Grandi mostre. 7
Velázquez a Parigi

el pintor
del rey

È la prima grande antologica che sia mai stata organizzata in Francia per Diego Velázquez, pittore di corte di Filippo IV e principale artista spagnolo del XVII secolo, al tempo stesso interprete della tradizione iberica e coagulo di stili e influenze che concorreranno alla nascita di un nuovo linguaggio artistico europeo.

Claudio Pescio

Il 21 giugno 1813, nella cittadina basca di Vitoria, il re di Spagna Giuseppe Bonaparte fece l’errore più grave della sua vita. Sbagliò la disposizione delle truppe che dovevano affrontare gli inglesi guidati dal duca di Wellington e perse ottomila uomini in un giorno solo. La corona di Spagna, che suo fratello Napoleone gli aveva posto sul capo cinque anni prima, era perduta; i francesi dovettero lasciare precipitosamente il paese e assommare così una nuova disfatta a quella recente della campagna di Russia. Per l’impero napoleonico era la continuazione dell’inizio della fine.

Ma c’è di più. Giuseppe Bonaparte riuscì a fuggire, ma una delle vetture del suo convoglio finì in un fosso e tutto ciò che trasportava nelle rapaci mani degli inglesi. Tra le altre cose preziose che Giuseppe cercava di sottrarre al patrimonio della corona spagnola, un’ottantina di tele dipinte, tra le quali L’acquaiolo di Siviglia di Diego Velázquez. Ed è singolarmente proprio questa la ragione per cui l’opera non compare nella prima, grandiosa mostra antologica che la Francia abbia mai dedicato all’artista. Vi chiederete perché - dal momento che costituisce una delle opere più rappresentative del primo periodo dell’artista -, e qui entrano in ballo ragioni di Stato e antiche ruggini ancora ben evidenti.

La tela, infatti, in quei giorni di giugno del 1813, finì in Inghilterra e il nuovo re di Spagna Ferdinando VII, grato per la restituzione del trono, volle farne dono a Wellington, l’acerrimo nemico dei francesi, il liberatore della patria.

Il soggiorno a Madrid è l’inizio di un rapporto che diventerà molto stretto (nei limiti consentiti da un’etichetta rigidissima), quello con il re Filippo IV d’Asburgo


Da allora si trova in quella che fu la sua residenza londinese, Apsley House, e gli attuali gestori della collezione hanno negato il prestito al curatore della mostra parigina: «Non possiamo privarcene, soprattutto in questo 2015 in cui si commemorano i duecento anni della battaglia di Waterloo» (dove ancora Wellington risultò decisivo per il destino di Napoleone, il 18 giugno 1815). La battaglia anglo-francese continua su nuovi terreni(*).


La mulatta (1617-1618), Chicago, Art Institute.


Ritratto di Filippo IV (1654 circa), Madrid, Museo del Prado.

Abbiamo iniziato da un’illustre e curiosamente motivata assenza solo per attirare l’attenzione su quello che rappresenta invece l’evento espositivo più importante dell’anno, per Parigi. Una mostra difficile da mettere insieme per il relativamente scarso numero di opere dell’artista giunte fino a noi (un centinaio) e per il fatto che si trovano per la maggior parte al Prado (la realizzazione, in questi casi, deve appoggiarsi su un ingente prestito da parte di una singola istituzione). Sono esposte centodiciannove opere, delle quali ben cinquantuno di Velázquez (le altre sono dei principali artisti iberici suoi contemporanei). L’acquaiolo, dicevamo, avrebbe ben rappresentato il primo periodo della carriera artistica di Velázquez, nato a Siviglia nel 1599 (morirà nel 1660) e attivo nella bottega del maggiore artista cittadino, Francisco Pacheco, che diventerà suo suocero. Un periodo svolto all’insegna dell’influsso caravaggesco (molto forte in Spagna) e della pittura di genere, di ambientazione popolare, fortemente naturalistica. A testimoniare quel momento iniziale sono comunque in mostra opere come La mulatta (1617-1618) che, sul modello di quanto accadeva in quel tempo in Italia o in Olanda, presenta una scena quotidiana, qui una domestica affaccendata in cucina.

Contemporaneamente - e non poteva essere che così, nella cattolicissima Spagna secentesca - il giovane artista si dedica alla pittura di soggetto sacro e ai primi ritratti. Nel 1622 compie il suo primo viaggio a Madrid. È l’inizio di una carriera vertiginosa, che lo porterà a stabilirsi nella capitale e alla prestigiosa carica di pittore di corte, nonostante intrighi e maldicenze.


In mostra sono esposte centodiciannove opere, delle quali ben cinquantuno di Velázquez


È anche l’inizio di un rapporto che diventerà molto stretto (nei limiti consentiti da un’etichetta rigidissima), quello con il re Filippo IV d’Asburgo. Ventitreenne il pittore, diciassettenne il re, sul trono da un anno; capaci entrambi di costruire un rapporto rispettoso dei ruoli e delle convenzioni, fondato su una stima reciproca e sincera, governato da una flemma olimpica. Velázquez dipinge il primo ritratto del re nel 1623, ne realizzerà l’ultimo nel 1656-1657, in una sequenza di immagini che ci consegna trentatre anni di sottili variazioni espressive sul tema della sovranità impassibile e distaccata, incarnazione stessa dell’assolutismo. Velázquez addolcisce senza cancellarlo il forte aggetto del labbro inferiore, tipico degli Asburgo, Filippo gli consegna il miglior modello che un pittore possa desiderare: era capace di mantenere la stessa espressione per ore, senza tradire stanchezza, che si trovasse in posa per il suo ritratto oppure oggetto della contemplazione della corte e dei sudditi. E tutto ciò nonostante un regno travagliato da lutti privati (la morte a sedici anni del figlio Baldassarre Carlo), scricchiolii economici e istituzionali e interminabili periodi di guerra: con la Francia, con i principi protestanti, con le Province secessioniste dei Paesi Bassi, con i rivoltosi in Portogallo e Catalogna.

Nel 1629 Velázquez compie il suo primo viaggio in Italia. E la mostra presenta opere che ne sono il frutto, una Veduta dei giardini di villa Medici, Rissa tra soldati italiani e spagnoli, ma soprattutto due capolavori come Apollo nella fucina di Vulcano e Giacobbe riceve la tunica di Giuseppe (entrambi del 1630). Roma al tempo è crocevia di tutte le principali tendenze artistiche europee, un crogiolo di linguaggi in cui si mescolano Bernini e Poussin, i Bamboccianti e il caravaggismo. Velázquez coniuga schemi compositivi ricavati da sarcofagi e fregi romani, ambientazioni realistiche e pose statuarie che sembrano rimandare al tempo stesso a Raffaello, all’accademia e al teatro. Gran dominatore di linguaggi, il pittore nell’Autoritratto conclusivo della sua prima esperienza italiana (giunto in mostra da Valencia, replicato a mezza figura da quello ora agli Uffizi) manifesta l’orgoglio malcelato dell’artista gentiluomo attraverso la pennellata sfocata ed evasiva dell’ultimo Tiziano.


L’infante Baldassarre Carlo a cavallo (1634-1635), Madrid, Museo del Prado.

Gli anni successivi al rientro in patria, dal 1631, sono quelli della scalata ai ranghi più elevati della struttura di corte. Realizza numerosi ritratti del principe Baldassarre Carlo (in mostra il bellissimo ritratto equestre del Prado, del 1634-1635), celebra la forza militare spagnola nella Resa di Breda (o Las lanzas, 1634-1635, ancora al Prado), dipinge le tele per il casino di caccia del re, la Torre de la Parada. Nel 1649, ricco e famoso, torna in Italia: Genova, Milano, Venezia, Modena, Firenze e giù giù fino a Roma e a Napoli. Acquista opere per Madrid, intrattiene relazioni e dipinge. In particolare, ritrae il nuovo papa Innocenzo X, filospagnolo succeduto a un filofrancese, Urbano VIII. Stavolta l’artista sembra far di tutto per non tornare in patria; nonostante i garbati richiami del suo re cerca ogni scusa e ritarda di un anno il rientro, che avviene nel 1651. Forse non è estraneo a questo atteggiamento il rapporto che stringe con una ventenne romana, la pittrice Flaminia Triva, dalla quale ha un figlio e che posa forse per l’unico nudo del pittore giunto fino a noi, Venere e Cupido (1651, in mostra).
A Madrid intanto c’è una nuova regina, Marianna d’Austria (succeduta a Elisabetta di Francia), e lo aspetta un nuovo incarico di prestigio nell’organigramma di corte. L’artista dà vita a nuovi capolavori come Le filatrici (1653 circa) e soprattutto Las meninas (“le damigelle”, 1656, al Prado). Sintesi, quest’ultimo, delle idee di Velázquez su se stesso, la propria arte e la società in cui ha avuto in sorte di vivere: un mondo autoreferenziale governato da un sovrano circondato da creature sue - figli o cortigiani che siano - al centro del quale il pittore raffigura se stesso nell’atto di ritrarre ancora una volta quel mondo e il suo re.

(*) Devo la segnalazione a E. Bietry-Rivierre, che ne fa cenno nell’edizione del “Figaro” online dello scorso 29 gennaio.

Velázquez

a cura di Guillaume Kientz
Grand Palais, Galeries Nationales, square Jean Perrin
orario domenica e lunedì 10-20, martedì chiuso,
mercoledì-sabato 10-22
fino al 13 luglio

Catalogo Réunion des Musées Nationaux
www.grandpalais.fr

ART E DOSSIER N. 321
ART E DOSSIER N. 321
MAGGIO 2015
In questo numero: L'INVASIONE DELLE ULTRAMOSTRE Expo, Biennale e le altre, in Italia e in Europa: da Leonardo a Gauguin, da Altdorfer alla Nuova oggettività, dal barocco romano a Diebenkorn. PAGINA NERA La Palermo dell'abbandono.Direttore: Philippe Daverio