La pagina nera

i paLazzi in conca d’oro
perdon moLto deL decoro

Uno scempio dopo l’altro. Così si presenta la nostra penisola da Nord a Sud. Teatri, ville, palazzi, sale cinematografche, edifici storici totalmente abbandonati e in uno stato di assoluta rovina. Un’interminabile lista di “ruderi”: solo a Palermo, dove i cittadini hanno iniziato a far sentire il loro sdegno, il Fai ne ha contati oltre quattrocento.

di Fabio Isman

La manutenzione urbana è un grave problema del paese. Ha numerose facce, e una riguarda gli edifici. Poco importa se pubblici, o privati, ma spesso vuoti, o sottoutilizzati, certamente da restaurare; insomma, in pesante crisi. Si spazia dalle caserme non più in uso e deserte, alle sale cinematografiche, o teatrali, abbandonate da tempo; alle ville e alle palazzine cui i proprietari non provvedono più; ma anche agli stabili di enti locali che non sanno più che farsene, agli ex impianti industriali ormai non più produttivi e dimenticati. Non è una questione di latitudine. A Pisa, si calcola che i palazzi vuoti e abbandonati siano trentasei. A Bari, quasi duecento. A Roma, oltre trenta cinema dismessi; edifici storici dimenticati come palazzo Nardini, a un passo da piazza Navona, 28.350 metri cubi, del 1400; l’ex Casa del popolo al Celio, 14.322 metri cubi, che non è più nulla da oltre mezzo secolo; è finito il restauro, ma mai iniziato il riuso, dell’ex Palazzo degli esami, su viale Trastevere; ville storiche assai malmesse; non si è mai risolto il caso di palazzo Rivaldi, del Cinquecento, già del futuro papa Leone X e del cardinale Pio di Savoia, a un passo dal Colosseo sui Fori imperiali: è l’edificio forse più conteso, ma intanto continua a essere inutilizzato e parzialmente in rovina.

Un caso a sé è però Palermo. Ormai oltre seimila persone, da più di due anni, hanno costituito su Facebook il gruppo “I Monumenti abbandonati di Palermo”, dietro impulso dell’associazione (sempre nata su Facebook) “Palermo indignata” e di Giuseppe Mazzola, ricercatore all’Università, che ne è vicepresidente: censiti più di centocinquanta palazzi, dal presente precario e il futuro incerto. E con la Fondazione Salvare Palermo, il Fai - Fondo ambiente italiano ne ha contati più di quattrocento malmessi. Con esempi celebri, che hanno fatto la storia del Liberty nella città, di cui «l’isola fu subito all’avanguardia», con richiami arabo-normanni e quattrocenteschi(1). Paolo Portoghesi, grande studioso del periodo, non è stupito che la Sicilia, «viste le intense relazioni europee della sua alta borghesia nel tempo, abbia avvertito per prima il richiamo dell’arte nuova», e iscrive tra i più innovatori i due Basile, Gian Battista Filippo e il figlio Ernesto(2), quasi l’Otto Wagner italiano. La Camera dei deputati, a Roma, l’ha progettata lui; e forse perché era famoso per l’arredamento delle grandi navi passeggeri, un corridoio, ispirato al loro fasto, si chiama “Transatlantico”. È dei Basile anche il progetto che avvia il modernismo in Conca d’Oro, iniziato dal padre e concluso dal figlio: villino Favaloro, in piazza Virgilio, è della Regione; ospitava il CRICD - Centro regionale per l’inventario, la catalogazione e la documentazione dei beni culturali della Sicilia, ma è sbarrato dal sisma del 2002; da tempo si prevede (ma solo prevede) che diventi Museo della fotografia; vi era già la fototeca, con una raccolta di centomila tra lastre e immagini, invisibili al pubblico. Intanto, langue terribilmente, con la sua torretta e le sue merlature.


Villa Raffo (XVIII secolo) – saccheggiata delle maioliche e con gli affreschi visibilmente danneggiati – dopo il restauro promosso dalla Regione tra fine anni Novanta e inizio Duemila.

Nel 1903, però, Basile (il figlio) pensa anche alla dimora per sé. La chiama Ida, come la moglie, e fino al 1932 la famiglia abita il villino: tre piani a via Siracusa, con lo studio nel seminterrato. Da tempo, è una sede della Soprintendenza regionale: vero gioiello, già indicato a sede del Museo del Liberty. Ed è amaro che i Beni culturali siciliani, ricchi di funzionari ma poveri di visitatori nei musei, abbiano perfino il problema di restaurare se stessi: la facciata ridonda di scolature d’acqua piovana; gli interni, assolutamente adulterati e in disordine; gli affreschi, con abrasioni e perdite di colore. Dal progetto, e ormai solo da quello, capiamo qualcosa della destinazione delle stanze: per esempio, quelle da letto sono indicate come Mamma, o Clara e Filippo, lo studio semplicemente da una B.

Non sta meglio, anzi tutt’altro, un’altra creatura di Ernesto Basile: lo Stand Florio, edificio realizzato sul litorale meridionale nel 1906 per l’altolocata famiglia nota anche per la vocazione imprenditoriale; ora è sequestrato: discarica a cielo aperto, rifugio di senzatetto. Situazione che mostra, più delle parole, il declino del casato. Il quale aveva avuto periodi di gloria: i trionfi nella produzione del marsala; le antiche tonnare di Favignana e Formica; il famoso yacht di famiglia con gli arredi di Basile; la flotta Florio, fusa nel 1881 con la Rubattino di Genova, dalla cui unione nacque la compagnia della Navigazione generale italiana: la prima in Italia, seguita poi dalla Tirrenia; l’industria dello zolfo. I Florio “erano le Egadi”; quattrocento milioni di lire era il loro patrimonio nel 1868: roba da Rockefeller. René Lalique idea lo stemma della Targa Florio, celebre gara automobilistica; Donna Franca Florio è eternata due volte da Giovanni Boldini, con la sua collana di 365 perle. Un passato ormai remoto. Infatti, la zona dello Stand Florio, la costa dove, fino agli anni Sessanta, i palermitani andavano al mare, è abbandonata e ricoperta dal materiale di risulta degli edifici costruiti nel “sacco di Palermo” degli anni Cinquanta-Sessanta, con le amministrazioni di Vito Ciancimino e dintorni, per fare soltanto un nome e un cognome.

Per anni, Ernesto Basile lavora con Vittorio Ducrot che, nell’allestimento delle grandi navi, era concorrente dei Coppedè. La coppia Basile-Ducrot punta a uno stile moderno, alla portata di un pubblico medio: tappeti, vetrate, paramenti, lampade, ceramiche, ferri battuti, stoffe; applica la “perfetta fusione” delle arti; battezza il design decine d’anni prima che il termine fosse di moda. Gli stabilimenti Ducrot sono però anch’essi un ricordo: alcuni capannoni, restaurati, sono stati restituiti a funzioni artistiche, e si chiamano i Cantieri culturali della Zisa (anche se in realtà sono rimasti chiusi per dieci anni), ma altri sono ancora dimenticati, in disuso e in abbandono.

In una situazione altrettanto tragica versa villa Alliata di Pietratagliata, neogotica ma d’impianto settecentesco: dal 1979, anno della morte di Raniero, il ”principe mago”, è completamente trascurata; un’assoluta rovina: abbondantemente saccheggiata, gli esterni rovinati e gli interni preda dei writers. Pure la secentesca villa Di Napoli, nel quartiere Cuba-Calatafimi, situata nell’area del parco del Genoardo che ospitava i palazzi dei “sollazzi regi”, è deserta da decenni, e tutto vi è stato rubato; non ne ha migliorato lo stato la cessione alla Regione, nel 1991: recentemente, è perfino crollato un pezzo del muro della parte posteriore. C’è addirittura un dissidio sulla proprietà fra Regione e Fondazione dell’orchestra sinfonica siciliana, cui proprio la Regione l’aveva donata. All’interno, due strutture arabe: la torre Alfaina o Cuba soprana (per distinguerla dalla più celebre Cuba di corso Calatafimi) e, in giardino, la “piccola Cuba”.

Villa Pignatelli Florio, dimora di Vincenzo Florio fino al 1907, del Settecento e ampliata da Ernesto Basile, nel 2004 diviene luogo per quaranta famiglie di senzatetto, ma è poi depredata di tutto, sgomberata nel 2007 e da allora è un deserto razziato. Come del tutto saccheggiato è palazzo Wirz ex Florio, neogotico, invano messo all’asta nel 2009: gli ingressi tamponati da mattoni, gli infissi spariti. E inutilizzata la palazzina Florio, con uno tra i più bei pavimenti liberty nella camera da letto di Donna Franca, di Filippo Palizzi: petali di rosa sparsi su mattonelle bianche e putti che, dal soffitto, li gettano al centro della stanza (il villino, su progetto di Basile, si è invece salvato: è una sede regionale di rappresentanza).


Villa Di Napoli (XVII secolo) deserta da decenni e depredata di tutto.

Né meglio sta Palazzo delle finanze, sorto nell’ultimo quarto del Cinquecento come carcere, nel 1844 convertito al nuovo uso, passato nel 2012 alla Regione, quando era vuoto da lungo tempo: sequestrato, violato e saccheggiato, finestre murate, divelta perfino la cancellata. È l’ombra di se stesso il castelletto del principe Aci, a corso Pisani, di fine Settecento: conci di tufo chiudono le finestre, il giardino è parte di un vicino condominio, sommerso dagli edifici. Deserto, in rovina, decrepito è palazzo Sammartino, vicino a piazza Marina: lucchetti, sporcizia, tetti sfondati. Villa Raffo è stata depredata delle maioliche, gli affreschi interni sono ormai in pericolo, i restauri compiuti dalla Regione tra fine anni Novanta e inizio Duemila sono come cancellati: un vero disastro, gli escrementi dei volatili coprono le pitture.

Palazzo Papè Valdina, sorto addirittura nel Quattrocento e rifatto nel Sette, è stato bombardato durante la seconda guerra mondiale; ma ora, è ancor peggio: sequestrato per pericolo di crolli, anche se qualcuno, abusivamente, ci vive. Violentata la serra in ferro e vetro opera di Basile nel giardino all’inglese. La splendida e centralissima via Alloro è un cimitero urbanistico, e di memorie andate: palazzo Bonagia, per esempio, già del duca di Casteldimirto, realizzato a metà del Settecento e rovinato durante la seconda guerra mondiale, non ha migliorato la propria situazione con i successivi interventi di recupero. Ne restano il cortile e una quinta in pietra, messi in sicurezza per spettacoli all’aperto; ma la facciata non è crollata per le bombe del 1939-1945, bensì per la totale incuria nel 1981.
Vicino è l’ex hotel Patria, semidistrutto anch’esso nel corso del secondo conflitto mondiale: dopo un periodo di abbandono l’edificio divenne uno storico ristorante noto come trattoria Stella, chiusa per i restauri (durati otto anni) decisi dell’ateneo, proprietario dello stabile, che ne voleva fare una residenza per studenti; progetto mai decollato “soltanto” perché si sono dimenticati di costruire una scala che portasse al primo piano; così è stato occupato: è uno studentato autogestito. Potremmo purtroppo continuare a lungo, in questa via Crucis di dimenticanze e depredazioni, abbandoni e deterioramenti dovuti più alla noncuranza umana che al passare del tempo. Magari con le chiese; ma risparmiamoci l’interminabile elenco e citiamone una per tutte: quella secentesca di San Ciro chiusa dagli anni Ottanta, in parte anche già crollata, nello splendido isolamento del paesaggio all’imbocco dell’autostrada per Catania. O con i cinema: un “social group” ne elenca oltre centoquaranta, al chiuso o all’aperto, non più esistenti. In una città che già nel 1897, solo due anni dopo l’invenzione, vantava un Cinema Lumière. Di alcuni c’è ancora qualcosa: la facciata e l’ingresso dell’Umberto I; lo schermo, ormai nel cortile di un condominio, del Villa Giulia. L’Arena Trianon, di inizio Novecento, è ormai un parcheggio per le auto. «Nonostante l’Italia si vanti di essere il paese dei monumenti e degli artisti, la cultura della forma urbana conta assai poco (quando è separata dalla rendita turistica) e il destino della qualità morfologica e di uso delle sue città e del territorio sembra essere l’ultimo dei pensieri che preoccupano la collettività», scriveva Vittorio Gregotti(3). Come non dargli ragione?

(1) Enciclopedia della Sicilia, a cura di C. Napoleone, Parma 2006, p. 537.

(2) Colloquio con Paolo Portoghesi, 11 maggio 2002.

(3) V. Gregotti, Quella speculazione alla fiera di Milano, in “La Repubblica”, 18 gennaio 2007.

ART E DOSSIER N. 321
ART E DOSSIER N. 321
MAGGIO 2015
In questo numero: L'INVASIONE DELLE ULTRAMOSTRE Expo, Biennale e le altre, in Italia e in Europa: da Leonardo a Gauguin, da Altdorfer alla Nuova oggettività, dal barocco romano a Diebenkorn. PAGINA NERA La Palermo dell'abbandono.Direttore: Philippe Daverio