
È grazie a queste frequentazioni che nel 1913, rimescolando nuovamente le carte, convola a nozze con il barone tedesco Leopold von Freytag-Loringhove. Bello, divertente, squattrinato. Il matrimonio ha però altri vantaggi, come quello di divenire “la baronessa dadaista” e una delle stelle riconosciute della New York alla moda. È in questo periodo che inizia a scrivere poesie e frammenti di un romanzo d’avanguardia, divenendo la pioniera femminile della poesia sonora e della poesia visiva. Abbandona quindi l’arte nei suoi aspetti formali e accademici.
Tutto le sta stretto. Lavora su sculture, pitture e “assemblages” (dei quali sarà una delle prime interpreti in assoluto) che realizza con spazzatura e rifiuti raccolti dalle strade. Elevando gli oggetti che gli altri scartano o disprezzano a oggetto di culto. Si spinge sempre oltre nel desiderio di stupire, tanto che Duchamp, in una lettera alla sorella nel 1917 racconta eccitato che una sua amica ha avuto un’idea pazzesca. Ha addirittura «mandato un orinatoio per la presentazione al Salone degli Indipendenti». Aprendo di fatto la strada a una serie di congetture sulla reale intuizione di Duchamp e sulla paternità dell’idea che avrebbe rivoluzionato l’arte moderna.
Sparito il marito (tornato in Germania per combattere contro gli Stati Uniti nella prima guerra mondiale) le sue mise diventano proverbiali: «cucchiaini usati come orecchini, francobolli incollati sulle guance, una torta di compleanno, con tanto di candeline accese, al posto del cappello… i capelli rasati a zero e adorni di spazzatura».
È talmente al di sopra del normale che Duchamp e Man Ray (che l’ha già usata nuda come modella in una celeberrima foto che la rappresenta come un manichino) la coinvolgono in un cortometraggio, intitolato The Baroness Shaves Her Pubic Hair (“La baronessa si rade i peli pubici”), di cui purtroppo sopravvivono pochi fotogrammi. Ma che già dal titolo prometteva di essere una bomba. Nel 1923 il gioco si rompe. La bellezza è ormai sfiorita. Dalle foto superstiti Elsa appare tutt’ossa (non vorrei sembrare irrispettoso, ma assomiglia un po’ a Renato Zero) e anche il vezzo di barare sull’età di dieci anni, come ha sempre fatto, non funziona più. Le mode stanno cambiando, e la sua vita torna a essere difficile. Forse illudendosi di sfruttare il roboante titolo nobiliare nel 1923 la “Baronessa” torna a Berlino. Trova invece un’economia devastata dalla prima guerra mondiale e un tessuto artistico che non la accoglie come avrebbe sperato. Rimane lì, senza un soldo, scivolando sempre di più sull’orlo della pazzia. Diseredata dal padre e ridotta in miseria, finisce per vendere giornali sul Kurfüstendamm, sino a trascorrere un lungo periodo in una clinica psichiatrica, sempre implorando i vecchi conoscenti, fra cui Peggy Guggenheim, di prestarle del denaro. Di non abbandonarla. Di credere ancora in lei.
Sarà Djuna Barnes, l’amica più fedele (che abbozzerà anche una sua biografia) a pagare l’affitto dell’appartamento parigino in cui la baronessa si trasferisce nel 1926, nell’ultimo tentativo, disperato, di rifarsi una vita. Qui, in rue Barrault, morirà nel 1927, soffocata dai miasmi dal gas. Aperto volutamente, o lasciato così da qualcuno. Suicidio, incidente, omicidio? Nessuno potrà mai saperlo. Aveva cinquantatré anni.



Elsa von Freytag- Loringhoven nel 1920 circa.

Man Ray, Portemanteau (1920); la modella è Elsa von Freytag-Loringhoven.

Elsa von Freytag- Loringhoven, Dio (1917), Filadelfia, Philadelphia Museum of Art.


Marcel Duchamp, Fontana (1917), replica conservata a Roma, Galleria nazionale d’arte moderna.


Elsa nel dicembre 1915.

ART E DOSSIER N. 326
ART E DOSSIER N. 326
NOVEMBRE 2015
In questo numero: GIAPPONE E GIAPPONISMI Miyazaki e la pittura; La fotografia di Daido Moriyama; Packaging nipponico; Giappone e Art Nouveau. LA BARONESSA DADA Elsa, Man Ray, Duchamp e gli anni folli. IN MOSTRA Mirà e Cobra, Balla, Monet.Direttore: Philippe Daverio